Per salvare la scuola voti alla qualità e se fallisse la scuola fallirebbe la nazione
Data: Lunedì, 26 settembre 2011 ore 14:55:00 CEST Argomento: Rassegna stampa
Mi propongo di
distrarre i lettori dalle priorità del momento: l'attenzione ai debiti
pubblici (e privati) e all'equa ripartizione dei sacrifici per
onorarli. In materia di deficit ricordo che, confrontato ai Paesi più
avanzati, il nostro è un Paese con un altro pesante deficit: quello di
istruzione. Viviamo in un Paese ad alto tasso di ignoranza: il 48%
della popolazione dai 25 ai 64anni (dati Ocse) possiede al massimo la
licenza media (nei Paesi avanzati il 15-25%) e solo il 35% dei
cittadini ha un adeguato patrimonio di competenze (contro il 50-70% dei
Paesi con cui competiamo). Ma gli italiani sono così: una popolazione
con scarse conoscenze e cultura, sempre a rischio di facili
manipolazioni. Non credo di caricare le tinte se affermo che
l'ignoranza dovrebbe essere considerata quasi una "malattia" da curare,
visto che esclude dall'esercizio responsabile dei diritti e dei doveri
e ormai anche dal lavoro.
Ora, guardando agli insegnanti (oltre un milione, precari inclusi) è
evidente che formazione, selezione, reclutamento, condizioni di lavoro,
incentivi a migliorare e riconoscimento dei meriti dovrebbero essere al
centro dell'attenzione dei decisori pubblici. Perché non dedicare agli
operatori della scuola almeno altrettanta attenzione di quella
riservata al destino dei metalmeccanici della Fiat? Se la Fiat
malauguratamente fallisse sarebbe gravissimo per tutti, ma si potrebbe
pur sempre comprare una Volkswagen.
Se invece fosse la scuola italiana a degradare per la colpevole incuria
verso i suoi operatori, che ne sarebbe
delle nuove generazioni?
Sul tema degli insegnanti purtroppo saltano all'occhio tre preoccupanti
paradossi:
1°) tutti concordano che
l'istruzione-educazione è sempre più cruciale per la vita e per il
lavoro, ma al contempo il loro prestigio e il loro status è in continuo
declino, nell'assenza di provvedimenti radicali;
2°) gli insegnanti passano gran parte
del tempo lavorativo a valutare le prestazioni degli studenti, ma poi
molti sono resistenti quando si tratta di sottoporre a valutazione la
propria qualità professionale;
3°) la maggioranza degli insegnanti
lamenta l'assenza di un sistema di incentivazione che premi le
professionalità meritevoli, ma poi gli stessi sono critici riguardo
all'introduzione di procedure di valutazione senza le quali vengono a
mancare i criteri con cui elargire gli incentivi che pure invocano.
Non è una provocazione affermare che le scuole pubbliche italiane sono
luoghi molto "privati", visto che di loro nessuno sa alcunché. In tutti
i Paesi avanzati i governi (di destra o di sinistra) sono impegnati
alla costruzione di un Sistema nazionale di valutazione del servizio
scuola perché l'opinione pubblica e i decisori pubblici hanno il
diritto di avere una bussola per sapere «dove siamo e dove stiamo
andando» e confrontare l'efficacia del proprio sistema scolastico con
quello di altri Paesi. In questa prospettiva il ministro Gelmini,
procedendo sulla strada avviata dai ministeri Berlinguer e successivi,
ha potenziato l'Invalsi per monitorare in modo più oggettivo (con test
nazionali) gli apprendimenti degli studenti. Ha anche realizzato due
serie e originali sperimentazioni su piccola scala volte a stimolare
miglioramenti e a premiare i meriti: una per la valutazione
dell'efficacia delle singole scuole e un'altra per l'individuazione, in
ogni scuola, di una fascia (20-30%) di insegnanti meritevoli di
«generale e comprovato apprezzamento professionale». Sulle due sperimentazioni sono in corso
ricerche affidate dal ministero a istituzioni scientifiche indipendenti
(Associazione TreeLLLe, Fondazione per la scuola della Compagnia di San Paolo, Fondazione Agnelli)
che prevedono anche di raccogliere critiche e suggerimenti dagli
operatori delle scuole coinvolte.
Nessun metodo di valutazione per le scuole o per gli insegnanti sarà
mai perfetto, ma un priorità deve prevalere: superare da un lato la
mancanza di ispezioni e valutazioni dei punti di forza e debolezza
dell'operato di ciascuna scuola (per l'Ocse, tra 33 Paesi esaminati,
ciò avviene solo in Italia, Grecia, Lussemburgo e Messico), dall'altro
la grave iniquità di un egualitarismo retributivo, privo di
riconoscimenti dei meriti e di prospettive di carriera. E ciò che non si valuta mai, perde
fatalmente valore. È questo che vogliamo per la scuola italiana e che
vogliono i suoi principali attori? (da Il Sole 24 Ore )
Presidente Associazionte TreeLLLe
oliva_at_treellle.org
|
|