Chi non sa non parli. Tutti esperti e vaticinanti mentre gli inascoltati sono quelli che la scuola la vivono
Data: Martedì, 13 settembre 2011 ore 07:53:09 CEST
Argomento: Rassegna stampa


Un anno intero nell’ombra. Poi, all’improvviso, una folata settembrina di elucubrazioni e vaticini. Parole in libertà, pronte ad invadere l’etere e la carta per una manciata di giorni.
È l’ultimo sole d’estate ad illuminare la scuola italiana. Una luce destinata a consumarsi nel breve volgere di una settimana. Perché di scuola, per un anno intero, si parla poco o niente. Alla vigilia della ripresa, però, l’agenda di giornali e televisioni prevede un pacchetto di articoli, editoriali e inchieste più o meno disinformate sull’universo-istruzione.
Un caos indistinto alimentato da opinionisti, sociologi, tuttologi, intellettuali veri e presunti. Tutti intenti a recitare il copione di inizio anno scolastico, discettando con amabile leggerezza di libri di testo e classi-pollaio, metodi pedagogici e precarietà, insegnanti di sostegno e edilizia scolastica. Una concentrazione di attenzione che, lungi dal rappresentare un reale approfondimento, certo non giova ad un comparto di fatto commissariato, messo in ginocchio dai tagli e affidato troppe volte al buon cuore dei suoi lavoratori.
Eppure sulla disastrata scuola italiana si imperniano necessariamente le scommesse di quel sistema-Paese che proprio tra i banchi dovrebbe gettare le basi per la propria competitività.                                      
 D’altra parte, la scuola è l’unico settore della vita pubblica attraverso il quale, in un modo o nell’altro, ciascuno di noi deve passare. E allora è interesse di tutti far sì che tutto funzioni al meglio. Per questo, di scuola si dovrebbe parlare tutti i giorni, rappresentandone successi e difficoltà senza semplificazioni e con tutta l’onestà che il tema merita.

Invece, l’inizio della scuola viene trattato un po’ come il festival di Sanremo: in quei giorni tutti diventano esperti di musica e ciascuno, anche se non ha mai preso un microfono in mano, si sente autorizzato ad esprimersi. Con il paradosso che i meno ascoltati sono proprio quelli che la scuola la vivono, la attraversano, la fanno.

Perfino il ministro Gelmini ha derubricato a molesto ronzio il grido di dolore che più volte s’è levato dai lavoratori della scuola pubblica. E lo stesso ministro, dimostrando scarso senso di responsabilità e ancor più scarso senso della realtà, ha parlato nei giorni scorsi di “avvio regolare dell’anno scolastico”, garantendo la continuità didattica. Pura propaganda, che si sgretola miseramente di fronte all’impietosa obiettività dei numeri.

In barba al più elementare principio di continuità didattica, migliaia di insegnanti a tempo indeterminato vengono distolti dalla loro sede di titolarità e sono costretti a spostarsi a causa dell’accorpamento delle ore e delle materie, con conseguenze nefaste per la loro vita personale e familiare e, naturalmente, per gli alunni. E molte scuole resteranno per la prima volta senza dirigenza: nella sola Napoli ben novanta saranno date in reggenza.

Per non parlare dell’allarmante tasso di evasione e di dispersione, che ormai da tempo non è più soltanto un problema del nostro Mezzogiorno. A dispetto di un logoro luogo comune, il discrimine non è tra Nord e Sud ma tra aree diverse della stessa regione e tra vari territori di una metropoli. Se prima il fenomeno era diffuso soprattutto nelle aree a disagio economico-sociale, oggi la dispersione interessa anche aree con sistemi produttivi forti, dove il lavoro rappresenta un’attrattiva per i giovani che hanno scarso rendimento tra i banchi. Se le cause sono diverse, dunque, l’effetto è il medesimo.
Il risultato è un grave ritardo sull’obiettivo fissato dalla Strategia Europa 2020: l’Italia è ancora a 9 punti da quel 10% fissato come tasso massimo tollerabile di abbandono. Numeri che fotografano una sintomatica fuga dalla scuola.

Sarebbe auspicabile che su simili questioni le luci dell’informazione fossero sempre accese e che il loro fascio inquadrasse soprattutto i protagonisti: studenti e insegnanti prima di tutto. Poi presidi, personale ausiliario, genitori. Soprattutto, sarebbe auspicabile che si avviasse una riflessione seria, centrata sui problemi e sulle soluzioni: scuola della seconda opportunità, estensione del tempo-scuola, diminuzione del numero di alunni per classe, sicurezza degli edifici. Bisogna, insomma, andare oltre le chiacchiere, superando finalmente l’ozioso talk show che si consuma sul proscenio mediatico in questi giorni.

Con le sue eccellenze ed i suoi limiti, tra quotidiani salti mortali e mille peripezie, la scuola sostiene il proprio fardello nonostante tutto, a testa alta, con dedizione e dignità. Per rispetto a quel sacrificio e a quella dignità, chi non sa non parli.   (di Angela Cortese, Consigliere regionale PD Campania)

redazione@aetnanet.org






Questo Articolo proviene da AetnaNet
http://www.aetnanet.org

L'URL per questa storia è:
http://www.aetnanet.org/scuola-news-244410.html