La sega del trio Tremonti-Gelmini-Brunetta potrebbe segare 36.000 classi a tempo pieno delle scuole primarie e comprensive.
Data: Mercoledì, 10 agosto 2011 ore 16:00:00 CEST
Argomento: Redazione


Dopo il taglio di circa 150.000 posti di lavoro, tra quelli del personale docente e quelli del personale amministrativo, e i circa 2.500 posti dall’organico dei dirigenti scolastici, che hanno reso e che complessivamente renderanno privi di lavoro 170.000 persone, mentre il sistema scolastico subisce scompensi strutturali e organizzativi che ricadono sugli studenti e sulle loro famiglie, non appare privo di fondamento prevedere ulteriori tagli. Diversi rispetto a quelli che sono derivati dalla riduzione, in tutti gli istituti scolastici, delle classi quale conseguenza dell’aumento del numero degli alunni in ciascuna classe, dalla riduzione delle ore settimanali della didattica curricolare e dall’eliminazione delle compresenze nella scuola primaria per quanto concerne gli insegnanti, con conseguenze fortemente negative per l’occupazione del personale amministrativo in ciascuna delle funzioni. A cui viene ad aggiungersi la perdita di altri 20.000 posti di lavoro quale conseguenza della riduzione di 2.500 posti di dirigente scolastico e, oltre a questa perdita, ad aggiungersi ad essa anche quella che deriverà dall’accorpamento di migliaia di scuole sottodimensionate (e addirittura plurisottodimensionate)  e dal dimensionamento degli istituti scolastici. La sega del trio Tremonti-Gelmini-Brunetta potrebbe interessare le classi a tempo pieno, peraltro niente affatto uniformemente distribuite, con riferimento alla popolazione scolastica, nelle regioni italiane.
Per quanto concerne le classi a tempo pieno, sono esistite disparità macroscopiche che hanno offeso e continuano a offendere e a violare il dettato costituzionale sul diritto alla pari dignità sociale di tutti i cittadini, sul diritto alla scuola aperta a tutti e all’assoluta parità negli anni e per gli anni in cui l’istruzione è obbligatoria e gratuita. In tempi scolastici comunque uguali per tutti e non soltanto per una parte, come purtroppo è accaduto e continua ad accadere date le disparità notevoli tra le regioni del nord e le regioni del sud, pur con qualche eccezione, comunque limitata, per alcune di esse. 
Alla luce dei dati più recenti, la Lombardia vanta l’attivazione del 45% di classi a tempo pieno sul totale delle classi (9.500 su quasi 21.000 sono a tempo pieno), seguita, con percentuali comprese tra il 44 e il 42 per cento sul totale delle classi, dalle regioni Piemonte (4.200 su quasi 9.000), Emilia Romagna (3.800 su circa 8.600) e Toscana (3.100 su circa 7.500), con la Liguria attestata al 38% (1.100 su 2.900), mentre il Friuli si trova al 35%  (950 su 2.600) e il Veneto al 17%. ( 1.900 su 11.200). In queste regioni, complessivamente, almeno 24.500 classi su un totale di circa 62.000 classi sono state e sono a tempo pieno.
Nel Lazio, le classi a tempo pieno, forte eccezione per l’Italia centrale, sono oltre 5.000, corrispondente al 43% sul totale di circa 12.000. Nelle regioni dell’Italia meridionale, riscontriamo il 34% sul totale della Basilicata (530 classi a tempo pieno su circa 1.500) e il 21% della Calabria (1.200 su 5.600), mentre la Sardegna di classi a tempo pieno ne conta poco più di 900 (24%) su un totale di circa 3.600 classi.
A parte l’Umbria e le Marche, rispettivamente con 380 (18%) e con 780 (22%) di classi a tempo pieno su un totale, rispettivamente, di circa 1.400 e 2.800, le altre regioni evidenziano percentuali di classi a tempo pieno inferiori al 10%. Si tratta, nell’ordine decrescente, dell’Abbruzzo (300, pari al 9,7% sul totale delle classi), della Puglia (670, pari al 6,7%), della Sicilia (830, pari al 6,3% sul totale delle classi), della Campania (930, corrispondente al 5,8% del totale), del Molise (19, pari al 2,4% sul totale delle classi).
La disparità tra le regioni italiane è chiara ed eclatante, mentre non può essere negato, purtroppo come è stato a lungo negato, un diritto fondamentale alla parità nel percorso di formazione nell’ambito dell’istruzione inferiore obbligatoria e gratuita.
Il trio della sega dei finanziamenti per l’istruzione e per la formazione potrebbe, ovviamente con condotta che ostenterebbe l’autogiustificazione della disparità a lungo attuata, obiettare che il tempo pieno non rientra nell’obbligatorietà dell’istruzione di cui all’articolo 34 della Costituzione italiana. Tuttavia, oltre alla pari dignità sociale di cui all’articolo 3 della Costituzione, il diritto alla parità nell’istruzione obbligatoria è inviolabile e, in quanto tale, “richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà, politica, economica e sociale”, adempimento sancito dall’articolo 2 della Costituzione in quanto principio fondamentale. E soprattutto esclude le macroscopiche disparità a lungo perpetrate, con o senza il silenzio e la complicità di chi invece avrebbe dovuto, doverosamente, denunciare gridando la disparità in termini di istruzione e di formazione (clamorosamente negate agli studenti e alle loro famiglie in determinate regioni, e troppo “generosamente” elargite in determinate altre regioni del Paese) e di lavoro, di fatto negato a parecchie decine di migliaia di docenti e di amministrativi nelle diverse funzioni.  
Non può esservi alcun dubbio che forti danni sono stati arrecati agli studenti delle regioni che sono state private, rispetto ad altre nelle quali è stato enormemente potenziato, del sistema delle classi a tempo pieno sul totale delle classi. Ciò nella considerazione che nelle classi a tempo pieno l’orario settimanale delle attività è di 40 ore e che pertanto il numero degli insegnanti è di almeno un terzo in più rispetto a quello delle classi con orario settimanale compreso tra le 27 e le 30 ore. Pertanto, c’è stata  differente, enormemente differente, ripartizione dei finanziamenti pubblici. E c’è stata anche un’offerta didattica alquanto ridotta, e comunque scompensata, nelle diverse realtà territoriali del Paese.
Del tutto evidente, quindi, la notevole differenza tra le regioni. Una differenza che va eliminata.
Soprattutto quando si polverizzano 47 milioni di euro per il concorso del quiz a dirigente scolastico (2.386) al quale parteciperanno circa 200.000 docenti con contratto a tempo indeterminato, nella speranza di poter migliorare il peso specifico dello stipendio mensile: una speranza che corrisponde allo strofinare una parte della circonferenza di una moneta o di un oggetto metallico sul quadrato del biglietto acquistato per scoprire, ansiosamente grattando, se è stata vinta una determinata quantità di euro, in quel caso con possibilità di vincere una somma elevata, mentre per la vincita del concorso la crescita dello stipendio mensile è comunque di modesta entità, pur costituendo un vantaggio, a parte l’incognita della sede che sarà assegnata.  
E soprattutto quando si spendono per gli esami di Stato, o di maturità, 100 milioni di euro, quando si sa benissimo che si potrebbe procedere diversamente dato che per sostenere gli esami è necessaria la sufficienza in ciascuna delle materie: basterebbe, come per l’esame di laurea nelle università, una commissione di docenti interni alla scuola di fronte alla quale ciascuno degli studenti relazionerebbe, e risponderebbe alle loro domande, in ordine ai contenuti di una tesi anche pluridisciplinare svolta in ordine alle indicazioni e sotto il controllo dei docenti coinvolti. Intanto si è scatenata tra province e regioni del nord nei confronti di province e regioni del sud del Paese la guerra del 100 e lode, in queste ultime risultati numericamente alquanto maggiori rispetto alle altre.
Tuttavia, ritornando alle classi a tempo pieno (40 ore settimanali di attività rispetto alle 27 o 30 ore del tempo normale), il trio ministeriale della sega sui finanziamenti alla scuola potrebbe addirittura avere in mente di continuare con la sega, magari eliminando il tempo pieno ovunque. Una segata alla quale corrisponderebbe la perdita (e quindi la disoccupazione) di parecchie decine di migliaia di posti di docenti, di personale amministrativo e di collaboratori scolastici. E lo stesso trio potrebbe dire ai genitori degli alunni di pagarselo, se lo vogliono, il tempo pieno, tutto compreso.
E chi vuole intendere, intenda.
Polibio






Questo Articolo proviene da AetnaNet
http://www.aetnanet.org

L'URL per questa storia è:
http://www.aetnanet.org/scuola-news-243644.html