Esami di stato e meritocrazia (troppi 100 al Sud): e se si puntasse sulle competenze?
Data: Giovedì, 04 agosto 2011 ore 08:57:06 CEST
Argomento: Redazione


Il problema in effetti sussiste e non è il primo anno che al Sud i ragazzi si diplomano con voti sfacciatamente superiori a quelli dei loro colleghi del Nord: sono più bravi o vengono invece aiutati dai loro professori, commissari esterni inclusi? In Calabria addirittura in  un liceo si  sono contati venti 100 e lode battendo, si fa per dire, il primato di un altro liceo dell'anno scorso dove si è passati dai 23 cento e lode ai solo 17 di quest’anno. Qualche esperto di meritocrazia, come il prof. Roger Abravanel, propone di implementare al più presto le prove Invalsi, stabiliti dal Miur e uguali per tutto il territorio nazionale, anche per la terza prova agli esami di Stato, invece di lasciarla alla discrezione della commissione, e di mettere i risultati in rete in modo che i genitori, all’atto della iscrizione, possano rendersi conto dell’andazzo complessivo della scuola scelta.
Discorso per lo più condivisibile se gli esami di stato continuano a mantenere le stesse caratteristiche di oggi: voto unico e commissione ripartita a metà tra esterni e interni, ma se si incominciasse a ragionare in maniera diversa forse si potrebbe ottenere di più senza marchingegni e espedienti di varia natura. Premesso intanto che una commissione “ben disposta” potrebbe comunque aiutare i propri maturandi orientandoli anche nella terza prova benché  venga direttamente dalle segrete stanze ministeriali; aggiunto ancora che l’ammissione agli esami è consentita solo a chi ha la sufficienza in tutte le materie, per cui già, a rigore di logica e di diritto, si dovrebbe promuovere al di là dell’esito degli esami (perché se non fosse così qualcuno starebbe barando: o il consiglio di classe che ha dato il sei a ogni disciplina   o la commissione che non ha capito nulla dell’esaminando), la proposta da mettere in campo per il dibattito politico (ma qualche tempo fa si aprì per chiudersi subito dopo pochi bollori) sarebbe quella di togliere valore legale al diploma (giammai alla laurea) e perfezionare esami da consegnare a soli commissari esterni  che però accertino, disciplina per disciplina e in modo particolare per quelle di indirizzo, le competenze specifiche raggiunte dall’alunno nel corso dei cinque anni. Si eviterebbero in un colpo: bocciature, perché le competenze sarebbero certificate e a disposizione delle Università per le borse di studio o delle imprese per le assunzioni, a meno che il candidato non voglia di sua volontà ripetere l’anno; i compromessi per raggiungere un voto unico che racconta poco dell’allievo; salti mortali per un titolo legalmente riconosciuto ma a cui nessuno, dalle associazioni dei professionisti alle università, dà credito e valore. Un colpo d’ali e un dibattito, sine ira et studio, in commissione cultura e in Palamento, nella speranza che dal confronto nasca  una sintesi  onorevole per la scuola soprattutto e pure per la Nazione, visto che il suo futuro, si capisca o no, dipende dalla cultura e dalle conoscenze di ogni suo singolo cittadino.

Pasquale Almirante
p.almirante@aetnanet.org






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