Un imperativo per il prossimo anno scolastico: “Prepariamoci alla Padania”
Data: Domenica, 28 agosto 2011 ore 18:30:00 CEST Argomento: Rassegna stampa
“La gente capisce
sempre di più che l’Italia va a finire male e quindi prepariamoci al
dopo. E il ‘dopo’ è la Padania (…). Quando verrà il momento non
possiamo farci trovare impreparati”.
Questo il monito del discorso di Schio – di una settimana fa - del
lìder maximo in canottiera bianca, l’Umberto Bo da Gemonio; discorso
che investe senza dubbio anche uomini e donne di scuola.
Ovviamente, il “dopo”, per la scuola italiana del nord (e non solo), è,
la scuola padana, chiamata pertanto dal 1° settembre a darsi la mossa
giusta, sulla base dell’Umberto Pensiero che qui siamo in grado di
anticipare almeno in alcune sue parole d’ordine.
La pietra angolare di tale pensiero,
fatta arrivare direttamente dalle Alpi da cui origina il Po, è che la
crisi della scuola italiana – spia dello sconquasso più generale –
nasce a Roma nel ministero di viale Trastevere, e non certo a casa sua,
dove la scuola - e qui lui è in grado di sfidare chiunque a dimostrare
il contrario - non ha appassionati frequentatori.
Si capisce, dalle cose da lui intercalate (e talvolta anche
nominate, forse. Chi lo può dire? L’Umberto è come l’oracolo di Delfi,
va indovinato), che questi, in fatto di scuola ed educazione, sono
comunque alcuni capisaldi da portare nei Collegi docenti.
I commenti specifici del Capo ai vari punti, fedelmente riassunti ed
emendati (diversamente il “pezzo” non era pubblicabile) sono gratis.
I capisaldi con commento
Primo. Basta – argomenta da par suo - con la storia romana nei vari
cicli scolastici. Ormai è roba del periodo coloniale: i sette re, gli
imperatori, il Colosseo, Caracalla. Ma chi se li fila? E quelle statue
tutte eguali e tutti quei pezzi di marmo per terra tra rovine
indecorose, anche in zone importanti della città!
“Ma andateveli a raccogliere e metteteveli nei posti che volete; così
pulite almeno il centro storico, voncioni!” Questo il commento rivisto.
Dire pertanto che il ‘dopo’ è la Padania anche per la scuola, significa
il primo luogo – ma forse in secondo, non si è capito bene - il primato
della storia lumbarda o, se si vuol essere inclusivi, lombardo-veneta.
Non temano comunque – rassicura - torinesi, liguri e trentini. Una
quadra si trova: basta puntare su un intellettuale eclettico come
Borghezio (ce l’avete presente? È lui) e una via d’uscita si trova (si
può pensare, in questa ricerca di storia comune, anche a suo figlio
Trota – intercala il Nostro - che è fresco di studi e che, per via
delle numerose ripetenze, tante cose le ha approfondite anche
direttamente col lui).
Secondo. Sui valori - educativi in generale e religiosi in particolare
- da fare entrare nella scuola padana il monito è esplicito: bisogna
darsi molto da fare. Qui il meglio sulla piazza – avanza - è senz’altro
Calderoli: c’ha stile e fisico, un vero celtico, con quella faccia che
non sai mai.
Una parentesi: ma, secondo voi, Calderoli beve? Qualche dubbio ce l’ho.
Io penso birra, tanta birra.
Però non è detto. Uno può essere così anche di suo. Quand’anche.
Un punto fermo per l’Umberto deve
comunque essere questo: basta con il papato romano.
Sappiamo – si interpreta - che la partita qui è dura, ma si potrebbe
ben pensare, come scelta di passagggio, ad una roba alla pari. Bisogna
insistere – e qui è l’appassionato di storia che parla – sul fatto che
è inaccettabile “mettere in primo piano un santo come San Pietro,
palestinese, tra l’altro, o giù di lì, in abbinata con questo san
Paolo, di Tarso poi (tra l’altro, entrambi di una razza non nostra: vi
pare giusto? - E, Tarso, dov’è Tarso? Mah!)”.
Noi abbiamo – commenta come chi ci ha molto pensato - S. Ambrogio e
anche S. Carlo Borromeo - santi di tutto rispetto - che hanno fatto tra
l’altro miracoli di qualità ed era gente gagliarda e sbrigativa, come i
veri padani. “Forse i veneti potrebbero preferire S. Marco. Che non è
male. Però anche lui, San Marco, dico, era di una razza neanche
europea; e poi era troppo intellettuale, se è quello che ha collaborato
a scrivere il vangelo” (testuale).
Comunque – sostiene al riguardo -, una cosa che va fatta subito, quando
si dividerà il primato pontificio, è evitare in Piazza Duomo tutte
quelle ammucchiate di sudamericani, di slavi e di orientali che si
vedono adesso in piazza S. Pietro; che, con la scusa della religione,
potrebbero togliere il lavoro al popolo padano: non esiste.
Si potrebbe invece – è la proposta - pensare a organizzare
pellegrinaggi per i celti d’Europa: il gadget sarà ovviamente l’ampolla
sacra con l’acqua delle Alpi (Apuane? O Retiche? Mah! Chiedere a Trota,
suggerisce, che è fresco di studi).
Terzo. Sugli insegnanti e dirigenti da reclutare la linea è: patti
chiari e amicizia lunga. I docenti meridionali vanno bene, ma solo se
vengono a giurare a Pontida (“dopo essere passati per Canossa, anche se
non so perchè”, ha chiarito) ed hanno frequentato un corso di lingua ed
etica padana tenuto da Cota, altro intellettuale del gruppo.”O anche da
Prosperini – ha aggiunto -. Quello colto con le mani nel sacco.
Vediamo.”
Quarto (qui riporto integrale): “La Gelmini al rogo. E non aggiungo
altro. Chiarirò dopo”.
Queste cose l’Umberto ha detto - o si dice che abbia detto, considerato
il caso -.
Delle quattro proposte la cosa evidente e che fa bene sperare – poi
vediamo a chi - è che il lìder ci crede veramente. Fino a prova
contraria.
Sosteniamo allora convinti le sue proposte, partecipando tutti allo
sciopero della Camusso il 6 settembre a Milano, cuore pulsante della
Padania.
(di Aristarco Ammazzacaffè da ScuolaOggi)
redazione@aetnanet.org
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