Se la scuola come la vita si divide in ''Rosso e blu''. Piccioni racconta ''il luogo dove ognuno di noi incontra il futuro'' con la preside Buy, il supplente Scamarcio e il profes
Data: Domenica, 10 luglio 2011 ore 08:12:45 CEST
Argomento: Rassegna stampa


L’ errore blu era il più grave, quello che automaticamente faceva precipitare il voto finale verso il basso. Quello rosso, invece, non era preoccupante, spiccava sulla pagina senza incutere timore. Nel mondo della scuola, quei due colori, due estremità di un’unica matita, avevano un senso preciso. Come tante altre convenzioni, il registro, l’appello, il compito in classe, condivise dalla comunità degli alunni e dei professori, sopportate, odiate, rifiutate, in ogni caso vissute come una pezzo incancellabile dell’esistenza: «Avrei detto, fino a poco tempo fa, che la scuola non è più il luogo centrale della formazione e che la maggior parte degli insegnanti ha perso il senso della propria missione. Poi, prima d’iniziare a girare, ho fatto sopralluoghi, ho conosciuto docenti, ho assistito a lezioni, e mi sono convinto che quelle aule sono tuttora importanti, perchè è lì che, nel bene e nel male, i ragazzi, per la prima volta, si confrontano con il loro futuro. Il punto è non trasformare l’esperienza scolastica in un’occasione mancata».                 
In una scuola romana a due passi dal Gianicolo, Giuseppe Piccioni gira in questi giorni Il rosso e il blu , ispirato al libro omonimo di Marco Lodoli (Einaudi), prodotto da Biancafilm in collaborazione con Rai Cinema, e dedicato a una delle istituzioni più problematiche e discusse d’Italia. Non è un film sulla Gelmini e nemmeno un manifesto in favore della scuola pubblica, però ogni personaggio e ogni storia parla di oggi e dice quanto sia importante, nonostante tutto, conservare quei banchi, quelle vecchie lavagne, quelle tecnologie che non funzionano, quei professori che portano in classe, insieme a libri e conoscenze, il carico delle loro vite: «Lodoli è un insegnante-scrittore, le sue annotazioni riportano sempre a temi d’attualità, io, però, non sono mai stato un autore che batte cassa sul sociale. Ho sempre pensato che Guerra e pace sia un capolavoro perchè parla della vita e non di guerra e di pace».

Fondamentali, quindi, i profili umani, disegnati dai tre attori protagonisti, Margherita Buy, la preside Giuliana, Riccardo Scamarcio, il giovane supplente, Roberto Herlitzka, il vecchio professore. Intorno a loro si muove una scolaresca che diventa spesso detonatore di esplosioni cruciali: «Con la scuola - racconta Buy - non ho mai avuto un buon rapporto, sono sempre stata rimandata o bocciata. E’ curioso, adesso, ritrovarmi nei panni di una preside, una donna che non ha avuto figli e che, paradossalmente, vive dalla mattina alla sera in mezzo ai ragazzi». L’incontro con un quattordicenne, abbandonato da una madre di cui sembrano essersi perse le tracce, le riproporrà il nodo centrale dell’esistenza: «E’ un evento che sta lì a ricordarle un errore, Giuliana farà molto, molto di più del necessario, per aiutare l’alunno, e, alla fine, la riflessione sulla sua vita non sarà del tutto negativa». Il professor Scamarcio («la scuola per me era un incubo») è invece animato da un tenace ottimismo della volontà, ma non è facile risolvere problemi annosi: «Vivo il mio incarico - racconta l’attore - come una grande opportunità, voglio insegnare qualcosa di importante, soprattutto comunicare positività, capacità di non arrendersi.

Se c’è il videoproiettore rotto faccio di tutto per farlo funzionare, sono quasi ossessionato dalla mania di risolvere i problemi». Una tensione destinata a scontrarsi con l’atteggiamento di alcuni studenti, ma anche, e soprattutto, con quello di altri professori, a iniziare dal cinico insegnante di storia dell’arte, un monumento di sapere che ha smarrito il senso della professione: «Le speranze spiega Herlitzka - mi ritornano grazie a un’ex-alunna, vivo con lei una specie di redenzione personale nella quale la tragedia della cultura non ha molta parte». Quella resta. E con essa, dice l’attore, la spinta a ribellarsi contro il «degrado della scuola, che è indice del più ampio degrado della società. I ragazzi sono un terreno da coltivare e gli insegnanti, se realmente lo vogliono, dispongono di tutti gli strumenti adatti a sollecitarli. Per questo la loro categoria andrebbe coltivata e non depauperata come invece avviene».

Dentro quell’universo comune, fatto di «rosa-rosae, di Leopardi, di Dante, di Foscolo», si consuma, riflette Piccioni, il primo, fondamentale faccia a faccia tra «ordine e disordine, dove l’adolescenza rappresenta il secondo. Credo ci siano insegnanti che hanno sbagliato professione, ma anche che ce ne siano tanti altri, mille volte più validi degli intellettuali che tengono banco in tv. Il ricordo più bello dei miei anni di scuola è legato a loro, a quei professori che hanno tentato di farmi studiare cose come il De bello gallico , cose di cui allora non capivo assolutamente nulla».             (da http://www3.lastampa.it/)

redazione@aetnanet.org






Questo Articolo proviene da AetnaNet
http://www.aetnanet.org

L'URL per questa storia è:
http://www.aetnanet.org/scuola-news-243039.html