Compagnia delle opere: basta libri di filosofia. La scuola insegni a usare la falce e il martello
Data: Giovedì, 27 ottobre 2011 ore 12:34:29 CEST
Argomento: Rassegna stampa


Senza troppi giri di parole, è questo il succo dei discorsi che si sono fatti lunedì sera all’Istituto “Badoni” di Via Rivolta a Lecco che ha ospitato la conferenza di presentazione del rapporto “Sussidiarietà e… istruzione e formazione professionale”. L’iniziativa, promossa dalla Compagnia delle Opere di Lecco, ha visto come relatori:
Roberto Peverelli, Preside dell’Istituto Tecnico Badoni di Lecco; Marco Giorgioni, Presidente CDO Lecco; Riccardo Bonaiti, Presidente API Lecco; Gabriele Marinoni, Presidente Consorzio Consolida; Giorgio Vittadini, Presidente Fondazione per la Sussidiarietà; Onorevole Raffaello Vignali Vicepresidente X Commissione Attività produttive Camera dei Deputati.
L’argomento è particolarmente cogente qui da noi, in una terra come quella lecchese, da sempre votata all’industria, ricca di una miriade di piccole e medie imprese, e che fino ad appena 5 anni fa presentava un tasso di disoccupazione fisiologico tendente a zero. Questo Eden dell’economia e dell’industria, oggi – in piena crisi economica e nell’epoca della globalizzazione – rischia di essere spazzato via, trascinando nel baratro schiere di lavoratori, centinaia di piccoli imprenditori e una secolare cultura di produzione  .              
 Ovvio, dunque, che tutti gli interventi siano stati più o meno critici, ed abbiano puntellato l’aurea affermazione “per uscire dalla crisi occorre puntare sull’istruzione e la formazione delle nuove leve” più con argomenti polemici che non con asserti affermativi. D’altronde quest’affermazione ha il sapore di un assioma che non occorre dimostrare.

È necessario un più stretto legame fra istruzione e mondo del lavoro, fra scuola e piccole e medie imprese locali. Invece che tagli, la scuola avrebbe bisogno di maggiori finanziamenti. Le imprese locali devono puntare sui giovani e devono saper dar loro una costante formazione professionale che li tenga a pari coi tempi e che permetta alle aziende di essere sempre più competitive sul mercato mondiale. Questo in sintesi il succo del discorso.
Molto più interessati sono state, invece, le note polemiche che hanno saputo dare vero peso a questo ritornello che da troppo tempo viene cantato da tutte le parti.

Anzitutto, si parla tanto delle grandi fabbriche ma si fa passare sotto silenzio la chiusura troppo frequente delle piccole aziende, la cui cessazione ha effetti negativi non solo sui diretti interessati, ma anche su tutto il territorio, per due fondamentali motivi: primo perché c’è il concreto rischio che venga meno una caratteristica precipua del nostro territorio, ossia quella di essere una galassia di PMI, e secondariamente perché con il fallimento va dispersa anche una cultura d’impresa che è sempre stata la forza del nostro terriorio e che, una volta persa, è molto difficile ricreare.

E ancora, dev’essere ripensata la globalizzazione. Gli studenti lecchesi devono guardare alle imprese locali e non alle multinazionali, e viceversa le PMI lecchesi devono coltivare il vivaio di casa propria e non cercare forzalavoro altrove. Non è profiquo orientare i giovani lecchesi verso le grandi aziende multinazionali, molto più saggio e concreto è farli entrare in rapporto con le piccole realtà imprenditoriali locali che possono rappresentare per loro il passaggio dal mondo della scuola a quello del lavoro. Ovviamente per fare questo, le aziende locali devono tendere la mano agli istituti scolastici offrendo stages, tirocini e – perché no – contributi economici alle scuole.

Lecco, città turistica? Ma va la! Questo è un altro falso mito che lunedì è stato demolito. “Ci sarà un motivo se Lecco è l’unica città del Lago di Como che non ha neanche un Grand Hotel?” Si è domandato l’On. Vignali. La risposta è semplice: gli interessi economici dei Lecchesi si sono diretti da sempre verso altri settori. Settori che oggi sono in crisi – è vero – ma non sono morti, come ha giustamente osservato il presindente dell’API Bonaiti. Basti pensare che tutte le merci che circolano nel mondo hanno componenti che sono realizzati qui da noi. Occorre certo ripensare da cima a fondo tutta la nostra filosofia di produzione, ma da questo a dire che bisogna reinventarsi albergatori o imprenditori turistici ce ne passa.

E qui arrivano le dolenti note. E’ falso che abbiamo bisogno di forzalavoro straniera, occorre semplicemente che i giovani tornino a fare le professioni vili e meccaniche, come avrebbe detto Manzoni. Le riforme della scuola che si sono succedute in questi anni, hanno moltiplicato i licei ed hanno instillato nei ragazzi il falso mito della necessità di un’istruzione superiore che molto spesso è fittizia e troppo spesso poco stimolante. Senza nulla togliere al Liceo Classico e Scientifico, o all’Università, ciò che è veramente utile all’economia italiana è una scuola professionale che sappia dare ai giovani le competenze necessarie per entrare nel mondo del lavoro e assurgere a strumenti vivi per la rinascita delle nostre imprese.

“Bisogna ripartire dalle ITI” questo il monito di Giorgio Vittadini che nel presentare il rapporto “Sussidiarietà e… istruzione e formazione professionale” ha mostrato come gli Istituti Tecnici e i Corsi di Formazione Professionale, siano le scuole più apprezzate da allievi e genitori e quelle che meglio garantiscano un rapido accesso al mondo del lavoro. D’altronde basterebbe osservare quanti studenti dei licei hanno come unico obiettivo quello di essere promossi con una pedata nel sedere, quanti studenti bighellonano per i corridoi dell’Università  fecendo di tutto eccetto che seguire le lezioni, quanti giovani, finiti gli studi, non hanno la più pallida idea di quello che vogliono fare, e – ancora più tragico – non hanno idea di cosa sanno fare. Gli Istituti professionali, invece, molto più prosaicamente e senza troppi vezzi, temperano cultura e professione, la prima quel poco che è necessario per stare al mondo senza sembrare più edotti dei dottoroni, la seconda il giusto che serve per trovarsi un buon lavoro e saperlo fare al meglio.
L’invito è che nella terra dei Promessi Sposi i giovani calchino le pedate di Renzo Tramaglino piuttosto che imitare Azzeccagarbugli.
L’economia ringrazia, e anche la scuola.

Su tutto questo, voglio anch’io offrire il mio modesto contributo alla discussione e demolire un altro falso mito. Si continua a ripetere – ed anche lunedì è stata ripetuta la stessa antifona – che la fantasia e le capacità degli italiani sono inimitabili. È semplicemente falso! Non c’è nessun primato che non possa essere eguagliato e superato. Faremmo meglio a non coltivare quest’illusione, e a cullarci nell’allucinazione che il made in italy non possa essere eguagliato. I cinesi (ma non solo) continuano a eroderci fette di mercato, continuano, imperterriti, a contraffare i nostri marchi e riprodurre i nostri prodotti. Davvero si può credere che questa situazione andrà avanti per molto tempo? Chi può davvero credere che gli altri popoli saranno sempre un passo indietro a noi? Quello che oggi i cinesi ci copiano, domani saranno loro ad inventarlo.

Fantasia, genio, ed eleganza, non sono abilità esclusive degli italiani. Altri popoli le possiedono, e comunque tutti possono sforzarsi ad affinarle. Faremmo meglio, noi italiani, a non dare per scontato e eterno, ciò che non lo è. Non basta dire che noi facciamo meglio le cose, dobbiamo imporci di continuare a farle meglio anche nel futuro, con una competizione sempre più accanita e di fronte ad avversari spesse volte scorretti. Per vincere questa battaglia, occorre essere umili, lungimiranti e determinati. Non sono ammessi errori. Non possiamo indulgere ai nostri atteggiamenti più vanesi. Dobbiamo essere certamente orgogliosi delle nostre qualità, ma il modo giusto per farlo è coltivarle, potenziarle e trasmetterle ai nostri figli. Loro, e non la forzalavoro straniera o le fabbriche delocalizzate all’estero, dimostreranno al mondo se davvero gli Italiani hanno il primato di fantasia e stile.
     (da http://leccoprovincia.it di Umberto Benaglia)

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