Quest'Italia non ha più orecchio. Iniziativa del Sole24Ore per promuovere l'educazione musicale nelle scuole. Per aderire all'appello scrivete a: musicainclasse@ilsole24ore.com
Data: Sabato, 17 settembre 2011 ore 09:00:06 CEST
Argomento: Recensioni


Siamo in un teatro, nell'intervallo di un concerto. Cominciano a rientrare gli orchestrali. Sono bravi, questi giovani! È bello vederli. Anche l'Italia può essere bella, se la cogliamo nel luogo giusto e all'ora giusta. Li osserviamo: un fiorire di teste brune, castane, bionde, capelli ricci o tagliati a spazzola o code di cavallo e chiome d'angelo lunghe e lisce...
Ci volgiamo alla platea. Vediamo un mare di teste canute, ritinte, calve, spelacchiate, e sotto quell'albedo chiazzata di bianco d'uovo e di bianchiccio e di giallastro malsano e di grigiastro, vediamo fronti macchiettate sopra occhiaie scavate, rassegnate, tristi, rancorose, e sotto quella nigredo indoviniamo membra risecchite o gonfie, gambe malferme, abiti di risibile eleganza. Questo è il pubblico della musica forte, oggi in Italia. A mano a mano che madre Natura decreta, quel pubblico si sfoltisce, si accartoccia, va in briciole e in polvere come la «povera foglia frale» di Arnault ridisegnata da Leopardi. E le nuove generazioni? No, da molti decenni, quel pubblico non si rinnova più. Non c'è il ricambio, del quale, fino a quarant'anni fa, c'era almeno l'illusione ottica. Quando tutti i canuti e ritinti saranno volati in cielo, sarà finita. Non ci sarà più pubblico.           
Per la musica "forte", in Italia, pare non esserci speranza. Sì, "forte": è in corso la nostra battaglia per sostituire questo aggettivo a locuzioni improprie e fuorvianti, "musica classica", o "seria", o "colta", e ci sorprende piacevolmente (questo, almeno!) che i nostri sforzi stiano ottenendo udienza al di là di ogni speranza: una casa discografica ha dichiarato, aprendo il suo catalogo, di volere usare, d'ora in poi, la terminologia da noi proposta. "Forte" è la musica dotata della massima energia. Suscita traumi, estasi, sensazioni forti, come il terribile accordo dissonante che apre il Finale della Nona di Beethoven, come il Lamento di Arianna di Monteverdi il cui «Lasciatemi morire» è il decollo di un'astronave. La "musica debole" (non "leggera" o peggio "popolare"), si fonda sulla ripetitività, sul sottofondo, su banali sensazioni. Forte e debole non s'intendano come un aut-aut: sono qualità estreme, entrambe legittime, agli opposti di una serie di gradazioni. Si chiede soltanto che la musica debole e banale non spinga ai margini la musica energica e inventiva.
In verità, previsioni e proiezioni comprensibili anche a uno scolaro di seconda elementare indicano che, continuando immutato il corso dei fenomeni, la musica forte è destinata a scomparire, e con essa ogni traccia della tradizione musicale italiana (che per molti aspetti è europea, mondiale). Una catastrofe. Sarebbe possibile scongiurarla, e anzi rovesciare la tendenza. Basta domandarsi quale sia il differenziale, in materia, tra l'Italia e qualsiasi altro ordinamento statale in cui esistano democrazia e civilizzazione. Risposta: a parte quei paesi islamici in cui la musica è reato e peccato, haram (di quella subcultura non fanno parte, per esempio, la Turchia o la maggioritaria comunità islamica d'Albania, paese musicalissimo), l'Italia è l'unico Stato nel mondo in cui la musica non sia insegnata in tutte le scuole di ogni ordine e rango, e non limitata alle scuole specializzate. Poi ci si domanda come mai nel Paese del Bel Canto non nascano più nativi musicali, e come mai nelle famiglie non ci siano genitori o zii che facciano musica amatoriale! Se una disciplina è insegnata soltanto in sedi circoscritte, e al massimo livello scientifico, come l'egittologia o il restauro di libri antichi, e non entra nel circuito della cultura diffusa, essa è un tesoro che si spera bene custodito, ma la sua presenza nella società è nulla. Dunque, se questo è il differenziale, abbiamo individuato "more geometrico" il dovere che i legislatori italiani si dovrebbero assumere: introdurre finalmente l'insegnamento della musica in tutte le scuole pubbliche d'Italia, a qualsiasi grado. Sarebbe un'innovazione a costo zero, e chiunque neghi quest'ultimo connotato è da noi sfidato a un pubblico contraddittorio, con ampia facoltà di prova. Così ci siamo avvicinati a un nervo scoperto: legislatori di diverso orientamento politico sono sollecitati, da musicisti di assoluto prestigio e persino di fama mediatica, come Uto Ughi, Riccardo Muti, Salvatore Accardo, a compiere l'atto che avrebbe effetti decisivi, rovesciando un desolante destino: introdurre la musica in tutte le scuole d'Italia. Reagiscono come sappiamo: sono sordi, ciechi e muti. Alcuni di loro, quasi scusandosi, sussurrano che «non è il momento», che «il Parlamento ha ben altro cui pensare»... Ma in qualsiasi circostanza, con la massima stabilità politica e con il Pil alle stelle e una crescita annua del 126,9 %, la loro risposta sarebbe la stessa: avrebbero ben altro cui badare. Le vere ragioni che condannano all'estinzione la musica forte non sono finanziarie né contabili: sono culturali.
Questa certezza ci indica, probabilmente, un altro interlocutore. Colui che oggi è Presidente della Repubblica italiana è, incomparabilmente più che i suoi predecessori, attento alla realtà culturale, e sa perfettamente che il nucleo essenziale di ciò che l'Italia è e potrà essere è la cultura. È retorico appellarsi a lui? Può darsi, ma l'alternativa è la catastrofe. Sappiamo con certezza come al Presidente non sfugga una finzione primaria della musica: l'essere l'anello di congiunzione tra scienze dure e scienze molli, il trasmettere energia cognitiva, il far capire meglio, a chi segua studi musicali, la matematica e la pittura, la fisica e l'architettura, la cosmologia e la poesia o la psicologia. Gli è certamente noto come una vertiginosa sapienza antica (Platone, Quintiliano, Marco Aurelio...) abbia dichiarato incompetente e maldestro l'uomo che, senza conoscere a fondo la musica, si dedichi al governo dello Stato. Vogliamo gettare la musica nell'immondezzaio della Storia?
Perché in Italia la musica è assente dall'educazione e dall'istruzione normale? Nel 1861, divenuto primo ministro della Pubblica istruzione al governo dell'Italia unita, Francesco De Sanctis, per tanti aspetti benemerito, riorganizzando il nuovo sistema scolastico dai lacerti e brandelli di ciò che era stata l'istruzione borbonica, pontificia, ducale, granducale, austriaco-lombarda, eliminò spietatamente la musica, con una curiosa motivazione, condivisa da gran parte dei protagonisti della lotta per l'indipendenza (non da tutti, non da Mazzini, non da D'Azeglio...): la musica, egli pensava, era una disciplina per fanciulle educande, per signorine di buona famiglia, insomma un'attività femminile (dando all'aggettivo "femminile" un'accezione negativa in partenza!).
Un successore di De Sanctis al dicastero, Emilio Broglio, nel 1868 meditò di abolire anche i Conservatorii. Già allora ferveva la retorica degli "enti inutili". La radice filosofica neo-hegeliana, orientata verso una collocazione della musica a livello inferiore, sottoculturale, "manuale", ha agito a lungo, sciaguratamente, da De Sanctis a Croce, a Gentile, allo stesso Gramsci, fondatore? insieme con Bordiga? del Partito comunista, ma gentiliano per formazione radicata, come ha irrefutabilmente dimostrato Augusto Del Noce nel suo libro L'eurocomunismo e l'Italia (1976). Tre grandi orientamenti ideologici in Italia, l'idea liberale, il fascismo, il comunismo gramsciano, sono stati ostili all'insegnamento pubblico e diffuso della musica. Un quarto orientamento, quello cattolico, è stato reticente ed elusivo. Avremmo bisogno di spazio per analizzarlo nei dettagli. Bene: ora abbiamo gettato un po' di luce sull'origine di un misfatto. Dovremmo avere acquistato più forza, ora, per ricostruire sulle macerie.
Sostieni la musica nelle scuole!
Per promuovere l'educazione musicale nelle scuole aderite all'appello e scrivete a: musicainclasse@ilsole24ore.com


Quando le note (musicali) entrano nelle aule. Il successo dell'iniziativa della Domenica «Musica in classe»
All'appello lanciato «Quest'Italia non ha più orecchio» da Quirino Principe - accademico di Santa Cecilia in Roma- sulle pagine dell'inserto Domenica hanno risposto in tanti. Pubblichiamo tra le tante lettere quella dell'onorevole Luigi Berlinguer Presidente del Comitato Nazionale per l'apprendimento pratico della musica che ha aderito all'iniziativa.

Caro Direttore Roberto Napoletano,
Le scrivo in merito alla prima pagina dell'inserto "Domenica" de "Il Sole 24 ore" dell'11 settembre u.s., interamente dedicata alla musica e al suo insegnamento a scuola in Italia, attraverso le prestigiose firme dei Professori Quirino Principe, Roberto Casati e Maurizio Giri.
In qualità di Presidente del Comitato Nazionale per l'apprendimento pratico della musica, istituito nel 2006 dal MIUR desidero ringraziarLa per la sensibilità che l'inserto culturale mostra per la musica e, in questa occasione, per il suo insegnamento a livello teorico e pratico nella scuola italiana.
Da anni il Comitato si impegna con azioni mirate affinché la presenza della musica a scuola non solo sia legittimata su solide basi concettuali, attraverso l'insegnamento storico-teorico, ma venga praticata concretamente, attraverso l'esercizio attivo da parte di tutti gli studenti di strumenti musicali.
L'idea guida del Comitato sta nella profonda convinzione che la diffusione della musica tra le giovani generazioni di studenti concorra in modo decisivo alla crescita individuale e sociale, in quanto linguaggio privilegiato di sentimento e conoscenza, che coinvolge allo stesso tempo il corpo, il cuore, la mente. Parimenti, sul piano metodologico e didattico, l'esperienza del "fare musica tutti", trasforma radicalmente gli spazi e i tempi del rapporto insegnamento/apprendimento, favorendo l'introduzione della creatività, dell'immaginazione e dell'arte.
In effetti, in questi anni alcune delle indicazioni del Comitato sono state recepite sia da un punto di vista normativo sia nella creazione a scuola di un tessuto favorevole alla pratica musicale. In tal senso si è avviato un processo che però va sostenuto anche attraverso l'appello di cui si fa portavoce il suo quotidiano.
Le affinità tra la riflessione dei sopracitati autori e le finalità del nostro Comitato non solo suggeriscono di aderire all'appello "Sostieni la musica nelle scuole" e, quanto più possibile, diffonderlo, ma inducono anche a proseguire con impegno crescente nella comune ma difficile opera di divulgazione della cultura musicale per la costruzione di una piena e responsabile cittadinanza.

Nella speranza di avere altre occasioni di confronto, anche se solo telematico, La saluto con viva cordialità.
Luigi Berlinguer

La musica in classe fa anche volare. Un pilota di linea ci spiega come
Nomi eccellenti della cultura italiana, semplici cittadini e professionisti della musica, hanno aderito all'iniziativa lanciata sulle pagine della Domenica da Quirino Principe. Se il nostro Paese non ha più orecchio, ha spiegato l'accademico di Santa Cecilia in Roma, è perché «l'Italia è l'unico Stato nel mondo in cui la musica non sia insegnata in tutte le scuole di ogni ordine e rango, e non limitata alle scuole specializzate». Bisogna dunque invertire questa tendenza per evitare che ai concerti nei teatri dove si esibiscono giovani musicisti si vedano solo «un mare di teste canute, ritinte, calve, spelacchiate, e sotto quell'albedo chiazzata di bianco d'uovo e di bianchiccio e di giallastro malsano e di grigiastro, vediamo fronti macchiettate sopra occhiaie scavate, rassegnate, tristi, rancorose, e sotto quella nigredo indoviniamo membra risecchite o gonfie, gambe malferme, abiti di risibile eleganza». Aderite scrivendo a musicainclasse@ilsole24ore.com

Tra i primi ad aderire, domenica 11 settembre, il prof. e critico letterario Pier Vincenzo Mengaldo, seguito da Maurizio Agamennone professore dell'Universita' di Firenze e direttore della rivista "Per Archi" , Maria Cristina Bandera della Fondazione di Studi di Storia dell'Arte e Giovanni Neri, prof. del Dipartimento di Elettronica, Informatica, Sistemistica dell'Università di Bologna che però tristemente sottolinea nella mail: «Aderisco totalmente all'iniziativa anche se con un premier che non e' mai andato a un concerto o a un'opera e i cui"passatempi" sono noti al mondo intero non c'e' niente da sperare. Idem per la Gelmini (pfui)». Più speranzosi i toni della mail di Maurizio De Luca, figlio del musicista e compositore M° Antonino De Luca (primo clarinetto dell'Orchestra sinfonica dell'EIAR e Direttore dal 1950 fino alla sua scomparsa della Banda Pontificia della Guardia Palatina) che strumentò per banda l'inno della Marcia Pontificia di Gounod :«tra gli anni '60 e '70, ottenne anche l'incarico di insegnamento della musica nelle scuole medie che al tempo rappresentava una vera e propria impresa pionieristica. Le sedi d'insegnamento erano quasi tutte alla periferia di Roma ed anche fuori città. Ricordo perfettamente il suo sconforto nello sperimentare in prima persona quanto fosse arduo stimolare l'interesse per la musica e veicolarne la conoscenza tra il disinteresse generale, subendo persino furti di attrezzature audio e di materiale didattico. Prima della sua scomparsa stava per dare alla stampa un metodo d'insegnamento per bambini che io stesso illustrai.
Dunque è con immenso piacere che aderisco a questa Vs. iniziativa , nella speranza che quel piccolo seme che mio padre tentò di far attecchire , possa essere ripiantato». Anche il clan Abbado (Marcello, Roberto, Antonietta Poggi Abbado e Martina) ha applaudito virtualmente all'appello.
Più positivo il giudizio di Alberto Cesare Ambesi, direttore editoriale del trimestrale "Atrium" che pur dando piena adesione all'appello si dichiara «un tantino meno pessimista, nel valutare il potenziare rinnovamento del pubblico.Il caso rappresentato dai concerti della " Verdi" di Milano ne è un accettabile indizio». Filippo Massara, che da più di trent'anni si occupa di terapia musicale, rinacara la dose e si augura che in un futuro prossimo: «la musica possa essere ascoltata e fruita dal ventre materno fino alla fine dei cicli scolastici poiché formerebbe persone non solo musicalmente competenti, ma individui il cui sistema emotivo sia stato "nutrito" di musica fina dall'alba della vita e quindi strutturati per vivere il mondo come un insieme di relazioni armoniche».
Tra i nostri lettori c'è chi vorrebbe, che questa richiesta «meriti una vera e propria battaglia e si chiede: «a che punto è arrivato il degrado culturale nel nostro paese? Invocare la massima autorità per salvare la nostra immensa cultura. Dove sono tutti i nostri grandi intellettuali? Dove sono i nostri magnifici maestri? Sappiamo che ci sono ma quanto avviliti sono per non avere piuù voce. A volte si prova addirittuta vergogna per essere intellettuali o artisti. la musica è un grande patrimonio che non va assolutamente perso oltre ad essere un grande strumento di apprendimento. Aggiungerei anche la storia dell'arte...siamo noi. siamo la bella Italia. la grande Italia». Tommaso Luison, violinista di professione, spera che la nuova alfabetizzazione musicale possa accellerare anche un ricambio politico: «Credo per esperienza personale che il problema di scarsa considerazione della musica a livello scolastico riguardi anche la più giovane e dinamica classe politica del paese...quella che chi ha la mia età (33 anni) spera di vedere presto al posto dell'attuale. E' un problema, perchè non lascia molte speranze, se non pensando ad una nuova alfabetizzazione musicale delle future classi dirigenti».
Molti sono anche coloro che ci hanno segnalato, come la sig.ra Maria Mazzuccato di Agemus (associazione di genitori per la musica e la cultura) e Gaetana Donati, Istruttore internazionale dell'Ascolto consapevole della Musica Classica, quanti siano coloro che nonostante mille difficoltà si impegnino a promuovere la musica nelle scuole.
La musica fa volare
Tra le 400 mail che ci sono arrivate segnaliamo anche quella di un pilota di linea che racconta: «Guido aerei passeggeri su e giù per l'Europa. Il mio mestiere, (va di moda chiamarlo così), si dice oggi "multitasking".Ma, grazie ai miei genitori, da ragazzo ho studiato il pianoforte. Su e giù per le "scale" e i percorsi tortuosi delle fughe del "clavicembalo ben temperato" . È stata la mia prima attività multitasking. Mi ha insegnato la concentrazione su ogni singola riga dello spartito, la divisione dell'attenzione tra i movimenti delle mie mani e dei miei pedali, il dosare l'energia nelle dinamiche e l'impulso della forza dalle mie leve naturali, la consapevolezza della intelligenza delle mie emozioni e della loro forza creativa: diamine, che grande educatrice è la musica! Rinunciarvi è peccato della coscienza, negazione dei valori fondanti della scuola pubblica e miopia politica».
   (da IlSole24Ore)

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