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Data: Martedì, 23 agosto 2011 ore 11:03:47 CEST Argomento: Rassegna stampa
La falsa equità della politica debole
(di Fabrizio Forquet, sul Sole24Ore del 23
agosto 2011 )
L'umiliante dibattito di questi giorni
sull'età pensionabile è figlio della politica debole di oggi. Ernesto
Galli della Loggia ha scritto sul Corriere della Sera: «Il
deterioramento qualitativo delle classi politiche è un prodotto
inevitabile di quella democrazia della spesa in forza della quale
governare significa in pratica solo spendere per cercare di soddisfare
quanti più elettori possibile (...) L'esercizio
del potere si spoglia di qualunque necessità di conoscere, di capire,
di progettare, e soprattutto di scegliere e di decidere».
La
questione delle pensioni è tutta qui. La politica debole, per non
scontentare nessuno, non esercita la propria responsabilità di
scegliere.
E ripete che sulle pensioni si è già
intervenuti, che il sistema è in equilibrio. In realtà finge di ignorare che:
1. Chi oggi va in pensione può farlo prima dei 60 anni e riscuote un
assegno quasi pari al 70-80 per cento dell'ultimo stipendio, mentre i
ventenni o i trentenni di oggi potranno andare in pensione solo ben
oltre i 65 anni e con circa la metà dell'ultimo stipendio (molto meno
se si è autonomi e sempre se il Pil cresce mediamente più dell'1,5%
reale all'anno). Questa è un'evidente ingiustizia generazionale.
2. Per permettere al sistema di tenersi in equilibrio contabile i
contributi previdenziali che alleggeriscono le buste paga sono
particolarmente alti. Questo è un onere che penalizza i lavoratori e le
imprese, e pesa anche sui livelli occupazionali.
3. Il sistema previdenziale italiano costa due punti di Pil più della
media europea. Secondo l'ultimo confronto elaborato dall'Ocse (Pensions
at a Glance 2011) l'Italia impegna circa il 14% del Pil in pensioni,
livello record tra i paesi sviluppati, contro il 12% della Francia e
l'11 della Germania. Sul totale della spesa pubblica le pensioni
incidono per il 30 per cento. È evidentemente un lusso che, con i
nostri conti disastrati, non possiamo permetterci. Si consideri che in
Germania l'età del pensionamento è già fissata a 67 anni.
4. Infine (e qui davvero c'è da chiedersi dove sia il sindacato), il
sistema contributivo che sta per entrare a regime non prevede alcun
riequilibrio in senso sociale. Questo vuol dire che chi guadagna bene
ha la possibilità di costruirsi una buona pensione integrativa, chi
guadagna poco, e magari con contratti a termine, avrà una pensione da
fame.
Ecco perché la politica che rivendica l'equilibrio del sistema
pensionistico prende in giro gli italiani. Ci sono almeno queste
quattro buone ragioni per alzare - fatti salvi i lavoratori addetti a
mansioni usuranti - l'età pensionabile.
Portare l'età del ritiro a 70 anni il più
rapidamente possibile, con una progressiva convergenza anche per le
donne, permetterebbe di liberare risorse (le stime indicano circa 40
miliardi di euro) che potrebbero essere utilizzate per: ridurre il
cuneo contributivo che penalizza tutti i lavoratori in busta paga,
indebolisce la competitività delle imprese, frena l'occupazione e la
crescita del Paese; rafforzare le pensioni di chi oggi non ha la forza
economica per crearsi una vera pensione integrativa ed è destinato
quindi all'indigenza; migliorare il saldo dei conti pubblici italiani,
evitando tagli ben più dolorosi anche sul sistema assistenziale.
Sono ragioni, va ribadito, che attengono
all'equità sociale e generazionale, oltre che al rigore dei conti e
alla competitività del sistema Italia. Perciò anche quella sinistra
che, al tempo dell'ultimo governo Prodi, ha di fatto anticipato l'età
del ritiro, dovrebbe avviare su questo una severa riflessione.
Che il partito dell'intangibilità dell'età
pensionabile giochi una partita tutta estranea al concetto di equità,
del resto, lo testimonia lo scandalo dei vitalizi di oltre 2.500 euro
percepiti da deputati e senatori dopo una sola legislatura, ma anche
l'indifferenza dell'intero Parlamento alla proposta di legge dei
Radicali che giace in Commissione alla Camera (atto 1003). Una proposta
che prevede l'introduzione di un sistema di welfare universale grazie
alle risorse che si recupererebbero dall'aumento dell'età pensionabile.
Uno dei pochi disegni compiuti di riforma del logoro sistema italiano
di protezione sociale.
Ma la politica debole è incapace di grandi
riforme. Risponde solo al consenso immediato e non perde tempo a
costruirlo. Eppure secondo una ricerca realizzata dall'Isfol con il
ministero del Lavoro, in collaborazione con "La Sapienza" di Roma,
sette lavoratori su dieci tra i 60 e i 64 anni si ritengono in grado di
lavorare anche dopo i 65 anni.
Tra quei sette, non solo per una ragione anagrafica, non figura la
moglie di Umberto Bossi, Manuela Marrone: lei è andata in pensione,
dopo aver fatto l'insegnante, a 39 anni. (Fabrizio Forquet, sul Sole24Ore del 23
agosto 2011)
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