Il valore legale della laurea e la sua abolizione
Data: Martedì, 26 luglio 2011 ore 21:45:00 CEST Argomento: Istituzioni
I ministri Brunetta e Gelmini si stanno
interrogando su qualcosa che potrebbe essere positivo: introdurre la concorrenza nel mondo
dell’istruzione e della formazione.
L’idea, non nuova per la verità, è
quella di procedere su due fronti: da un lato abolire il valore legale
del titolo di studio e, dall’altro, istituire un borsino degli atenei
adeguandosi, presumiamo, a quanto già avviene in varie realtà
d’oltralpe.
In alcuni Paesi tutto ciò è già realtà da molti anni, soprattutto se
prendiamo a modello l’efficiente sistema anglosassone, ovvero Stati
Uniti e Regno Unito.
Qui la “competition” si esplica primariamente nella capacità di
attrarre finanziamenti a fronte di progetti che si riesce a sviluppare
col mondo esterno, capitali che poi vengono evidentemente reinvestiti
per accaparrarsi i migliori docenti, le migliori attrezzature, i
migliori ricercatori e, di conseguenza, acquisire i più alti punteggi
sia nazionali che internazionali che, a loro volta, attrarranno i
migliori finanziatori, studenti, ricercatori e docenti.
Un circolo virtuoso. Il punteggio o “rating” viene stilato da numerosi
operatori indipendenti. Ai primi posti in tutte le classifiche ci sono
più o meno queste università: California Institute of Technology (Stati
Uniti) , Harvard University (Stati Uniti);
Imperial College London (Regno Unito) Massachusetts Institute of
Technology (Stati Uniti); Princeton University (Stati Uniti);
University of California Berkeley (Stati Uniti); University of
Cambridge (Regno Unito); University of Chicago (Stati Uniti);
University of Oxford (Regno Unito); Yale University (Stati Uniti).
Non è un caso, quindi, che
l’eccellenza nella formazione universitaria ricada in seno ai Paesi
dove è più diffusa la cultura della concorrenza. E l’Italia come si
colloca? Le università italiane quasi mai fanno capolino non nelle
prime dieci, ma addirittura tra le prime 200 posizioni!
La conclusione è che ben vengano i rating in quanto è oggettivamente
riscontrabile che, laddove essi abbiano un peso reale
nell’approvvigionamento delle migliori risorse umane ed economiche, la
qualità del settore istruzione è assicurata con lampanti benefici anche
per l’indotto dell’istruzione stessa (ricerca, industria, servizi…).
L’Italia sconta anche in questo ambito l’assenza di una reale
concorrenza: gli studenti scelgono un
ateneo più per esigenze logistiche che per la reale fama dello stesso
gli atenei dal canto loro spingono per il rilascio di titoli neanche
fosse la vendita delle indulgenze (ma il lavoro poi?)
le tabelle MIUR/ANVUR di valutazione sono utilizzate più per tagliare i
già esigui fondi agli Istituti meno virtuosi piuttosto che per spronare
complessivamente il sistema l’Italia ha oggettivamente anche un
problema nel mercato del lavoro, la precarietà che di certo non premia
chi lavora bene e sodo, ma si fonda su stage infiniti, contratti a
progetto pro-forma, partite iva che fatturano per anni ad un solo e
medesimo cliente
La ricetta, ci dicono, è quella di
abolire il valore legale del titolo di studio. La speranza è che nel
mercato del lavoro vada a pesare di più la competenza sostanziale di
quella formale, quasi che in Italia vi sia una casta di laureati che
sta usurpando e tarpando le ali ad un popolo di sans papier che vanta
capacità inimmaginabili (ci si perdoni l’ironia).
In Italia parrebbe invece che i giovani laureati siano largamente a
spasso e che gli uffici (in primis quelli pubblici) siano popolati da
soggetti che si fa delle volte fatica a comprendere come vi siano
potuti arrivare sulla base del merito.
La concorrenza, quindi, va bene. Una società basata sulla meritocrazia
dovrebbe incentivare il possesso di elementi distintivi quali titoli e
referenze, andando sicuramente a sposarsi col discorso del rating
esposto in precedenza.
L’idea sarebbe quella di riuscire a
valutare obiettivamente gli Istituti e pesare il valore sostanziale dei
titoli emessi in base al coefficiente di correzione corrente. Dare a
tutto ciò un valore legale (per parafrasare l’oggetto della
discussione) aiuterebbe certamente la concorrenza, motiverebbe gli
atenei a distinguersi, a fare selezione piuttosto che a inquinare le
statistiche assecondando la mediocrità, ad attrarre capitali per
sviluppare iniziative che ne aumentino veramente la reputazione.
(da http://generazionepropro.corriere.it/).org
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