Il rischio concreto di una ulteriore mazzata.Spostati i limiti per gli accorpamenti, da 500 a 600 e da 300 a 400 alunni
Data: Lunedì, 24 ottobre 2011 ore 15:22:59 CEST Argomento: Rassegna stampa
Riflettiamoci un po’
su.
Cominciamo col riconoscere che l’operazione ‘accorpamento dei vari
ordini delle scuole del primo ciclo’, prescindendo per un attimo da
come si sta svolgendo, ha in sé aspetti positivi difficilmente
contestatibli.
Rompere con la separatezza tra primarie e secondarie di primo grado non
è forse cosa buona e giusta in sè?
Le esperienze dei comprensivi, finora realizzate, pur nella diversità
dei casi, pongono certamente problemi, ma hanno permesso e
permettono anche soluzioni interessanti e innovative.
Probabilmente alcune pratiche di questo modello andrebbero sottoposte
ad esame più attento, come, ad esempio, la tendenza a sottovalutare la
discontinuità come valore che facilita la crescita: infatti, solo
nelle situazioni più avvedute (poche in verità) si prospetta e
favorisce nei ragazzi, attraverso opportune misure
didattico-organizzative, quel cambio di passo importante per imparare a
misurarsi con i cambiamenti della
vita. Va aggiunto che finora
hanno pesato sul modello organizzativo in verticale, là dove è stato
attuato, la difficoltà a mettere in campo occasioni di sviluppo
professionale e di riconoscimento delle professionalità più coltivate
ed esperte, oltre alla irrilevanza di valutazioni e monitoraggio da cui
derivare interventi correttivi. Fattori che hanno opacizzato -
opacizzano - anche questo modello. felicemente innovativo per il nostro
sistema, e hanno favorito il permanere della vecchia cultura dei
compartimenti stagni.
Comunque, l’opportunità di curricoli verticali, di percorsi formativi
più sensati perché più coerenti, costituisce un bene, dove la si
coglie. E percorsi formativi unitari e organici, dalle materne a
tutto il primo ciclo, previste dalle disposizioni inserite nelle ultime
due manovre economiche, costituiscono una scelta potenzialmente
positiva.
Viva il Ministro, Tremonti e Berlusconi, è il caso di dire, almeno
questa volta?
Purtroppo però, anche in questa occasione, per come si presenta, la
decisione di estendere a tutte le scuole del primo ciclo il
modello organizzativo in verticale fa correre il rischio molto concreto
di una ulteriore e vera e propria mazzata per ogni pur debole
speranza di rinascita della nostra scuola: le ultime misure della
Legge così detta ‘di stabilità’ sono molto di più della classica
ciliegina avvelenata sulla torta al vetriolo della manovra di metà
luglio.
Consideriamo ad esempio la scelta che da subito ha scatenato
discussioni e polemiche.
La Legge 111 (quella del 15 luglio u.s.), come è noto, prevedeva
che alle scuole con meno di 500 alunni non potessero essere assegnati
dirigenti scolastici titolari (il tetto è abbassato a 300 per le scuole
collocate in comunità montane o in piccole isole o nelle aree a statuto
speciale).
Ebbene, una disposizione della recente ‘Legge di stabilità’ porta
questi limiti rispettivamente a 600 e 400 unità.
In questo modo, il numero delle scuole che potrebbero rimanere
senza dirigente titolare – e quindi date in reggenza, con quel che ne
consegue - aumenta, secondo calcoli attendibili, di un buon 10-15%. A
meno di accorparle, gonfiando a dismisura il numero degli studenti dei
nuovi Istituti comprensivi.
Consideriamo il caso di Milano: la proposta dell’amministrazione
comunale (per ora soltanto una bozza, per fortuna) prevede che,
su 19 nuovi Istituti comprensivi – che aggregano ben 75 scuole
tra elementari e medie –, ben sette si avvicinino o superino i 1500
(una addirittura i 1773!) e cinque i 1300: di molto oltre la
soglia-capestro dei 1000 allievi, prevista dalla manovra di luglio.
Questo quadro prospettato, già di per sé pesante, diventa
allucinante ove si consideri che il numero delle scuole aggregate è
mediamente di 4 unità (o poco meno).
Ovviamente le scuole sono su sedi diverse e non sempre vicine.
Proviamo un po’ a pensare a come, in queste condizioni ipotizzate, il
Dirigente Scolastico (DS) potrà esercitare le sue prerogative - che
sulla carta rimangono intatte - di coordinamento e di direzione
unitaria e farsi garante, attraverso il POF, dell’”identità culturale e
progettuale” dell’Istituzione scolastica che gli viene affidata.
Tralasciando, per ora, altre questioni istituzionalmente spinose - come
l’invasione di un campo che è proprio di Regioni ed Enti locali (che
hanno competenze in materia di organizzazione della rete scolastica;
competenze messe in discussione dal 4° comma dell’articolo 19
della già citata Legge 111) -; o questioni organizzativamente pesanti,
per non dire disastrose - come la previsione di DSGA non solo
numericamente molto ridotti, ma, addirittura, operanti “a scavalco” di
più Istituzioni scolastiche autonome -, i problemi più grossi di fronte
ai quali ci troviamo non sono tuttavia legati solo al numero
degli studenti. Pesa, come sappiamo, in modo consistente anche e, per
alcuni versi, soprattutto, il numero delle sedi e la vicinanza o
meno tra di loro. È chiaro che avere un'unica sede non è la stessa cosa
che avere sette “sezioni staccate”; e avere sedi distanti tra di loro
10 km non equivale ad averle a 300 metri.
C’è poi il problema delle storie diverse e delle diverse identità
scolastiche delle istituzioni finora autonome, che certamente è
destinato a pesare.
C’è ancora la questione della formazione dei docenti per prepararli ad
una progettazione diversa dei percorsi formativi e a pratiche
didattiche più aperte e integrate.
Ma tutti questi problemi, e la conseguente necessità di porvi mano, non
potranno in nessun modo essere presi in considerazione per la fretta
precipitosa che segna negativamente l’intera operazione e rende
esplicito, se non lo si fosse capito, l’unico obiettivo
governativo del far cassa, a costo di scompaginare l’intero sistema.
Diceva giustamente il preside di una scuola sperimentale storica di
Milano, Rinascita (intervista a ‘la Repubblica’ del 21 ottobre):
“L’accorpamento non è di per sé un male. Estenderemmo volentieri il
nostro metodo sperimentale anche alle scuole elementari, ad esempio. Ma
ci vuol tempo; e il ministero con la sua fretta, non permette alcun
investimento su questa operazione. Ci chiede solo di diventare manager
buoni per la burocrazia”.
In questa frenesia che informa tutta l’operazione, si coglie evidente
anche il segno di un pressappochismo che non ammette giustificazione.
Non si gioca sulla pelle dei ragazzi; non si fa dell’improvvisazione in
un sistema già martoriato da riforme inconcludenti; peggio,
disorientanti. Nessuna crisi, per quanto grave può far passare sotto
silenzio misure che rischiano di essere un vero killeraggio per la
scuola pubblica.
(Le scuole private mai entreranno in questa logica
prevedibilmente suicida: pensate che al governo non ci abbiano fatto,
al riguardo, un qualche calcolo, secondo intenzioni non difficilmente
intuibili?).
Nessuno, né il ministro - che pure ha affermato,
prima di varare le ultime misure, che la scuola non avrebbe potuto
sopportare altri tagli. (Ha usato la parola ‘tagli’, sì) - né il suo
staff, ci hanno finora spiegato o hanno dimostrato di
interrogarsi sulle conseguenze di ciascuna misura prevista; e in modo
particolare
· sul modello di Istituzioni
Scolastica che si prefigura con i vincoli stabiliti,
· su come andrà a configurarsi il POF,
· su come saranno ridefinite le funzioni
del DS e la sua stessa missione,
· su quale formazione per il personale,
docente soprattutto, chiamato a dar vita a un modello
didattico-organizzativo diverso e innovativo per la maggior parte delle
nuove Istituzioni scolastiche che si costituiranno,
· sul lavoro delle segreterie e sulla
gestione del personale ATA, a fronte di un DSGA chiamato a
dividersi addirittura su più di una scuola autonoma.
Ci sono, a questo punto, ragionamenti sul ‘che fare’ che hanno
carattere di estrema urgenza.
E in primo luogo la questione ‘tempi dell’operazione’: quelli
prospettati sono con tutta evidenza dei ‘tempi capestro’.
Far slittare tutto di due-tre mesi (non è stato fatto questo per
le iscrizioni di due anni fa e non è morto nessuno?) sarebbe cosa
giusta e saggia, per permettere gli approfondimenti necessari (almeno
sulle misure più spinose e gravi), attraverso il coinvolgimento di
tutti gli attori, e la messa in campo di interventi opportuni ed equi
rispetto alle diverse necessità da fronteggiare.
Sappiamo purtroppo in partenza che nessuna proposta sensata sarà presa
in considerazione. E l’Italia, parafrasando Gaber, continuerà, in
prevalenza, “a giocare alle carte e a parlare di calcio nei bar”.
Facendo finta di niente.
O, questa volta, no? (di Antonio Valentino da Scuola Oggi)
redazione@aetnanet.org
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