Chi sono i precari della scuola, cosa vogliono, cosa sognano, cosa sperano...
Data: Venerdì, 21 ottobre 2011 ore 09:00:00 CEST
Argomento: Redazione


Sono sempre le parole che incarnano le idee e le storie degli uomini. Le parole cercate, sussurrate, gridate. Le parole che tutti vogliamo dire e che, invece, spesso, ci muoiono in bocca. Le parole che solo i poeti possono gridare, per tutti, liberandole per sempre. Così, anch’io, grido con le parole, cariche di sangue e speranza, di un amico poeta e collega, Francesco Sassetto, di Venezia. “Se anche una poesia può servire, anche minimamente, a dar voce ad altri che vivono una condizione di sfruttamento e sofferenza, per me, che scrivo poesie, è il risultato più importante. Grazie ancora, caro Angelo, a risentirci, ciao!”: tra i tanti messaggi, ricevo questa e-mail e una poesia.           




I precari della scuola

Noi siamo quelli che partono di notte, il vagone
sporco del regionale delle sei e venti ci carica
dagli imbuti neri dell'inverno di strade
senza nome, stralunati e lenti, le bocche
livide che stentano a parlare impastate
di sonno e caffè bevuto in fretta.

Noi siamo quelli che si possono cambiare,
i disponibili, i tappabuchi della scuola, quelli
che possono aspettare, che non lasciano
memoria, nomi senza volto e senza storia
a settembre in classe
a giugno fuori dal portone,
pedine d'una cinica scacchiera sgangherata
che vuole il pregio di dirsi istituzione.

Abbiamo dignità ferita e figli e affitti
da pagare, crocifissi da ordinanze e circolari
in perpetuo moto, veniamo sempre dopo
e presto spariremo cancellati nella gabbia
del contratto a scadenza prefissata,
abbiamo il presente, mai il futuro, noi offesi
senza più nemmeno la forza dello sdegno,
senza articolo diciotto o sindacato.

E qualche stracciato manifesto è tutto quel che resta
al muro di un'antica rabbia.

Sonnecchiamo, ritornando, al tempo fiacco
del vagone e parliamo della scuola e della casa,
se ci sarà lavoro l'anno venturo, sapendo già
che non ci rivedremo tutti dentro a questo
treno che dice polvere e stanchezza e rode
ore troppo lente, noi insieme adesso per sola
coincidenza e breve, noi esperti
dell'avvicendamento, professionisti del cambiamento
dove non cambia niente.

(Francesco Sassetto)


E si, caro collega Francesco, noi siamo quelli lì, carne e sangue, dignità e speranza…
Cari colleghi, scrivetela, questa poesia, sui muri delle scuole e nelle assemblee sindacali; leggetela nelle recite di natale, accanto al bue e all’asinello, o nei recital di fine anno, insieme ai nonni felici ed ai libri delle vacanze per regalo.
Noi siamo quelli che partono di notte, come briganti, lasciando all’improvviso, storditi e increduli, genitori anziani e mogli e figli e nipoti.
Noi siamo quelli che alle convocazioni vanno con la cartina geografica, il trolley e il figlioletto sottobraccio.
Noi siamo quelli che ogni anno, come pacchi postali, cambiano scuola e città, per un mozzicone di cattedra.
Noi siamo quelli che girano, come trottole, tutti gli uffici scolastici provinciali.
Noi siamo quelli che cambiano più colleghi che calzini, senza conoscere le loro vite, il loro “metodo di lavoro”, né se hanno figli e famiglie e sogni da sfamare.
Noi siamo quelli che a settembre trovano alloggio in un B & B, prenotato in internet, in attesa della “Pensione Marcolini”.
Noi siamo quelli che cercano una camera da dividere in tre, per gabbare affitto e solitudine.
Noi siamo quelli che incontrano tutti i dialetti d’Italia, laggiù, in sala docenti, tra registri di classe e circolari del preside.
Noi siamo quelli che non hanno diritto alle malattie, ai permessi retribuiti, alle ferie.
Noi siamo quelli che hanno ormai i capelli bianchi e accumulano, ancora, punti e punti, all’infinito.
Noi siamo quelli che si fanno coraggio, l’un l’altro, anche di notte, su facebook, ascoltando yuotube e la musica di Battiato.
Noi siamo quelli che pendono dalle labbra di AetnaNet.org per sentire le ultime dalla scuola.
Noi siamo quelli che vanno in vacanza in Tunisia…col sogno e la fantasia.
Noi siamo quelli che continuano a solcare mari in tempesta, in compagnia di Ulisse, in attesa di un provvido ritorno a Itaca, per ritrovare intatto, intagliato nell’ulivo, il talamo nuziale, e Penelope, a tessere ogni notte la sua tela, e Telemaco e il fido Argo.

Angelo Battiato (inviato speciale a Brescia)
angelo.battiato@istruzione.it





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