Abolire il valore legale della laurea. Mi piacerebbe che se ne discutesse in maniera laica, senza preconcetti.
Data: Venerdì, 29 luglio 2011 ore 17:30:00 CEST Argomento: Giurisprudenza
Valore legale della
laurea significa che ogni laureato ha una qualifica equivalente: tutti
medici, avvocati, ingegneri, che abbiano studiato in un’Università
prestigiosa o scadente. Il riconoscimento statale della laurea li mette
tutti sullo stesso piano. Non è ragionevole.
Un’Università è prestigiosa o scadente in funzione del livello di
preparazione assicurato e dunque dei suoi docenti. Le caratteristiche
della progressione in carriera nelle Università italiane sono state
oggetto, da sempre, di molte critiche. Il che significa che la qualità
dei docenti non è garantita. Ma la laurea ha lo stesso valore per
tutti, che abbiano studiato con il prof. Eccelso o con il prof. Modesto.
Il numero delle Università cresce costantemente, in funzione
dell’incremento del numero degli studenti. L’Italia è sempre più un
popolo di laureati. Questo significa un incremento della spesa
pubblica. È ovvio che non è possibile sostenerlo all’infinito.
Il valore legale della laurea non garantisce uguaglianza nell’accesso
al mondo del lavoro. Tutti i laureati possono partecipare ai concorsi
pubblici; così come avverrebbe in un sistema che non richiedesse la
laurea come titolo di legittimazione a parteciparvi; il successo
dipende, in entrambi i casi, dalla preparazione dei candidati, non dal
titolo formale. E l’impresa privata opera di fatto una distinzione tra
le lauree conseguite nelle Università più prestigiose e le altre,
infischiandosene solennemente del valore legale della laurea. In
pratica non vi è differenza tra un sistema e l’altro.
La “privatizzazione” dell’Università comporta una gerarchia tra i
titoli di studio: il laureato di Yale o Harvard (per fare l’esempio
classico) sarà ricercato dal mercato con preferenza su quello di
Poggiofiorito di Sotto. Il che penalizza i laureati di Poggiofiorito,
magari ingiustamente. È vero, però, che anche questi possono dimostrare
la loro preparazione in colloqui o esami preliminari, cui tuttavia può
non essergli garantito l’accesso. Sotto questo profilo l’abolizione del
valore legale della laurea desta perplessità.
Frequentare un’Università privata costa tanti soldi; tanto più alto è
il livello, tanto più costa. Il che automaticamente esclude la maggior
parte degli studenti. Il che è un male, naturalmente. Ma va anche
considerato che la corsa alla laurea non è un bene: abbassa il livello
qualitativo dei laureati, incrementa a dismisura la concorrenza,
diminuisce il livello delle retribuzioni e delle prestazioni
professionali. E poi bisogna tener conto del fatto che, nei paesi che
adottano questo sistema, esistono una serie di misure studiate per
facilitare l’accesso agli studenti meno abbienti: borse di studio,
prestiti dello Stato da rimborsare quando si comincia a lavorare.
Conclusione: la proposta non è da buttar via. Certo, occorre prevedere
un sistema che garantisca l’istruzione universitaria anche ai non
ricchi (se meritevoli). Ma gente che ha inventato il processo breve con
organizzazione giudiziaria invariata probabilmente privatizzerà
l’istruzione universitaria senza preoccuparsi troppo delle strutture di
sostegno connesse.
Bruno Tinti (Magistrato
e scrittore)
Il Fatto Quotidiano, 29 luglio 2011
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