Da 400 a 1.500 euro: ecco quanto costa scalare le graduatorie per gli insegnanti
Data: Mercoledì, 31 agosto 2011 ore 21:30:00 CEST Argomento: Rassegna stampa
Le
università telematiche sono tra le innovazioni più reclamizzate del duo
Letizia Moratti – Lucio Stanca. Era il 2003, sotto il governo
Berlusconi. Da allora, nel giro di pochi anni si è creata una giungla
di iniziative, tra corsi di laurea di ogni tipo (ma principalmente di
tipo umanistico e giuridico), master e corsi di aggiornamento. Ma i principali destinatari delle proposte
online sono gli insegnanti, i precari soprattutto, che si iscrivono a
questi corsi (e pagano) per acquisire punti utili a piazzarsi in
graduatoria. E, mediamente,
spendono dai 400 ai 1.500 euro per avanzare in “classifica” e sperare
in un posto fisso: alcuni di loro ci arrivano proprio in
questi giorni, proprio grazie ai punti acquisiti attraverso questi
stessi
corsi.
Un fenomeno del tutto fuori controllo che già un paio d’anni fa aveva
fatto insospettire il ministro in carica Maria Stella Gelmini: “A un
primo esame della situazione – dichiarò – sulla base di dati già
disponibili non posso fare a meno di rilevare alcune criticità molto
rilevanti. Mi attendo spiegazioni dettagliate e proposte di soluzione,
per evitare che degenerino in una vera e propria patologia
generalizzata”. Una preoccupazione che
pare sia restata completamente lettera morta. Le spiegazioni e le
proposte invocate dal ministro, se sono arrivate, sono rimaste nascoste
in qualche segreto cassetto.
Per legge ogni precario può guadagnare
fino a 10 punti se consegue un attestato rilasciato da una delle
miriadi di organizzazioni che in questi anni si sono attivate. Un affare
gigantesco. E facile da costruire. Basta mettersi d’accordo con
qualche università (atto indispensabile per il rilascio degli
attestati) e creare una piattaforma per attirare i clienti con
un’offerta di corsi di ogni genere, e non sempre pertinenti. Che quindi
potrebbero essere annullati. Ma chi
controlla questi attestati e la loro validità? Praticamente
nessuno. Sono presentati come autocertificazione e di conseguenza
consentono di acquisire quel punteggio che spesso scavalca in
graduatoria chi ha un’esperienza maggiore e più punti per il servizio
prestato “sul campo”.
Un vero e proprio mercato di punti che
crea discriminazioni pesanti fra gli stessi precari. Finora,
però, non è stato trovato rimedio. “La Cgil – dice il sindacalista
Pippo Frisone – si è sempre battuta contro i diplomifici e contro le
tasse occulte sulla pelle dei precari, costretti a iscriversi a corsi e
corsettini a volte solo sulla carta per racimolare un punto o tre punti
in più in graduatoria. Le ultime tabelle di valutazione hanno limitato
il numero fissando un tetto e un punteggio massimo, ma non hanno
risolto del tutto il problema sulla serietà dei corsi, su come vengono
rilasciati attestati o diplomi di perfezionamento, di specializzazione
o master di primo e secondo livello”.
Il sindacalista mette poi il dito in questa piaga: “Questi titoli,
riconosciuti nelle graduatorie dei precari, possono rilasciarli solo le
università statali o università legalmente riconosciute. Ovviamente ci
sono le università serie e quelle meno serie come sempre accade nel
nostro Bel Paese. Tra le università
più gettonate dai precari c’è l’Università per Stranieri “Dante
Alighieri” di Reggio Calabria, sorta come un fungo nel 2007, fucina di
corsi e corsettini a pagamento validi da 3 a 1 punto, come ben si
evince dal loro stesso sito. Ma
c’è anche il Consorzio Interuniversitario (Forcom), che rilascia
diplomi di perfezionamento, per via telematica, di almeno 1500 ore che
valgono 3 punti. Ma l’elenco di questi enti sarebbe lungo.
Pochi i precari che, attirati dai punteggi, non si son lasciati tentare
da questi corsi e corsettini”. E i costi? Variano da un minimo di 400 euro per un
attestato di un punto a 1500 euro per quelli da 3 punti. Un
mercato sulla pelle di insegnanti disperati in cerca di un posto fisso
che magari aspettano da decenni. Un mercato squallido che agli
interessati, oltre ai punti, non dà nulla. “L’ultimo corso che ho
frequentato – dice Annarita S., precaria da una dozzina d’anni – si è
concluso con un esame svolto attraverso dei testi telematici. Ho
risposto a casaccio, ma l’attestato mi è stato ugualmente recapitato. E’ bastato versare altri 50 euro per averlo”.
Non cambia molto quando l’esame finale si fa in sede. “Ci hanno
convocato in alcune centinaia per volta – racconta Ernesto F., docente
di filosofia e precario in attesa di un posto –. Ne hanno interrogati
una ventina, poi uno degli organizzatori è venuto a dirci che potevamo
andarcene, che tanto l’attestato ci sarebbe stato recapitato a casa
dietro il versamento di una tassa. Un finale umiliante. Ma se non
facciamo questo percorso il posto ce lo sogniamo”. Questi i presupposti su cui si fonda
l’infornata di nuovi insegnanti di ruolo nella scuola italiana. La
cosiddetta “scuola del merito” dell’era Gelmini.
(di Augusto Pozzoli da Il Fatto Quotidiano)
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