Panebianco: Tfa, vigiliamo sull’accordo. Mantovani: ora più autonomia.
Data: Mercoledì, 14 settembre 2011 ore 07:48:34 CEST Argomento: Opinioni
Il
Sussidiario.net: intervista a Angelo Panebianco e Susanna Mantovani
«Bisogna vigilare che l’attuazione dell’accordo vada nella direzione
giusta. Perché, sa, ho un forte sospetto...». Quale, professore? «Che
siano le logiche sindacali a prevalere. Non sarebbe la prima volta». Angelo Panebianco, politologo ed
editorialista del Corriere, tra i primi firmatari di appellogiovani.it,
è diffidente, e non nasconde qualche preoccupazione.
ilsussidiario.net gli ha chiesto un bilancio provvisorio dell’accordo
raggiunto sabato scorso a Palazzo Chigi tra il ministro Gelmini e i
firmatari dell’appello - sottoscritto da più di 14mila esponenti del
mondo della scuola, dell’università, dell’impresa - per difendere il
diritto dei giovani che vogliono fare il prof ad abilitarsi ed entrare
nella scuola.
Il caso è noto e da quando è stato
diffuso l’appello, è andato sulle maggiori testate nazionali. Per la
verità tutto era cominciato un po’ in sordina, a scuola terminata e a
fari spenti, nel giugno scorso. È allora che i giovani universitari
hanno suonato l’allarme. Attenzione, dicono, perché il percorso
abilitante - il corso di formazione specifica per diventare insegnante,
da cominciare in università, con tirocinio formativo finale - previsto
dal Regolamento voluto dal ministro Gelmini rischia di essere lettera
morta. La sorpresa - ma forse è un eufemismo - è che il calcolo del
fabbisogno, pensato su base regionale ma calcolato centralmente dal
ministero, dà il via libera all’immissione in ruolo dei precari (più di
200mila) che stanno in graduatoria. Prima passano loro, poi entrano i
nuovi. Cioè dopo sette anni, dieci nella peggiore delle ipotesi. Non
posso - dice il ministro Gelmini - illudere i giovani. Ministro, noi
non difendiamo alcun «diritto» all’assunzione, chiediamo solo di essere
abilitati, dicono gli studenti in una lettera aperta che fa il giro di
non pochi consigli di facoltà.
È così che l’accordo di sabato sancisce un punto d’arrivo importante,
ma anche un nuovo punto di partenza, perché ora tocca agli atenei.
Cambiano i numeri, e il principio. Ai 3mila posti in più riservati ai
Tfa (per un totale di 13.285) si aggiunge la possibilità per le
università gli atenei di «presentare piani formativi sulla base delle
loro capacità di offerta».
In ogni caso, Panebianco invita a stare in guardia. «Occorre vedere
come l’accordo verrà attuato, questo è il punto. L’altro era un “patto”
chiarissimo: dentro i precari, e chi è fuori è fuori. Perché, scusi, il
vecchio precariato che fine fa in questo quadro? Attenzione, perché il
diavolo si nasconde sempre nei dettagli...». L’accordo però non è male,
professore. Sono cambiati i numeri, e gli atenei dovranno dire la loro
per ciascuna classe di abilitazione. Le circolari del ministero, uscite
lo stesso sabato pomeriggio, parlano chiaro in questo senso. «Mi dia
retta, aspettiamo di vedere. Anzi, occorre vigilare che l’attuazione
dell’accordo vada nella direzione giusta. Non sto dicendo che non è un
buon risultato, affatto. Sto solo dicendo che per capire se si aprono
realmente dei canali per i giovani che intendono fare i docenti,
bisogna davvero vedere come l’operazione sarà attuata. Le università
presentano il loro piano, d’accordo. Ma il rischio è che bastino alcune
locuzioni tecniche per ridare la priorità ai precari esistenti, a
svantaggio dei giovani».
Panebianco parla con naturalezza di un’eventualità che non si vorrebbe
contemplare. «I sindacati e con essi la base del ministero hanno dovuto
fare buon viso a cattivo gioco alla mobilitazione che c’è stata, ma non
sono affatto sicuro che non tenteranno di riproporre di nuovo, sotto
altre forme, il vecchio assetto». Davvero attribuisce loro questa
forza? «Abbiamo alle spalle decenni di relazioni, diciamo così,
“costruttive” tra sindacati e ministero. Non si può non pensare che la
storia non abbia il suo peso, no? Aspettiamo, sorvegliamo attentamente
e riparliamone».
Da Bologna ci spostiamo a Milano. «Il comunicato finale che ho letto
sul sito del Miur è una buona cosa, ma resta ancora molto da fare» dice
a ilsussidiario.net Susanna Mantovani, pedagogista e prorettore
dell’Università di Milano Bicocca, anche lei tra i primi firmatari
dell’appello. «I momenti di crisi, se affrontati con coraggio, offrono
sempre la possibilità, a saperla cogliere, per andare oltre il
contingente, per pensare ad una soluzione più generale che guardi al
futuro» dice Mantovani. «L’accordo è positivo e riguarda l’immediato,
ma non affronta in modo definitivo il tema della formazione e del
reclutamento».
Forse lei corre troppo, azzardiamo. «Condivido in pieno le
preoccupazioni di Panebianco. Ma ci sono problemi che vanno comunque
posti. Sono d’accordo con le istanze espresse nell’appello, ma sono
anche a favore di abilitazioni completamente libere o quasi; purché il
ministero controlli le strutture di ateneo che erogano la formazione. E
glielo dico da ex preside di facoltà». La Mantovani invita ad essere
più lungimiranti, ad «uscire dalla tenaglia» dice. A superare cioè le
cattive alleanze, e le contrapposizioni, di sapore corporativo. «Voglio
credere che siamo all’inizio di un discorso che riguarda finalmente
tutti: studenti, dirigenti, sindacato, ministero. Abilitazione e
reclutamento per esempio non possono essere pensate centralmente, in
modo dirigistico, slegato dalle condizioni del contesto. È fondamentale
quindi che le università facciano la loro parte, ma fuori anch’esse da
un ottica corporativa, con proposte formulate secondo razionalità e
buon senso».
La professoressa Mantovani saluta con favore l’accordo, ma guarda oltre
l’abilitazione. «Dobbiamo andare verso forme di reclutamento che
prevedano una vera autonomia delle scuole, temperata dal pubblico. Non
ci sono alternative se vogliamo un sistema serio ed efficiente.
Possiamo arrivarci con gradualità, studiando forme intermedie, senza
correre subito allo spauracchio che abbiamo nella mente, il preside che
sceglie chi vuole; no. Ma instaurando un’autonomia progressiva e reale,
questo sì». Teme che ci siano chiusure? «Guardi, temo tutte le
saldature corporative possibili, non solo quella del sindacato. È
comprensibile che il sindacato difenda gli interessi dei suoi iscritti,
ma mi piacerebbe che tornasse a svolgere la funzione importantissima
che ha avuto negli anni 70 nel promuovere la cultura e la qualità dei
nuovi servizi, come quelli all’infanzia per esempio. In anni più
recenti invece, soprattutto nel campo della scuola, ho visto più una
chiusura che l’apertura ad una positività culturale. Un vero peccato».
(da IlSussidiario.net)
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