Gelmini e i precari. I pochi dati dal Miur mostrano che la precarietà resterà strutturale senza seri interventi
Data: Mercoledì, 19 ottobre 2011 ore 07:33:13 CEST Argomento: Comunicati
Dopo una lunga
attesa, sono stati finalmente resi noti dal MIUR taluni dati statistici
riguardanti alcuni aspetti del sistema d’istruzione: evidentemente
qualcuno ha segnalato alla ministra che esiste un preciso obbligo di
legge circa la divulgazione dei dati raccolti per il servizio
statistico nazionale!
Le informazioni desumibili dai dati sono necessari per qualsiasi
considerazione sul sistema di istruzione e per valutare gli effetti
degli interventi attuati dall’attuale governo di destra, che abbiamo
contrastato fin dalla loro approvazione. Effetti che già oggi, scuola
per scuola, appaiono disastrosi a chi nel nostro sistema di istruzione
studia e lavora.
Sulla base dei dati resi noti, pare pertanto opportuno avanzare alcune
riflessioni, a partire da quelli sull’esito dell’esame di maturità. Se
da un lato diminuisce la percentuale dei bocciati, dall’altro si
abbassa il voto finale: si tratta di due andamenti che andrebbero
indagati insieme, invece di limitarsi a nascondere il fenomeno – come
pare abbia fatto la ministra – per timore che la retorica del rigore
subisse un contraccolpo.
I dati sul sostegno agli alunni
disabili informano che mentre cresce il numero degli studenti i docenti
diminuiscono percentualmente: nel 2006/07 si registrava un docente ogni
1,91 alunni, nel 2011-12 ve ne è uno ogni 1,99.
Molto interessanti paiono poi i dati che riguardano i docenti precari
rispetto a quelli di ruolo e che smentiscono totalmente la propaganda
propalata dalla ministra su tale argomento. Risulta, infatti, che
nell’anno scolastico 2010/11 i precari siano 115.000: di questi, come
risulta dai dati resi noti dalla Corte dei Conti nel Rendiconto annuale
per il 2010, 23.640 hanno avuto un incarico annuale e ben 92.113 sono
stati assunti fino al termine dell’anno scolastico.
Rispetto al totale dei docenti (778.736 unità), i precari rappresentano
il 14,9%: interessante notare che si tratta della stessa percentuale
registrata nell’anno scolastico 2005/06, riferita ad un totale di
834.683 docenti. La percentuale dei docenti precari resta dunque la
stessa a fronte di una diminuzione di ben 55.947 unità (di cui 47.551 a
tempo indeterminato) del totale dei docenti in servizio. Si aggiunga
che nel biennio 2008/9 - 2009/10 è stato operato agli organici un
taglio di 67 mila posti, con il licenziamento di alcune decine di
migliaia di precari.
Ma come è possibile che la percentuale dei docenti precari in servizio
non sia diminuita nonostante la riduzione degli organici? Non solo
perché i docenti precari assunti non coincidono sempre, per materie ed
ambiti provinciali, con i posti cancellati, ma soprattutto perché i
posti lasciati liberi dai pensionamenti non corrispondono con quelli
tagliati in maniera pressoché lineare. Peraltro, anche con le nomine
effettuate per l’anno scolastico in corso il fenomeno dei docenti
precari non subirà rilevanti variazioni, poiché ci si è limitati al
turn-over. È quindi del tutto evidente che il fenomeno è destinato a
permanere “negativamente strutturale” se non si procede con regolarità
al reclutamento in ruolo e se non si mettono a disposizione tutti i
posti vacanti, anche al fine di realizzare l’organico funzionale
all’offerta formativa prevista nel piano di istituto.
Di fronte a queste evidenze paiono destituite di fondamento le
dichiarazioni della ministra in merito ad una presunta maggiore
“stabilità” della scuola e crollano miseramente le sue litanie
propagandistiche che liquidavano il fenomeno del precariato come un
sistema eterodiretto finalizzato alla creazione di un ammortizzatore
sociale, fonte di inutili sprechi e bubbone da estirpare attraverso la
politica dei tagli massicci agli organici. Politica prontamente attuata
dalla ministra, che non ha ridotto il precariato ma danneggiato il
nostro sistema scolastico. A fronte di questi dati incontrovertibili,
non sarebbe opportuno che la ministra – per il bene del nostro sistema
pubblico di istruzione e della sua dignità – riconoscesse la fallacia
delle teorie finora propugnate e mostrasse la volontà di comprendere un
fenomeno complesso mettendo in campo reali misure per superarlo?
Tra i dati resi noti dal Miur mancano quelli sul tempo scuola: è dal
2008 che lamentiamo l'assenza di informazioni sui moduli didattici e
sul funzionamento della scuola. Perché tale silenzio? Forse che
qualcuno al ministero ritiene sconveniente far conoscere al Paese, ad
esempio, che il ritorno al "maestro unico" - la prima "riforma
epocale" della ministra - è stato bocciato dalle famiglie?
Stando a quanto afferma la Relazione della Corte dei Conti sul
rendiconto dello Stato parrebbe proprio di sì: da essa si apprendere
che nell'anno scolastico 2009/20 solo lo 0,5 delle classi prime è stato
costituito con orario settimanale di 24 ore, a testimonianza del fatto
che le famiglie hanno orientato la propria scelta verso moduli
didattici ad orario scolastico più lungo (27, 30 e 40 ore).
Restiamo pertanto in attesa di conoscere tutti i dati sul
funzionamento della scuola primaria dopo gli interventi a “gamba tesa”
della ministra. Gli ultimi dati ufficiali risalgono all’anno scolastico
2007/08, quando su un totale di 2.275.310 studenti, 669.101
frequentavano classi di 40 ore settimanali a tempo pieno (due
insegnanti con 4 ore di compresenza); 430.770 erano in classi con un
orario settimanale variante dalle 31 alle 39 ore con mensa (i
cosiddetti “moduli con team di docenti”); 53.311 in classi da 31 a 39
ore senza mensa; 1.303.473 frequentavano classi con un orario variante
tra le 28 e le 30 ore settimanali e 118.665 stavano in classi con 27
ore settimanali. Qual è la situazione oggi? Coraggio ministra Gelmini
tiri fuori il “cadavere” dal cassetto! di Manuela
Ghizzoni (da Pd)
redazione@aetnanet.org
|
|