Tre domande scomode alla Gelmini sull’esame di terza media
Data: Giovedì, 20 ottobre 2011 ore 10:00:00 CEST Argomento: Associazioni
È innegabile la
valenza educativa di un esame alla fine di un ciclo scolastico se in
esso lo studente è convocato a valorizzare il percorso formativo
effettuato, a comunicare e a giudicare quanto appreso nelle diverse
discipline incrementando così la sua conoscenza e la sua autocoscienza.
In ordine a tali finalità va senza dubbio ripensata la forma dell’esame
al termine della terza media.
È stata recentemente espressa dal
ministro Gelmini la volontà di semplificare una prova che è diventata
mastodontica, senza perdere in qualità e serietà, affidando ai test
dell’Invalsi il compito di accertare gli apprendimenti di matematica e
probabilmente anche di inglese, e lasciando ai singoli istituti la
formulazione dello scritto di italiano e del colloquio orale.
Sicuramente pregevole il tentativo di rendere meno ridondante l’esame,
ma rimangono irrisolte alcune questioni sulle quali vale la pena
riflettere.
1 - Quali tipologie di prove e per
testare il raggiungimento di cosa? L’esame finale intende
valutare il raggiungimento di competenze quali la capacità di
interazione dialogica e di comunicazione nella propria lingua e in una
o due lingue straniere, la padronanza di linguaggi non verbali, la
conoscenza degli elementi fondamentali della nostra cultura umanistica
e scientifica (solo per citare alcuni dei “traguardi per lo sviluppo
delle competenze” descritti nelle Indicazioni per il curricolo)? O
vuole testare a campione il raggiungimento di obiettivi specifici di
apprendimento (numerosissimi negli elenchi suddivisi per discipline
delle indicazioni nazionali)? Oppure…? Occorre definire con precisione
gli scopi che l’esame si prefigge, per scegliere con oculatezza quali
prove somministrare. Un nota bene: chi si occupa di prove strutturate è
ben consapevole del diverso valore a fini statistici dei risultati di
un test senza finalità valutativa e anonimo rispetto ad un test
affrontato durante un esame, nominale e determinante per la
valutazione. Andrà dunque meglio definito il ruolo delle prove Invalsi
somministrate durante l’anno scolastico e quelle da svolgersi durante
l’esame finale. Hanno scopi ben diversi: le prime valutano il
sistema, le seconde il singolo studente.
2 - Quale il valore del voto di fine
primo ciclo? Considerando che la scuola dell’obbligo non finisce
con la terza media, che nessuno prenderà mai in considerazione il voto
dell’esame ai fini di un inserimento o in un istituto scolastico
superiore (le iscrizioni negli istituti superiori a giugno sono già
chiuse da mesi) o tanto meno in ambito lavorativo, che senso ha tale
voto se non il riconoscimento di un percorso effettuato in una certa
classe, con certi docenti, in un certo istituto dallo studente, utile
innanzitutto allo studente per conoscere e capire sé stesso? Perché
allora tanto accanimento nell’imporre la media matematica tra voto di
ammissione e risultati di prove diversissime per la sua determinazione
senza possibilità di qualsivoglia forma di bonus? Forse in nome
dell’oggettività? Ma è davvero possibile un simile grado di oggettività
nella valutazione? Addirittura: è davvero auspicabile? Gli studenti
normalmente vengono valutati tenendo conto degli standard della classe,
il ministero non impone dettagliati obiettivi di apprendimento anno per
anno, ma solo traguardi da raggiungere con percorsi didattici
personalizzati, in molti testi di legge si richiama all’attenzione alla
singola persona, con particolarissime deroghe per gli studenti in
situazione di handicap o affetti da disturbi dell’apprendimento. Siamo
nella scuola dell’obbligo. Come mai solo all’esame ci si preoccupa
dell’oggettività della valutazione?
3 - Chi esamina? Un’ultima
riflessione andrebbe fatta sulla composizione della commissione
esaminatrice, attualmente formata da un presidente esterno e
dall’intero consiglio di classe. A che pro la presenza di un esterno
nella commissione? Per garantire formalmente il corretto svolgimento
delle prove? In che misura la presenza del presidente di commissione
garantisce un’uniformità di valutazione sul territorio nazionale,
quando gli estensori delle prove sono in parte i docenti del consiglio
di classe, in parte gli esperti dell’Invalsi, gli esaminatori del
colloquio orale sono i docenti interni, i correttori e i valutatori
delle prove sono sempre gli stessi docenti? Forse basterebbe
responsabilizzare il dirigente scolastico circa il corretto svolgimento
delle prove per risparmiare parecchio denaro pubblico senza perdere in
qualità e rigore.
Auspicando sia ancora possibile un dialogo tra il legislatore, gli
esperti e i protagonisti della scuola (dirigenti e docenti) in vista
della riformulazione dell’esame finale, si è voluto qui sottolineare
l’urgenza di una riconquista dell’alto valore culturale ed educativo
della scuola, che impone di affrontare ogni particolare (tra cui la
revisione dell’esame finale) coscienti dello scopo dell’intero percorso
formativo. Perché l’esame è solo la punta dell’iceberg.
(di Raffaela Paggi da http://www.ilsussidiario.net/)
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