Un concorso ... sulla bocca di tutti . Concorsi secondo Costituzione
Data: Domenica, 02 ottobre 2011 ore 18:30:00 CEST
Argomento: Rassegna stampa


Ancora una volta si parla di scuola nelle prime pagine dei giornali, per episodi, fatti, incidenti, che  mettono in ridicolo l’operato delle istituzioni, in questo caso del Ministero dell’istruzione, incapace  di produrre una procedura trasparente, corretta, sensata, per il reclutamento dei nuovi dirigenti  scolastici. Di questo passo la scuola pubblica subisce ogni giorno una erosione di credibilità che ne  mette a rischio l’immagine ed il ruolo di fronte alla società.
Nel caso concreto del prossimo concorso a dirigente si sommano vizi antichi e recenti del nostro  sistema scolastico. Intanto la mancanza di una visione di prospettiva, di una capacità di governo. Se  i concorsi sono previsti ogni tre anni, l’ultimo svolto nel 2005, perché aspettare 6 anni a bandirlo?  Si è consapevoli che ormai un terzo abbondante delle istituzioni scolastiche autonome è senza  dirigenti scolastici titolari (affidate in reggenza ad altri) e che questo le rende più fragili, più  precarie, più esposte a pressioni e spinte localistiche?    
           Molte ricerche ed evidenze ci dicono che una  leadership coerente e partecipativa, ispirata ai valori della comunità professionale, alla capacità di  suscitare energie positive, impegno, professionalità è in grado di fare la differenza tra una scuola e  l’altra. Se è così, lasciare tante scuole senza dirigenti è una omissione grave, imperdonabile, che si  aggiunge ad altri segnali di “abbandono”: concorso per dirigenti tecnici fatto dopo 17 anni di  silenzio, smantellamento di tutte le strutture di supporto tecnico alle scuole, riduzione di risorse per  la formazione in servizio... Forse si ha in mente di gestire il sistema con “commissari ad acta”, che  rispondano direttamente all’esecutivo, limitando di fatto l’autonomia di ricerca e di iniziativa delle  scuole?
Dirigenti a testa alta 
Quando si bandisce (o non si bandisce) un concorso pubblico emerge comunque un’idea di  funzione, un profilo, una aspettativa. E’ così anche per i dirigenti scolastici. Ma qual è l’idea di   dirigente che si ha in mente? Ripercorrendo gli oltre 60 nuclei di conoscenze che un dirigente
dovrebbe padroneggiare – e malamente rappresentati dagli oltre 5.000 quesiti scodellati
frettolosamente durante l’estate – rischia di emergere una figura meramente esecutiva, tutta protesa
agli adempimenti di legge ed amministrativi, appesantita dai compiti gestionali (gestione è la parola
più ricorrente), cui si richiede una inutile erudizione su aspetti spesso marginali ed opinabili. Non ci
convince l’assunzione del modello del preside “capo-ufficio” che traspare dagli articoli del Decreto
Brunetta sulla dirigenza pubblica (D.lgs 150/2010), di cui si rafforzano i poteri gerarchici, di
sanzione disciplinare, di atti unilaterali e non concertati, che è lontanissimo da quanto si richiede in
un ambiente culturale aperto come è una scuola, che esige rapporti collaborativi, capacità di
comunicazione, di coinvolgimento, di condivisione di scelte, di assunzione di responsabilità in
prima persona. Il dirigente scolastico deve saper esprimere una visione di scuola, un pensiero
strategico, una capacità di proiezione nel territorio, costruire il senso del gioco di squadra e della
coesione. Tutto ciò non vien fuori dai test, bisognerebbe invece mettere alla prova capacità di
analisi, impostazione di problemi e decisioni, rielaborazione di scritture professionali. I concorsi
dovrebbero avere scadenze fisiologiche (in Francia si fanno ogni anno) e non trasformarsi in
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pesantissime “tradotte” a cui agganciare ogni tipo di aspettativa o di contenzioso (una prova per la
vita). La mancanza di seri percorsi di progressione professionale nella docenza, la scarsa possibilità
di svolgere funzioni di ricerca e studio e di un’articolazione in profili funzionali all’autonomia,
generano un’indebita pressione sul concorso dirigenziale (come testimoniano le 42.000 richieste di
partecipazione a questo ultimo bando).
Cosa fatta, capo ha?
Non vogliamo che la montagna di critiche che si sta rovesciando sull’attuale procedura concorsuale
possa mettere a rischio la possibilità di scegliere una nuova generazione di dirigenti scolastici (oltre
2000) capace di inserirsi con nuove energie e competenze nella scuola italiana. Ma alcune esigenze
si impongono:
a) si faccia una radicale semplificazione della batteria dei test preselettivi, affidandosi ad un
comitato scientifico di sicura garanzia e imparzialità (anche se questo può comportare uno
spostamento tecnico di qualche giorno delle prove d’esame);
b) si superi comunque la soglia di sbarramento dell’80% di quesiti corretti, che non ha alcun
fondamento statistico o docimologico e si agganci l’esito del “testing” al numero dei posti
disponibili in ogni regione (ad esempio, nella misura di 7 ammessi ogni posto disponibile);
il testing non è un esame di abilitazione, ma una prova funzionale a rendere agibile le fasi
più impegnative del concorso;
c) se non si è in grado di far fronte a questi cambiamenti, si abbia il coraggio di derubricare la
prova selettiva del testing in prova di orientamento e di rilevazione di conoscenze in
ingresso, su cui innestare le successive attività di formazione (dove sono finiti i corsi-
concorsi per l’accesso alla Pubblica Amministrazione)?
d) si garantiscano pluralismo, trasparenza, autorevolezza nella scelta delle commissioni
d’esame e nelle successive operazioni concorsuali, di reclutamento e di formazione, a
presidio dell’autonomia culturale ed istituzionale della futura dirigenza.
Un concorso nato male, mal accompagnato, che rischia di finire nel ridicolo, può essere “salvato”
solo se il Governo e l’Amministrazione si assumono le loro responsabilità e provvedono a ridurre
con scelte rapide i rischi di una generale confusione.
Roma, 29 settembre 2011
Gruppo di lavoro nazionale dirigenti scolastici
2    (da Cidi)

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