The Importance of Being Earnest. E’ più importante chi è “eletto preside” oppure chi ha in tasca un “concorso a preside”? (Seconda parte)
Data: Sabato, 09 luglio 2011 ore 11:00:00 CEST Argomento: Redazione
In inglese "Earnest"
(serio) ed "Ernest" (Ernesto) si pronunciano allo stesso modo, ma
hanno pure la stessa radice. Oscar Wilde già nel titolo del suo testo
teatrale mette alla berlina tutta quella cura dell'apparenza e della
forma che era il vanto dell’alta società vittoriana.
Polibio ha pubblicato, su questo sito, due
interventi riguardanti l’elezione diretta dei presidi e sono reperibili
cliccando su “Top redattori”. Condivido la sua tesi: le scuole non
hanno bisogno di dirigenti scolastici in pianta stabile ed è meglio
avere dirigenti democraticamente eletti che padroni della scuola per
concorso, a tempo indeterminato. Per non parlare dello spreco di denaro
pubblico (nostro!) per lo svolgimento di concorsi spesso falsi e
“truccati”, quando l’elezione del D.S. ad opera del Collegio dei
docenti sarebbe a costo zero.
Windows vuol dire finestre e quando vengono spalancate ci permettono di
guardare nell’orto del vicino, nella nostra Europa. In una
comunicazione della Commissione Europea del 2009 si legge: “Le scuole
in Europa, divenute organizzazioni sempre più complesse ed autonome,
hanno bisogno di capi d’istituto che sappiano coniugare gli aspetti di
management scolastico del loro ruolo con quelli di una leadership
focalizzata sull’apprendimento. Per
questo gli Stati membri devono: migliorare il processo di reclutamento
della dirigenza scolastica e dotarla dei mezzi necessari per
concentrarsi sul compito di migliorare l'apprendimento degli studenti e
sullo sviluppo del personale scolastico. Occorrono cambiamenti
anche radicali se vogliamo che le scuole europee preparino pienamente i
giovani alla vita di questo secolo”.
Per la Commissione Europea, il pieno
sviluppo dell’autonomia scolastica necessita di una dirigenza che
riesca a mettere in campo allo stesso tempo le qualità del leader e del
manager. Deve riuscire effettivamente ad esercitare le
prerogative del leader educativo, oppure rimarrà imbrigliato in
adempimenti soltanto burocratici ed organizzativi. Data la crescente
autonomia scolastica nella maggior parte dei paesi europei, i capi di
istituto devono confrontarsi oggi con sempre più compiti legati alla
gestione del personale docente, al finanziamento e ai contenuti
curricolari. I criteri di selezione sono pertanto essenziali, insieme
ad alcuni prerequisiti per la nomina a capo di istituto, in particolare
un’esperienza professionale di insegnamento, un’esperienza
amministrativa o di gestione o una formazione specifica per la funzione
di leadership.
Cosa abbia fatto o stia facendo l’Italia
gattopardesca, patria del machiavellismo, non è assolutamente
pervenuto. Con difficoltà lo Stato riesce a riconoscere i mutamenti
sociali, culturali ed economici. Da noi siamo fermi ai Decreti Delegati
e ci siamo illusi che la società non avrebbe più subito evoluzioni e
cambiamenti. Nei siti dell’EU si possono trovare notizie e dati di
confronto sulla situazione della dirigenza scolastica. Oppure si può
consultare la “Rete di informazione sull’istruzione in Europa: Eurydice
Italia”. Solo 5 paesi
(Lettonia, Paesi Bassi, Svezia, Norvegia e Islanda) non indicano
ufficialmente nessun requisito per diventare capo di istituto, eccetto
un’esperienza professionale di insegnamento.
In Svezia, tutti coloro che hanno acquisito competenze nel settore
educativo risultanti da formazione o da esperienza pratica possono
essere promossi capi di istituto ed è raccomandato loro di seguire una
formazione specifica dopo la loro entrata in servizio.
La condizione minima è quella di avere alle spalle un’esperienza
professionale di insegnamento.
In Danimarca, Germania, Austria
e Finlandia, viene richiesta un’esperienza di insegnamento ma i
documenti ufficiali non ne precisano la durata. Nel Regno Unito, tutti
i nuovi capi di istituto devono obbligatoriamente aver conseguito la
“Qualifica professionale nazionale” per la funzione di capo di istituto.
A Cipro, in Portogallo, Finlandia e
Turchia, i capi di istituto devono avere sia un’esperienza di
insegnamento che un’esperienza amministrativa.
In numerosi paesi europei, i capi di istituto hanno la possibilità di
seguire una formazione opzionale dopo la loro nomina e spesso viene
vivamente raccomandato loro di farlo. E’ chiaro che i futuri capi di istituto
devono aver seguito una formazione specifica per la loro funzione.
Questo il più delle volte avviene prima della loro entrata in servizio.
Mentre nella Repubblica Ceca la
formazione avviene dopo la nomina, in Austria i capi di istituto
sono tenuti a seguire più moduli di formazione se vogliono ottenere una
nomina permanente; e In
Francia, dopo aver passato il concorso per personale direttivo, viene
offerta una formazione in due cicli al termine della quale, se superata
con successo, si ottiene la titolarità nel corpo. La durata
minima della formazione obbligatoria per la funzione di capo di
istituto è molto variabile da un paese all’altro: è di soltanto poche
ore in certe comunità autonome della Spagna ma di un anno a tempo pieno
a Malta.
Tutti i paesi che organizzano una formazione specifica per la
funzione di capo di istituto vi includono aspetti pedagogici e
didattici, aspetti amministrativi e altri legati alla gestione delle
risorse, incluse quelle finanziarie. I capi di istituto hanno
generalmente una qualifica acquisita in seguito a un’esperienza
professionale di insegnamento e di gestione amministrativa e/o a una
formazione specifica in materia di direzione. Essi dedicano in
media solo il 13% del loro tempo all’insegnamento: il Belgio (Comunità
fiamminga), l’Italia e la Svezia risultano tra i paesi che vi dedicano
il tempo minore. In due paesi, invece, la Germania e la Francia, la
situazione è invertita e i capi di istituto dedicano la maggioranza del
loro tempo alle attività di insegnamento.
La
proposta operativa per il Bel Paese allora è questa.
A giugno, nell’ultimo Collegio, i docenti eleggono democraticamente
(all’interno dei corpo insegnante) il preside dell’Istituto e i suoi
collaboratori. I quali entro settembre seguono un corso di formazione e
aggiornamento per essere pronti al compito della dirigenza scolastica. Con l’elezione diretta in ciascuna
istituzione, come scrive Almirante, non si verificherebbero mai vuoti
dirigenziali e gli eletti sarebbero professori interni alla scuola
medesima. Perché il preside non è il padrone della “sua” scuola.
E’ un “primus inter pares” in quella che una volta si definiva comunità
educante. Non è più la piramide che
deve schematizzare la società umana. E’ il cerchio concentrico il vero
modello della scuola democratica, con al centro le persone (che sono il
capitale più importante, come ripeteva Stalin) e dove i ruoli sono
divisi come tra i ministri.
Ministrare non è comandare; è esercitare un ufficio in
servizio degli altri; è non far mancare le cose necessarie; è
somministrare; è servire a tavola … sapendo che “cu havi cchiu sali,
consa a minestra”.
Ungaretti scrisse su “ I fiumi” della sua
vita, il vecchio prof ricorda tutti i suoi colleghi presidi dall’inizio
dei Decreti delegati ad oggi: ad essi non ho mai chiesto il punteggio
del concorso vinto, con tutti ho navigato attraverso il grande mare
della cultura e dell’istruzione italiana. Di tanti conservo
meravigliosi ricordi, sulla presidenza di altri preferisco stendere il
proverbiale velo pietoso e dare ragione al luogo comune che “chi sa, fa; chi non sa, insegna; chi non
sa insegnare, fa il preside”.
Sono pessimista sulla proposta di eleggibilità dei presidi perché
mi viene in mente un aforisma di O.
Wilde: “Nulla è pericoloso quanto l'essere troppo moderni. Si rischia
di diventare improvvisamente fuori moda
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