Abbiamo già dato ed anche tanto. Siamo pensionati quiescenti, non parassiti.
Data: Mercoledì, 20 luglio 2011 ore 07:57:17 CEST
Argomento: Redazione


Etimologicamente parlando,  il sostantivo PENSIONE viene dal lat.  pèndere e il suo participio pensus  col significato di pesato, pagato. Gli antichi, prima del conio delle monete, pesavano il metallo da dare come forma di pagamento. Il verbo pèndere si traduce meglio con: soppesare, sospendere e pendere da una bilancia. Un sinonimo di pensione è quiescenza. Sempre dal latino, è la  condizione dei dipendenti di ruolo collocati a riposo con diritto di liquidazione e assegno di pensione.
Storicamente dissertando - in Italia - l’assicurazione per l'invalidità e la vecchiaia da volontaria (1898) divenne obbligatoria nel 1919, sotto il governo del siciliano Vittorio Emanuele Orlando, grande giurista. Mussolini poi migliorò e potenziò il sistema previdenziale. Difatti nella “Carta del lavoro”  del 1927 si legge: “La previdenza è un’alta manifestazione del principio di collaborazione. Il datore e il prestatore d’opera devono concorrere proporzionalmente agli oneri di essa. Lo Stato, mediante gli organi corporativi e le associazioni professionali, procurerà di coordinare e di unificare, quanto è più possibile, il sistema e gli istituti di previdenza”. Nel 1933 nacque l’INFPS (Istituto Nazionale Fascista della Previdenza Sociale) costituito in ente di diritto pubblico dotato di personalità giuridica e a gestione autonoma, che nel 1939 cominciò a gestire interventi a sostegno del reddito (assicurazione contro la disoccupazione, assegni familiari, integrazioni salariali per i lavoratori sospesi o ad orario ridotto). Nel 1943 tale ente assunse la denominazione attuale di INPS, senza l'aggettivo "Fascista".  La costituzione repubblicana, con l’articolo 38, accolse gli obiettivi della sicurezza sociale come diritti fondamentali dei cittadini per le loro esigenze di vita. L’ente pubblico INPS si occupa da allora di previdenza e soprattutto di pensioni. La  protezione offerta dalla  previdenza  è realizzata per mezzo di assicurazioni obbligatorie per le quali il datore di lavoro versa dei contributi, mentre il lavoratore ha delle trattenute sullo stipendio. Se sei dipendente statale , lo Stato mette da parte i contributi destinati alla tua pensione e sul cedolino ti vengono fatte le trattenute mensili. Le mie attuale ritenute previdenziali sul cedolino di luglio ammontano a 293 €. Calcolate voi quanti soldi lo Stato ha avuto da me ogni mese e da 35 anni, senza dimenticare gli interessi maturati su questo capitale personale. Il pensionato in quiescenza, quindi, non vive il suo tempo come un parassita dell’assistenza pubblica, ma come creditore delle somme accantonate nel tempo di una vita di lavoro. Per favore, non consideriamo i pensionati una spesa passiva nel bilancio dello Stato! Semmai sono i veterani di un lungo servizio per l’Italia. Se fino ad oggi il numero di contribuenti nel sistema previdenziale ha garantito ai pensionati rendite nette molto prossime allo stipendio mensile, la situazione nel futuro tende a cambiare in misura notevole e purtroppo in senso peggiorativo. Il crollo della natalità (meno futuri lavoratori = meno contribuenti), l’allungamento della speranza di vita (più pensionati = più spesa pensionistica), il rallentamento della crescita economica (retribuzioni costanti = meno contributi) concorrono a minare gli equilibri del passato e del presente.  Ad aggravare la difficile situazione dei futuri pensionati statali arrivano le ghigliottine delle ultime finanziarie e il datore di lavoro (lo Stato), tramite il governo,  decide di sospendere il tempo (che è denaro!) a danno dei suoi lavoratori, ibernando il CCNL del 2006-9, bloccando gli scatti di anzianità per 4 anni, sia dal punto di vista economico ma soprattutto giuridico. Il governo, ladro del tempo, per le nuove assunzioni ha posto la condizione è in un “rallentamento” della progressione di carriera. In applicazione dell’art. 18 della legge 98/2011,  l’incipit della quiescenza è un po’ più lontano anche per chi ha 40 anni di lavoro e di contributi, mentre chi inizia ora a lavorare potrà andare in pensione a 69 anni (anche le donne) nel 2052. Vengono aumentati in modo unilaterale i doveri dei dipendenti e si perdono diritti maturati nel tempo. Il blocco degli scatti di anzianità, porta conseguenze anche agli aspiranti pensionati: coloro infatti che al 31 dicembre 2014 raggiungono la soglia dei 40 anni di servizio, si ritroveranno nei conteggi finali anni in meno di anzianità.  Per questo motivo ci si chiede, oggi, se i sindacati sono in grado di difendere i diritti e gli interessi, sia economici che professionali, dei lavoratori! L’art. 18 della 98/2011 è un taglia taglia di denaro sudato e il calcolo del tempo di lavoro viene “elasticizzato” al limite dell’esistenza in vita.
      Anni fa, andava in pensione un docente e con gioia subentrava un altro in quella cattedra. Quest’anno, in Sicilia,  vanno in pensione 2.284 proff;  ma siccome sono state tagliate 2.534 cattedre, inizierà a settembre la mobilità (l’èsodo!), il nomadismo, il turismo scolastico dei “perdenti posto”, il… randagismo.


Giovanni Sicali
giovannisicali@gmail.com







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