Quelli che però è lo stesso. Cronache dalla periferia dell'impero, dove i giovani amano ''er Duce'' e non leggono neanche la Gazzetta.
Data: Domenica, 04 settembre 2011 ore 20:00:00 CEST
Argomento: Rassegna stampa


Continua il ciclo di incontri con gli autori alla Festa Democratica nazionale della Scuola. Nelle scorse serate, a presentare il suo libro, “Quelli che però è lo stesso” (Laterza), è stata Silvia Dai Prà (foto), insegnante e scrittrice, intervistata da Claudio Giunta, docente universitario, scrittore e giornalista del Sole 24 Ore.
Diversi sono stati gli spunti di riflessione emersi dal dibattito: dalla lotta alla dispersione scolastica alle classi multiculturali; dal razzismo all’influenza dei media; dalla didattica sempre più “antiquata” alle proposte per rendere la scuola più competitiva, di qualità e a misura di studente. Argomenti racchiusi in parte nel libro, ambientato nella periferia romana di Ostia Nord nella cui scuola superiore professionale Silvia si ritrova ad insegnare.                          
Ad insegnare ai cosiddetti “ragazzi problematici, i ragazzi che la scuola normale non vuole più perché ‘impediscono il regolare svolgimento del programma’, i ragazzi che a furia di sospensioni, sono stati messi non alla porta ma dirottati qui: in modo che l’istituto non venga meno al suo dovere di combattere la dispersione scolastica”.

Contraria alla bocciatura, perché negli anni dell’obbligo comporta una fuori uscita di giovani dalla scuola, Silvia ci spiega che questi ragazzi spesso riescono a salvarsi da soli nel momento in cui non vengono ‘presi di punta’ ma gli vengono somministrati, ad esempio, autori o letture, diverse dai soliti classici, in cui cimentarsi: insomma, nel momento in cui l’insegnante è capace di rimodulare la didattica in base anche ai temi più attuali e recenti, in grado di suscitare maggiormente l’interesse dei giovani.

In questa chiave va colta, quindi, la provocazione dell’autrice, nell’intervista, di individuare passaggi intermedi tra classici come Carducci e Pascoli e romanzi recenti come quelli di Moccia. A colpire tuttavia sono anche i molti luoghi comuni, i pregiudizi e gli aspetti razzisti che contraddistinguono gli studenti di quella classe. Studenti in larga parte simpatizzanti di gruppi d’estrema destra, come Casa Pound, e nostalgici di ‘er Duce’ che vorrebbero preservare la razza perché, come dice Carlone nel libro “un uomo è un uomo se c’ha una tradizione e c‘hai una tradizione se c’hai una razza e c’hai una razza se la sai rispettare ed onorare e questo si chiama avere le palle”.

Ce l’hanno con gli stranieri che dovrebbero tornare nel loro paese d’origine, che “arrivano qua, sono disperati e la gente gli dà lavoro ma a un euro. E loro accettano, e poi ne arrivano altri, e ancora altri, e ancora altri, e alla fine la gente pensa che è normale farti lavorare per un euro, e allora dobbiamo cominciare a lavorare per un euro”. Guerra tra poveri, la chiama Silvia che ci conforta però spiegandoci che queste etichette non trovano poi riscontro nella vita quotidiana scolastica, perché spesso sono questi stessi ragazzi a simpatizzare e sedersi vicino di banco a un compagno straniero.

E allora che fare per riuscire ad accettare l’idea di una scuola multiculturale e dare a tutti le stesse opportunità formative e di lavoro, rendendo la scuola più competitiva? Tre sono le proposte che secondo Silvia andrebbero portate avanti:  classi più piccole, di 15 alunni, per seguire meglio tutti i ragazzi e fare programmi mirati (se necessario individuali), investendo maggiormente nelle scuole; insegnanti più giovani e motivati, adeguandoci alla media del corpo docente in Europa (quella italiana è troppo alta, media di 50/60 anni); didattica rivisitata da persone preparate e competenti (che allo stato attuale non ci sono) del ministero dell’istruzione che riguardino e riformulino tutti i programmi.
  ( di Alice Goldoni da Pd)

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