Poveri insegnanti, povera scuola
Data: Lunedì, 19 settembre 2011 ore 06:12:28 CEST Argomento: Rassegna stampa
Non c’era
bisogno di aspettare i risultati del rapporto comparativo sullo stato
di salute della scuola dei Paesi Ocse per scoprire che nel nostro Paese
i problemi dell’istruzione sono precipitati agli ultimi gradini nella
scala del pubblico interesse. Con quel velo di ipocrisia che fa
disperare sulla possibilità di una risalita, almeno in tempi brevi. A
tal punto che, dopo l’ennesima bocciatura del nostro sistema
scolastico, al ministero di viale Trastevere, anziché strapparsi i
capelli, hanno deciso di autopromuoversi, emanando un comunicato che
esprime soddisfazione da parte del ministro Gelmini e del suo
staff.
Il dato più grave dell’indagine Education at a Glance 2011,
appena pubblicata, riguarda proprio la classe insegnante,
che era e rimane il nodo del problema. Gli stipendi dei maestri e dei
professori italiani sono mediamente inferiori del 40% rispetto
alle retribuzioni degli altri paesi Ocse. Come dire che un giovane
preparato e talentuoso, nel nostro Paese, dovrebbe sopportare anni e
anni di precariato per ambire a uno stipendio da fame. Senza
prospettive di cambiamento.
Infatti, se tra il 2000 e il 2009 nei Paesi Ocse gli
stipendi degli insegnanti sono aumentati in media del 7%, in Italia
sono addirittura diminuiti di un punto. Non sono questi i presupposti
di una scuola di qualità, inutile nasconderlo. Se i Governi di centro e
di centrosinistra nel passato hanno creato non pochi danni, con la
complicità dei sindacati, quello attuale deve dichiarare il suo
fallimento. Erano partiti lancia in resta, con l’obiettivo di ridare
alla classe insegnante maggior considerazione presso l’opinione
pubblica, il che mal si concilia con una delle retribuzioni più basse
nella scala impiegatizia.
Non ancora classi pollaio, però...
D’altra parte, se ce ne fosse bisogno, il rapporto conferma che la
scuola non è una priorità per i nostri politici : nel 2008 l`Italia ha
speso il 4,8% del Pil per l’istruzione, ovvero 1,3 punti percentuali in
meno rispetto al totale Ocse, posizionandosi al 29 posto su 34 Paesi.
Senza considerare che, su 33 paesi dell'Ocse i cui dati sono
disponibili, l'Italia è uno dei pochissimi (insieme a Grecia,
Lussemburgo e Messico) che non prevede ispezioni scolastiche, né
valutazioni del proprio operato da parte di ciascuna scuola.
Diventa difficile, a questo punto, accontentarsi
dei pochi numeri che tornano. E che, in ogni caso, vanno interpretati.
Secondo il Rapporto, infatti, i nostri studenti, nel corso dell’anno,
stanno sui banchi un po’ di più degli altri. Il tempo scuola, negli
altri paesi Ocse, è in media di 6.732 ore mentre in Italia andiamo sino
a 8.316 ore. Basta buttare sulla bilancia le ore del tempo lungo o del
tempo pieno delle scuole primarie del Nord e del Centro, in
controtendenza rispetto al Sud, per dare conto di un primato che non
può essere considerato, di per sé, un indicatore di qualità.
Ancora. Nonostante i tagli non saremmo ancora
arrivati, secondo il Rapporto, alle classi pollaio. In media nei Paesi
Ocse vi sono 16 studenti per insegnante nella scuola primaria, che
diventano 13,5 al livello secondario e 14,9 al terziario, ossia alle
superiori. La proporzione studente-insegnante va da 24 studenti e oltre
per insegnante in Brasile e Messico, a meno di 11 in Ungheria, Norvegia
e Polonia. In Italia, la proporzione è di 10,7 al livello primario, di
11 al secondario e di 18,3 al terziario.
Chi conosce la peculiarità della geografia
italiana, con le debite differenze tra scuole di città, isole e
montagna, sa bene che, nonostante i numeri sulla carta, c’è poco da
illudersi, specialmente nelle classi che si addossano il compito
non facile, e di certo non eludibile, dell’integrazione degli
alunni disabili e dei figli dell’immigrazione.
La qualità è data dai risultati, che stentano
purtroppo ad arrivare quando manca la passione educativa. Se ne sono
accorti anche gli ex fan del ministro Gelmini di Comunione e
Liberazione che quest’anno, al Meeting di Rimini, non le hanno offerto
la consueta platea. Anzi. Il coro delle critiche dei seguaci del
movimento è sfociato in un appello sulle colonne del quotidiano
Avvenire che ha raccolto oltre 15.000 firme, tra cui quelle di
intellettuali come Luciano Violante e Angelo Panebianco.
Il nodo delle critiche riguarda, ancora una volta,
il problema del reclutamento degli insegnanti. Se il ministro Gelmini
continua a strizzare l’occhio ai sindacati, per contenere le proteste
ai tagli, intasando la scuola con l’assunzione dei precari storici,
senza scremature né concorsi, i giovani laureati dopo il 2008 non
avranno accesso all’insegnamento per i prossimi 5 o addirittura 10
anni. Qualcuno può illudersi che i migliori, per quanto motivati, non
cercheranno da subito altre strade? (da
http://www.famigliacristiana.it)
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