Se l'ignoranza non è beata. La catanese Priulla in un libro sulla scuola: «Resteranno solo i mediocri»
Data: Lunedì, 17 ottobre 2011 ore 06:30:00 CEST
Argomento: Recensioni


Un giorno Graziella Priulla, docente di sociologia dei processi culturali, parcheggiò la sua vecchia Fiat 600 davanti all'università di Catania e si sentì sbeffeggiare da un suo alunno: «Non ne valeva la pena studiare tanto eh?». In quel momento, capì che il ragazzo non solo pensava che la cultura non bastasse per comprarsi una bella auto, ma che «non servisse proprio a niente».
UNA GENERAZIONE DI IGNORANTI. D'altronde, in un mondo in cui i benefici materiali sono la cartina di tornasole di ogni sforzo fisico e intellettuale, per il suo studente «fare quell'osservazione era normale».
Come racconta nel suo libro, L'Italia dell'ignoranza, edito da Franco Angeli e in libreria a fine ottobre, «i nostri giovani sono i nuovi poveri e non solo sul piano materiale. Intere generazioni hanno deficit culturali inauditi, dispongono solo di una versione rattrappita della lingua italiana, hanno perduto le competenze semantiche, storiche e logiche, non riescono più a concatenare gli eventi. Meno del 20% dei 15enni è in grado di leggere correntemente».
Una vera e propria «Caporetto cognitiva», come scrisse il sociologo Luca Ricolfi nel 2009, che Priulla ha cercato di raccontare nel suo libro attraverso impietosi dati di indagini nazionali e internazionali, considerazioni ed esempi di vita quotidiana.                         
CRISI DEL SISTEMA EDUCATIVO. Per arrivare a constatare ancora una volta che la crisi del sistema educativo è totale. «Il titolo di studi non è più visto come un traguardo per la propria istruzione, ma un certificato necessario solo per fare un concorso».
In pratica, si è passati dall'homo sapiens all'homo zappienz: «I ragazzi oggi fanno zapping anche tra i libri, vivono in un mondo bricolage che non è un puzzle, però». Manca infatti una visione globale e si vive in una società «che non crede più nel valore della cultura», ha raccontato a Lettera43.it Priulla: «Si spendono 800 mila euro per divulgare la caponata nel mondo, per sponsorizzare la sagra del carciofo e poi si taglia su musei, libri e teatri».
E così è facile trovarsi in una scuola che va a passo di gambero,«dove davanti a un turn over tremendo c'è solo qualche sverniciata di modernità, e imperano il nozionismo e il buonismo. Che alla fine porta sempre a dire: ma sì, promuoviamoli tutti».
In un Paese che ha come prospettiva la competitività mondiale - ma conta intere generazioni «che non sanno neanche fare di conto e pensano che oltre al sistema maggioritario ci sia il minoritario» - succede che l'arrivo dei barbari non sia poi un futuro così lontano: «I più bravi se ne andranno, e in Italia resteranno solo i poveri e i mediocri».
DOMANDA. Di chi è la responsabilità di questa débâcle?
RISPOSTA. Dalla famiglia alla scuola, dall'ambiente di lavoro alla classe dirigente di questo Paese, c'è stato un totale sdoganamento del disprezzo per la cultura. E il ministro dell'Istruzione Mariastella Gelmini ne è il primo esempio.
D. Perché?
R. È un'aberrazione totale, lei stessa è priva del vocabolario, dice i carceri anziché le carceri, l'egìda anziché l'ègida. Insomma, ti lascia senza parole.
D. Ma sono i suoi tagli a togliere il fiato.
R. La legge di bilancio del 2010 ha ridotto i già inadeguati finanziamenti alla scuola del 2009 di 227 milioni di euro e per il 2011 la competenza scende ancora: 52.492,8 milioni di euro. Non sono previsti nemmeno i fondi per i libri della scuola primaria.
D. Eppure Gelmini parla di modernizzazione attraverso computer e nuovi software da usare in classe...
R. Si è vantata di aver comprato lavagne interattive multimediali (Lim), ma che senso ha averle se poi i docenti le usano come lavagne normali perché non hanno il materiale digitale necessario né le competenze?
D. Anche i docenti sono sempre meno preparati?
R. Il ministero non paga i corsi di formazione e loro non hanno i soldi per poterseli autofinanziare. C'è un impoverimento culturale e sociale anche degli insegnanti. Prima era una professione rinomata, oggi è disprezzata, diventa spesso un ripiego. In fondo guadagna più un parcheggiatore abusivo di un maestro delle elementari.
D. E quelli di ruolo stanno scomparendo.
R. Ormai abbiamo insegnanti itineranti. All'inizio di ogni anno un docente su quattro non insegna più nella stessa scuola dell'anno precedente, abbiamo il tasso di turn over più alto d'Europa. Per il 2009-2010, il ministero segnalava una diminuzione del 4% degli insegnanti di ruolo. La continuità didattica non esiste più.
D. Insegnamento precario significa cultura precaria?
R. Si usano i precari come tappabuchi low cost: 247 mila sono gli abilitati all'insegnamento iscritti alle oltre 100 liste provinciali d'attesa sparse per l'Italia. Nel 2008-2009 erano 130.835 (il 15,66% del totale) e ben 110.553 sono stati congedati con il più grande licenziamento di massa della storia repubblicana.
D. Ora ci sono meno insegnanti, ma più classi affollate?
R. Nel 2010-2011, nella scuola primaria, si contano 6.920 alunni in più eppure sono state istituite 1.664 classi in meno. Nel totale ci sono 3.788 classi in meno rispetto all'anno precedente contro un aumento di 20.656 alunni.
D. Gelmini nega però un aumento delle classi pollaio.
R. In Sicilia ci sono moltissime aule con 41 studenti, ma il ministro si rifiuta di dare le cifre. E quando le dà sono sbagliate. Usa la comunicazione pubblica come fosse pubblicità.
D. Prima era meglio?
R. Il ministero pubblicava sempre un rapporto annuale La scuola in cifre, in cui si poteva capire come stava andando. Ma da tre anni non esce più. Chissà perché...
D. E intanto le scuole private vanno a gonfie vele?
R. Il rapporto italiano 2010 di Eurispes registra un aumento di iscrizioni alle scuole private. Nella finanziaria, varata nel novembre 2010 dai fondi della presidenza del Consiglio, sono stati prelevati 245 milioni di euro per finanziarle.
D. A riconoscere le paritarie come parte del sistema nazionale di istruzione fu però il governo D'Alema nel 2000.
R. È stata una mossa politica per tenersi buono il Vaticano. Ma ora le risorse della scuola pubblica sono sempre più dirottate in quel mondo.
D. L'autonomia non doveva essere un'occasione per aumentare la competitività con le private?
R. Doveva permettere ai cittadini di scegliere, ma è impossibile perché oggi non ci sono dati sul livello di organizzazione delle scuole, sul numero di docenti, sulle loro qualifiche e i risultati ottenuti. È un'anarchia totale.
D. Però il numero dei bocciati è diminuito?
R. Appunto. Gli studenti hanno lacune che non vengono mai colmate e gli insegnanti si scaricano le responsabilità a vicenda. Impera solo il nozionismo e il buonismo. Che alla fine porta sempre a dire: ma sì, promuoviamoli tutti.
D. Davanti a questo panorama desolante, la colpa è tutta della scuola?
R. Siamo passati da Tullio De Mauro a Gelmini, ma una donna sola non può essere l'unica responsabile. Dietro c'è un rimbambimento collettivo che dura da 20 anni.
D. Parla del ventennio berlusconiano?
R. È la generazione dei quiz. Questo è il risultato di anni di volgarità, di faccendieri e veline. Questi ragazzi sono figli del loro tempo, ma non è giusto dare solo a loro la colpa.
D. Come scrive nel suo libro, arriveranno davvero i barbari?
R. Ho paura che siano già arrivati, come dice Umberto Eco andiamo «a passo di gambero». Almeno dovremo iniziare a prenderne atto e guardare in faccia la realtà.
D. Cosa sperare?
R. Siamo partiti da una scuola poco democratica che insegnava molto a pochi, ora ne abbiamo una uguale che insegna poco a molti. Dovremmo costruirne una nuova che insegni molto a molti.           (da Lettera43.it)

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