1973: Do you know Chile? Il primo 11 Settembre in America. L’attacco alla casa Rosada e l’uccisione del presidente Allende.
Data: Domenica, 11 settembre 2011 ore 10:58:08 CEST Argomento: Rassegna stampa
Sicuramente tutti i mezzi d’informazione l’11 Settembre, riempiranno le
testate rievocando la tragedia delle Torri Gemelle, come accade
di consueto nella ricorrenza di questa immane tragedia; ma non
dedicheranno alcuna riga in ricordo della morte del Presidente
costituzionale cileno, Salvador Allende, avvenuta nel 1973, sospinta
anche da mani criminali.
Salvador Allende, una vita politica
interamente dedicata al servizio del suo popolo; nato a Valparaiso
(Chile) nel 1908, a solo 23 anni si laurea in medicina.
Laureatosi in medicina all’Universidad de Chile nel 1932 inizia a
lavorare come medico, impegnandosi anche come delegato nelle lotte
sindacali; contemporaneamente fonda il Partito Socialista Cileno.
Inizia la sua vita attiva in politica con la
carica da deputato nel 1937, essendo in quel periodo Segretario
nazionale del partito; nella sua ascesa verso al governo verrà nominato
Ministro della Sanità.
Dal 1966 al 1969 sarà Presidente del
Senato, candidandosi a Presidente della Repubblica nel 1970. Vince le
elezioni e la sua figura passerà alla storia come il primo Presidente
Socialista del Cile, scelto per via democratica.
Politico chiaro e determinato nel suo primo
discorso diretto al popolo, esprimerà una frase che probabilmente
“colpirà nel cuore” coloro che programmarono la sua
morte:“In America Latina la grande massa comprende la tappa storica
nella quale vivono, prende coscienza del dramma dei Paesi in via di
sviluppo e sano perfettamente bene che il grande nemico di ieri, oggi e
sempre è l’Imperialismo!.”
La sua scelta programmatica per governare
comprenderà quarantuno punti, tutte misure atte a sradicare le
diseguaglianze sociali, come garantire il latte tutti i giorni a ogni
bambino cileno.
Sicuramente furono due le misure, le più
indicative che portarono la fine del governo Allende: la riforma
agraria con la concessione di crediti bancari ai contadini per
acquistare le loro terre e, la più “irritante”, la
nazionalizzazione del rame. Molto spesso il Presidente ripeteva questa
frase: “il rame è il pan del Cile, perché dobbiamo lasciarcelo
rubare”?…
Il rame, la riserva mineraria più importante
del Paese e sicuramente del mondo, in quel periodo produceva il 20% del
fabbisogno mondiale. Tutta la produzione era in mano alle
multinazionali straniere che tra il 1965 e 1970, avevano ottenuto
profitti per quasi 600 milioni di dollari.
Salvador Allende aveva osato troppo e per
quelli che ardivano nei loro intenti vi era un piano
diabolico ben congegnato, conosciuto (troppo tardi) come il “Plan
Condor”; ideato a tavolino nei saloni della sede del governo in
Asunciòn, capitale del Paraguay.
Parteciparono all’esecuzione del piano, capi
militari di quasi tutti i paesi latinoamericani e ovviamente il
principale ideatore, Henry Kissinger posteriormente premiato con il
Nobile per la pace. Gli avvenimenti, come la Storia si incaricherà di
dimostrare, non lasciarono estranei gli Stati Uniti. “Non vedo perché
dovremmo restare con le mani in mano a guardare mentre un Paese diventa
comunista a causa dell'irresponsabilità del suo popolo. La questione è
troppo importante perché gli elettori cileni possano essere lasciati a
decidere da soli”, ammise senza giri di parole Henry Kissinger, il
potentissimo segretario di stato americano dell’era Richard Nixon.
L’appoggio americano ai golpisti rientrava in una più vasta strategia
di contrasto– denominata operazione Condor -verso quei paesi
sudamericani indirizzati ad una deriva marxista: Argentina, Bolivia,
Brasile, Paraguay, Perù, Uruguay e, appunto, Cile.
“El Golpe” del Cile fu uno dei tanti che accaddero nel Continente tra
1960-1970 e che “obbedivano” al suddetto piano .
Nella drammatica sera dell’11 settembre 1973,
Allende cercò di resistere ma fu annientato insieme a tutto il suo
popolo, sarà ammazzato a colpi di fucile dentro il Palazzo della
Moneta, a Santiago del Cile.
Il popolo che cercò di resistere fu incarcerato perseguitato e
torturato; più di duemila persone furono portate in un campo di
calcio e fucilati. Forse la storia più straziante è quella del
cantautore Victor Jara che fu anche un importante militante del
Partido Comunista de Chile e membro del comitato centrale delle
Juventudes Comunistas de Chile. Mentre cercava di
intrattenere i prigionieri con la sua chitarra, per evitare che
continuasse a suonare gli furono tagliate le mani prima di
essere colpito a morte.
Della tragica storia del Cile, la pagina più
dolorosa è rappresentata dal fatto che il suo principale esecutore non
sia stato mai giudicato per i crimini commessi.
Augusto Pinochet morì tranquillamente nel suo
letto, con la benedizione di grande parte della chiesa cattolica.
“Nunca Màs”, due parole che vorremo fare vere per sempre noi
latinoamericani.“IL dramma accade in Cile, per il male dei cileni, però
rimarrà nella
storia come qualcosa che successe senza soluzione a tutti gli uomini di
questo tempo e che persisterà nella nostra vita per sempre”. Gabriel
Garcìa Màrquez.
Postato da Inès Cainer (Breaking
News, U.S.A & America Latina).
"Siamo tutti
americani"
Gli avvenimenti cileni del settembre ’73, con
la loro scia di sangue e terrore, ebbero una vasta eco in tutto il
mondo e particolarmente in Italia. Il segretario del Pci, Enrico
Berlinguer, che sapeva bene quanto fosse diverso il Cile dall’Italia,
ne trasse spunti e suggestioni per un discorso di più ampia portata e
che porto alla elaborazione della teoria del “compromesso storico”. In
un lungo saggio dal titolo “Riflessioni sull’Italia dopo i fatti del
Cile” (pubblicato in tre parti su Rinascita, il settimanale del Pci, il
28 settembre e poi il 5 e 12 ottobre 1973) Berlinguer tratteggia la
strada che porterà all’alleanza con la Democrazia cristiana, cioè con
l’altro blocco popolare e sociale del Paese.
Secondo Berlinguer la crisi politica dei primi
anni ’70, generata dalla emergenza economica ed eversiva, poteva essere
superata solo attraverso un’alleanza, un compromesso, tra le maggiori
forze popolari italiane. Scriverà: “Certo, noi per primi comprendiamo
che il cammino verso questa prospettiva non è facile né può essere
frettoloso. Sappiamo anche bene quali e quante battaglie serrate e
incalzanti sarà necessario condurre sui più vari piani, e non solo da
parte del nostro partito, con determinazione e con pazienza, per
affermare questa prospettiva. Ma non bisogna neppure credere che il
tempo a disposizione sia indefinito. La gravità dei problemi del paese,
le minacce sempre incombenti di avventure reazionarie e la necessità di
aprire finalmente alla nazione una sicura via di sviluppo economico, di
rinnovamento sociale e di progresso democratico rendono sempre più
urgente e maturo che si giunga a quello che può essere definito il
nuovo grande «compromesso storico» tra le forze che raccolgono e
rappresentano la grande maggioranza del popolo italiano”. Un
intervento, quello del segretario del Pci, (e che pubblichiamo
integralmente) destinato a rappresentare uno spartiacque nella
stagnante politica italiana e a far approdare il Pci in area
governativa, la prima volta nel 1976 con il governo della cosiddetta
“non sfiducia”, e successivamente nel 1978 con il governo di
“solidarietà nazionale”, argine quest’ultimo alla luttuosa stagione
eversiva che ebbe culmine nell’anno 1977, forse quello più buio della
Repubblica. Ancora più buio di quel ’78 che, con il rapimento e
l’uccisione di Aldo Moro, l’altro artefice della stagione del
“compromesso storico”, chiuderà definitivamente l’esperienza
governativa del Partito comunista.
Insieme alle Torri, che oggi tutti ricordiamo, val bene un pensiero al
Cile.
In memoria
dei morti, dei lutti e delle sofferenze di quell’11 settembre 1973 e in
memoria di una stagione della nostra storia italiana, incarnata giganti
politici (Berlinguer e Moro), al cui cospetto i nani della politica di
oggi appaiono ancora più miserabili.
Pasquale Di Bello (Infiltrato.it)
redazione@aetnanet.org
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