Le quattro stagioni della scuola pubblica e un patto per la sua rinascita, nell’ultimo libro del pedagogista Franco Frabboni
Data: Lunedì, 19 settembre 2011 ore 19:00:00 CEST Argomento: Rassegna stampa
Un volume per tesi,
che attraverso l’analisi delle quattro stagioni attraversate dalla
scuola italiana dal 1960 ad oggi punta a dimostrare che un patto per
rifondarla e rilanciarla, tra le forze politiche oggi all’opposizione è
possibile quanto necessario.
E’ questo il fulcro dell’ultima pubblicazione del docente e pedagogista
Franco Frabboni, “Una scuola condivisa” (Liguori Edizioni), presentato
alla Festa Democratica Nazionale della Scuola a Modena. Ne hanno
discusso, insieme all’autore, Adriana Querzè, assessore all’Istruzione
di Modena, e Adriana Comaschi, giornalista de L’Unità. Al termine della
presentazione, Frabboni ha accettato di rispondere alle nostre
domande.
Professor Frabboni, quali sono state le stagioni della scuola pubblica
italiana che lei descrive nel suo ultimo libro?
Le due stagioni “luminose”, la primavera e l’estate, corrispondono al
periodo tra il 1960 e il 2000. La primavera è la stagione dei grandi
pedagogisti, laici e cattolici, che insieme hanno saputo dare
un’impostazione inclusiva e volta all’emancipazione degli individui
alla nostra scuola. L’estate arriva con l’affermazione del tempo pieno
e prolungato, che porta nel 2000 la nostra scuola primaria ad essere
considerata la migliore in Europa, copiata e studiata nel resto del
mondo. Ma il 2000 è anche l’anno del documento di Lisbona, che lancia
gli obiettivi per la società della conoscenza. L’autunno comincia con
l’arrivo della Moratti e si trasforma in inverno con la Gelmini, che ha
ribaltato i pilastri su cui si fondava la nostra scuola: da democratica
a meritocratica, da inclusiva a separatista, dal pensiero critico e
plurale all’infanzia imbalsamata, dalla solidarietà alla competizione.
Un periodo buio in cui scivoliamo nelle classifiche europee fino
all’attuale 13mo posto, frutto anche di un ulteriore imbarbarimento
della classe politica di governo.
Il fatto che lei indichi come primavera ed estate due stagioni ormai
lontane, significa che la scuola condivisa va costruita guardando al
passato?
No, naturalmente non è possibile una semplice riproposizione del
passato. Ma occorre una condivisione nelle grandi finalità. La scuola
di quegli anni poggiava su di una cultura pedagogica cattolica e laica
insieme, che teneva uniti alcuni valori e alcuni obiettivi di fondo.
Oggi questi pilastri stanno nella difesa della scuola pubblica, che non
significa cancellare la parità scolastica, ma riformarne i criteri per
tutelare la qualità; nella scuola laica, che non è contrapposta al
pensiero cattolico, ma tutela anzi il pensiero plurale;
nell’apprendimento permanente, per tutto l’arco della vita. Questa è
una grande esigenza attuale, perché altrimenti l’analfabetismo di
ritorno diventa un dramma. La fruizione dei media, dalla TV ai
computer, deve poggiare su basi cognitive che restano nel corso della
vita, bisogna puntare sulle “intelligenze multiple” di Gardner.
L’apprendimento degli adulti e della terza età ha effetti positivi
sulla produttività del lavoro e sulla salute degli anziani, con
ricadute positive per l’intera società.
Oggi la scuola pubblica sembra il terreno di una guerra permanente fra
opposti ideologici destinati a non incontrarsi mai, eppure lei
scommette su un patto possibile fra forze politiche diverse per una
scuola condivisa. Come si ricostruisce l’incontro su un terreno comune?
E’ possibile, con un cambio di scenario politico, archiviare la
demonizzazione della cultura del ’68, l’abituale confusione tra merito
e meritocrazia, la cancellazione delle regole condivise, nel nome della
lotta al “permissivismo”, con atteggiamenti autoritari e punitivi?
Io ho l’impressione che le posizioni tra il Partito Democratico, le
altre forze del centrosinistra e il nuovo Terzo Polo si siano nel tempo
riavvicinate. E’ vero che qualcuno nel centrosinistra è caduto nel
tranello dell’”emergenza scuola”, si è fatto colpire dalla propaganda
sulla “meritocrazia”, ma su questi fondamenti c’è la possibilità di
mettersi d’accordo. Il merito, ad esempio, va premiato, ma questo tema,
quello dell’eccellenza, riguarda soprattutto l’università. Occorre
mettere le mani sulla condizione attuale delle scuole: completare un
percorso iniziato e mai portato fino alle scuole secondarie, colmare il
divario crescente tra istituti professionali, tecnici e licei. In
passato la scuola svolgeva un ruolo di emancipazione, oggi non più.
Aumentare a dismisura le tasse e i costi dei percorsi di istruzione
vuol dire operare una selezione di classe. Tutto questo va bonificato
attraverso un patto di stabilità, che metta la scuola al riparo dagli
scossoni politici e lavori per un cambiamento in profondità.
Nel corso della Festa Democratica Nazionale della Scuola, molti
relatori hanno posto la necessità, nel momento in cui il centrosinistra
dovesse tornare al governo, di ripartire soprattutto dalla
valorizzazione delle esperienze positive, lasciando per una volta la
scuola al riparo dall’ennesima riforma che stravolge tutto. Lei che
cosa ne pensa? Viene prima la riforma dei cicli o il rilancio
dell’autonomia scolastica?
La riforma dei cicli è la prima condizione, è assolutamente necessaria.
Abbiamo portato per legge l’obbligo scolastico a 16 anni ma è evidente
che a questa misura si deve accompagnare una riorganizzazione dei
percorsi formativi sullo schema del 4+4+2. Questo è indispensabile
perché la scuola dell’obbligo possa ridurre la selezione che applica
ora, bisogna mettere mano sulla scuola secondaria per renderla
all’altezza dei suoi obiettivi.
Terminiamo con il tema dei docenti: nel patto per la scuola condivisa,
ci sarà spazio per definire una volta per tutte un percorso di
formazione iniziale e di accesso all’insegnamento?
La formazione iniziale è stata cancellata e occorre ripristinarla.
Penso che le SSIS vadano ripristinate, magari non con una struttura
unica, ma all’interno delle diverse facoltà universitarie. Poi Scienze
della Formazione dovrebbe fare da congiunzione tra i percorsi,
occupandosi di fornire gli strumenti metodologici, della didattica, ai
futuri insegnanti. (intervista a
cura di Giulia Tosoni da rassegna Partito Democratico)
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