Insegnanti e TFA, tutti i numeri che “inchiodano” la Gelmini
Data: Giovedì, 04 agosto 2011 ore 14:59:45 CEST Argomento: Rassegna stampa
A fronte dell’avvio
di un anno scolastico tra i più faticosi, anche a causa del ritardo
sulle nomine in ruolo previste dal 31 agosto, ai presidi interessa
sempre di più fare chiarezza sulle future risorse personali, oltre che
economiche sulle quali potrà contare la ripresa di qualità delle nostre
scuole. Non c’è dubbio che la priorità vada alla condizione insegnante,
che, con buona pace di tutti, resta, nel rinnovamento, la sfida
principale.
Per questo provo a esprimere opinioni sul dibattito attorno alla
ripresa delle abilitazioni per i giovani laureati che vorranno
insegnare. Per loro, e perché giovani con questo desiderio si affaccino
alle scelte umane e professionali, è moralmente grave che tutte le
forze che hanno responsabilità culturali tifino con forza contro il
ridare riconoscimento a una vocazione (sì: vocazione, cioè consapevole
risposta a una domanda sociale e umana) che oggi tante condizioni
scoraggiano e
sviliscono.
Quante discussioni, pur giuste, sull’eccesso del numero degli
insegnanti in Italia in rapporto con i sistemi europei, sul numero
ridotto delle ore/cattedra di quelli rispetto a questi, spesso
trascuravano aspetti di qualità (compiti e competenze, livelli dei
salari, diversità di figure come il “bibliotecario-documentalista”
francese, carriera professionale, libertà e flessibilità nel rapporto
tra laurea posseduta e posto di insegnamento occupato, ecc.) l’assenza
dei quali ha deformato una delle più belle professioni sociali.
Sono stato positivamente stupito dalla coraggiosa scelta di deputati
dalla maggioranza nel chiedere (ma quanti deputati e senatori si
occupano seriamente di scuola?) all’attuale Ministero più attenzione ai
bisogni reali e vero coraggio nel trasformare i principi in azioni
corrispondenti. Ecco allora le considerazioni, permettendomi alla fine
di “dare un po’ i numeri”.
Innanzitutto, l’errore dei tagli praticati in due anni sulla scuola
(fino alla recente manovra) non è stato tanto nella “sottrazione di
risorse” (anche se altrove in Europa e nel mondo si investe sulla
formazione), ma nel fatto che sono sempre stati e restano tagli
“trasversali”, senza alcun criterio progettuale positivo, “di sviluppo”
direbbero taluni.
Il vero guaio emerso sempre di più negli ultimi quattro ministeri è il
rafforzamento di difese corporative, sindacali-amministrative, per
sistemare interessi tutelati da anni. A costoro occorre ricordare che
non sempre l’interesse generale di un settore corrisponde al “bene
comune” di cui le comunità hanno bisogno. Quello che non andava bene è
stata la notizia circolata su siti scolastici dell’occultamento di
posti da assegnare, nei futuri corsi universitari per le abilitazioni
(i cosiddetti TFA), ai giovani laureati di questi anni. Ma anche i
nuovi numeri che circolano non corrispondono (oltre che al rispetto
delle norme) al bisogno reale delle scuola reale e del suo
ammodernamento. In questo modo si scoraggia sempre più chi la scuola la
vive con passione e chi riesce ancora a desiderare l’insegnamento come
vita, prima che come professione.
La legge 124/99 assegna alle immissioni in ruolo il 50% dei posti alle
graduatorie (trasformate dalla legge 296/06 in Graduatorie ad
esaurimento) e il restante 50% agli idonei risultanti da pubblici
concorsi i quali non sono necessariamente quelli centralizzati. Le SSIS
erano nate con il proposito di formare insegnanti secondo il
fabbisogno. Poi da molte parti si è fatto solo quello che tornava
comodo ai posti universitari da proliferare, con torme di abilitati in
discipline che non avevano corrispettivi di posti disponibili nelle
scuole.
In gioco non c’è stata solo un’Università chiusa su di sé, lontana
dalla realtà e dai suoi bisogni, ma anche una vera e propria crisi
sociale. Quanta distanza ancora tra offerta formativa, scelte dei
giovani e fabbisogni reali. Il che non è di poca incidenza sulla grave
condizione occupazionale. Purtroppo, nonostante studi, servizi e
proclami, le assunzioni di giovani danno ancora troppo poca fiducia al
merito e alle loro capacità. Quanti nostri giovani laureati ben
preparati trovano percorsi professionali interessanti solo all’estero,
a fronte di dirigenze pubbliche e private che nelle scelte smentiscono
le dichiarazioni teoriche.
È vero che da alcuni anni più informazioni sui reali inserimenti
lavorativi dei giovani hanno iniziato a far crollare i miti di fine
‘900: certe lauree e la laurea in genere. Ma quante scuole fanno serie
indagini sugli inserimenti lavorativi dei loro diplomati? Quante
Università lo fanno sui loro laureati e ne divulgano i risultati?
Quante facoltà ancora producono disoccupati? Pur non essendone
l’elemento decisivo, sicuramente la crescita di un’informazione
adeguata aiuterà a scelte migliori.
Se poi qualche classe politica avrà il coraggio di abolire il valore
legale del titolo di studio, ognuno potrà farsi valere per le capacità
che presenta. Ma nel frattempo, anche nell’ambito delle scelte per i
futuri insegnanti, e onde evitare ingiustizie e sperequazioni, per
alcuni anni occorre ancora mantenere interventi programmati, salvo dare
a questi fondamenti certi, trasparenti e basati su dati reali, gestiti
da esperti capaci.
Per questo non condivido, stante l’attuale classe politica e
dirigenziale (spesso incline a emendamenti elettorali o aggregazioni
sindacal-corporative che li spingono), strade di completa
liberalizzazione degli accessi ai percorsi per i futuri insegnanti.
Ritengo invece che alcuni condizioni debbano restare: le Graduatorie ad
esaurimento non vanno mai più riaperte; il loro aggiornamento
definitivamente fermato (troppe le iniquità create in quest’ultimo); i
corsi per il TFA debbono partire assolutamente entro novembre 2011 con
una selezione alta e terminare in modo che chi ne supererà gli esami
finali (con commissioni dove debbono poter votare anche i
rappresentanti delle scuole) possa entrare in albi regionali entro la
fine di luglio 2012; ai corsi TFA non debbono poter partecipare docenti
già abilitati.
Adesso provo a “dare i numeri”, perché un dialogo reale sulle soluzioni
esige innanzitutto chiarezza di informazione. Su di un totale di
840.000 insegnanti nel 2007/2008 (esclusi gli insegnanti di religione,
ma compresi i docenti di sostegno), circa 700.000 erano assunti a tempo
indeterminato (di ruolo). Dei restanti 140.000, circa 22.000 erano
assunti a tempo determinato annuale, mentre 118.000 lo erano a tempo
determinato “fino al termine delle attività didattiche”. Il totale dei
docenti statali in servizio si è ridotto, nell’anno scolastico
2010/2011, a 800.000 (nonostante la previsione dalla legge 133/2008,
Piano programmatico per la scuola, avesse stabilito in tre anni 87.400
docenti in meno). Prendo questi dati e i seguenti dalla Ricerca 2010
Fondazione Agnelli, dalle elaborazioni di Tuttoscuola e da tabelle
sindacali (Gilda, Cgil).
In assenza di dati precisi (anche se questo, con la massa di
monitoraggi chiesti settimanalmente alle scuole, appare veramente
inspiegabile) e applicando la proporzione del 2007/2008 si dovrebbero
calcolare in circa 135.000 i posti non a ruolo. In effetti, fonti Gilda
assegnerebbero nel 2010/2011 130.835 supplenze annuali (di cui 40.000
alle superiori) su 800.000 posti a docenza. Ci siamo vicini.
Nonostante i tagli degli organici i posti vacanti sono destinati ad
aumentare perché la copertura dei pensionamenti nell’ultimo quinquennio
è avvenuta per i due terzi. Infatti, nello stesso periodo non sono mai
avvenute assunzioni tali da coprire il 100% dei pensionamenti. Con una
media di 20.000 all’anno nello stesso periodo non si sono coperti i
pensionamenti, calcolati dalle tabelle Miur (confermati da dati che
Tuttoscuola ha pubblicato nel giungo 2011), sempre nell’ultimo
quinquennio, da una media di 30.200: primaria 8.000, scuola
dell’infanzia statale 2.600, scuola secondaria di I grado 9.400,
istituti di II grado 10.200.
Quindi, se teniamo per buoni i numeri sindacali dei posti da coprire
(127.000) e da questi togliamo i 35.000 delle prossime immissioni in
ruolo, ma vi aggiungiamo la media dei pensionamenti (30.200, sempre in
media, ovviamente: ma che si può fare se non abbiamo numeri reali
certi?), il calcolo per almeno i prossimi due anni deve prevedere una
copertura di 122.200 posti, dei quali il 50% da assegnare a posti
derivanti da concorsi (e quindi da aspiranti provenienti dai nuovi
abilitati) che sono non meno di 61.000.
Siamo ben lontani non solo dai 5.000 previsti nelle prime tabelle
calcolate dal Miur, ma anche dalle cifre attuali che assegnerebbero ai
giovani laureati futuri abilitati tramite il TFA non più di 18.000
posti. Come mai?
Una cosa è certa: o il Ministero con correttezza e trasparenza (come
chiede tutti i mesi con i monitoraggi alle scuole) pubblica dati
diversi, oppure, sulla base di quelli disponibili (per sommari che
siano, ma fin’ora non discussi) l’affermazione gelminiana “occorre dare
spazio al merito ed alle capacità dei giovani” è lontanissima da ogni
corrispondenza con la realtà, se le tabelle che usciranno per i TFA
avranno un totale di 18.000 posti
Queste tabelle poi dovranno essere obbligatoriamente aumentate per
prevedere la possibilità di abilitazione per i docenti delle scuole
paritarie che vi sono obbligati. I 61.000 dovranno essere aumentati
almeno del 10% se si deve dar fede ai dati Fondazione Agnelli (che
stima in almeno 80.000 questi docenti), tenendo sempre per buono il
numero di 800.000 dei docenti delle scuole statali.
Non è finito il conteggio, perché una previsione ragionevole delle
tabelle non potrà non tener conto della “mortalità universitaria”,
salvo il rischio di fare come per i corsi universitari per infermieri
che alla fine laureano un numero sempre molto inferiore al fabbisogno
calcolato all’inizio. Di conseguenza, i totali finora snocciolati
giungono a dover prevedere quasi 70.000 posti per i corsi TFA.
Sto dando i numeri? Può darsi, ma non sono miei: li ho presi dalle
uniche fonti accessibili. C’è un unico modo per ridimensionarli:
pubblicare i dati reali della scuola statale e non statale italiana che
il “cervellone” del Miur possiede. Fino ad allora il Ministro ha un
unico modo per dimostrare la verità dei principi affermati: assegnare
alle Università i numeri suddetti, possibilmente tenendo conto della
distribuzione regionale delle classi di concorso esaurite, della
distribuzione dei fabbisogni regionali prevedibili.
Un’amministrazione che applica alle scuole statali in modo rigido le
serie storiche degli alunni bocciati quando deve calcolare il numero di
classi e docenti da assegnare, deve poter riuscire a utilizzare le
serie storiche dei pensionati, dell’andamento delle popolazioni
scolastiche, dei piani di riduzione delle istituzioni scolastiche per
razionalizzazioni e quindi arrivare a previsioni ragionevoli per i
futuri posti a docente da coprire.
Questo l’amministrazione lo può fare, fugando così ogni dubbio e
favorendo un confronto chiaro e pacato. Ma poi le vere scelte toccano
alla politica: l’avvio urgente dei nuovi corsi per l’abilitazione (pur
con tutti i gravi limiti che il Regolamento Israel contiene); l’attuato
della norma (L. 124/99) ricordata dallo stesso Ministro a Viareggio che
prevede la ripartizione dei reclutamenti tra graduatorie esistenti
(vecchi abilitati) e concorsi per futuri nuovi abilitati; la copertura
in non più di tre anni di tutti i posti ragionevolmente stabili
attraverso i due canali di reclutamento previsti dalla legge; l’avvio
di un sistema di reclutamento veramente nuovo che affidi la funzione di
indire concorsi rigorosi alle singole Istituzioni scolastiche autonome,
come fanno comuni e ospedali.
Si tratta alla fine di rompere con il centralismo e trasferire il
potere di assumere, come richiede il nuovo Titolo V, alle autonomie
costituzionalizzate.
(di Roberto Pellegatta da http://www.ilsussidiario.net/)
redazione@aetnanet.org
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