Armi spuntate contro i docenti fannulloni
Data: Lunedì, 29 agosto 2011 ore 19:24:11 CEST
Argomento: Rassegna stampa


La questione della retribuzione dei professori universitari che – come prevede la riforma approvata a fine dicembre (legge 240) e il regolamento attuativo prossimo al traguardo (si veda «Il Sole 24 Ore» del 21 agosto) – sarà sempre più legata al merito, considerato che i docenti dovranno presentare ogni tre anni una relazione sull'attività svolta che inciderà anche sugli scatti dello stipendio, si presta ad alcune considerazioni.                                 
 Innanzitutto, occorre delineare le caratteristiche tipiche della didattica universitaria. Essa deve formare la mentalità scientifica (lato sensu) dello studente universitario attraverso le nozioni (cioè le informazioni) impartitegli, in vista della sua futura professione.
Non bisogna infatti dimenticare che quasi tutte le facoltà (sia "scientifiche" sia "umanistiche") sono de facto anche scuole professionali. Da ciò consegue una netta differenziazione della didattica universitaria da quella "liceale", che è invece prevalentemente generica e riguarda i diversi campi del sapere, con il fine ovvio di dare una cultura generale.
Purtroppo da molti anni si osserva una strisciante tendenza alla "licealizzazione" della didattica universitaria, come è dimostrato dalla progressiva ma indebita estensione della sequenza tipicamente liceale "una materia-un docente-un libro di testo" a molti corsi universitari.
Inoltre i questionari per gli studenti (pur essendo un ineliminabile punto di partenza, in quanto danno una prima informazione sulla didattica tenuta dal docente) non rappresentano la valutazione della didattica stessa, ma ne fanno parte unitamente ad altri fattori. Molte domande dei questionari sono (a quanto mi consta) del tutto irrilevanti e quindi forvianti.
È quasi inutile ricordare che la didattica e la ricerca scientifica nell'università sono due facce dello stesso diedro, in quanto è frequente constatare che un docente che non sappia fare ricerca, non sa fare una buona didattica (almeno nel senso sopra delineato) e viceversa.
Da ultimo, ma non per importanza, è noto che nelle università esiste una perdurante zona di "evasione didattica" da parte di un numero quantitativamente non trascurabile di docenti.
Sorge allora spontanea la domanda: a che serve la valutazione della didattica se poi non è possibile giuridicamente prendere alcun provvedimento di "licenziamento" (o almeno di mobilità) a carico di tali docenti didatticamente inadempienti?
Da questo punto di vista la "riforma Gelmini" ha perso un'occasione storica perché, mentre introduce correttamente norme contro il perpetuarsi dei cosiddetti "ricercatori a vita", non prevede nessuna seria sanzione a carico dei professori "a vita" inadempienti, disperdendo così somme di denaro ulteriormente destinabili alla ricerca. È infatti chiaro che il blocco degli scatti stipendiali non può di per sé costituire una sanzione efficace per indurre alla didattica i docenti inadempienti.
Ordinario di patologia generale e direttore della Scuola di dottorato in scienze biomediche - Università di Milano
  (da http://www.ilsole24ore.com)

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