Anticipare il declino. Di Stefano Stefanel (con nota a margine della redazione di Aetnanet.org)
Data: Venerdì, 08 luglio 2011 ore 18:07:48 CEST
Argomento: Rassegna stampa


In una pluralità di interventi di grande valore apparsi su www.educationduepuntozero.it, www.scuolaoggi.org e su www.edscuola.it Maurizio Tiriticco e Franco de Anna sono entrati nel problema fondamentale del nostro momento storico: come inserire la scuola dentro una rinascita italiana capace di anticipare il declino. Sia la visione fortemente manichea di Tiriticco, che considera la politica Tremonti-Gelmini solo come una “nuvola devastatrice”, sia il realismo critico di De Anna, che comunque considera ineluttabili i tagli all’istruzione dato l’immanente pericolo di default, sono animati da un forte entusiasmo nelle possibilità insite nel sistema scolastico italiano. Senza tentare neppure per un attimo di alzarmi al loro livello mi permetto di fornire alcune brevi opinioni per alimentare il dibattito.
 Da Scuola Oggi

Valore d’uso e valore di scambio. C’è un’evidente crisi nel sistema scolastico italiano perché il valore d’uso prodotto (la cultura, in senso generale: Kultur e Zivilisation insieme) è nel complesso modesto, tradizionalista, italianocentrico e poco spendibile (anche nei quiz televisivi) e il valore di scambio in assoluta crisi, visto che anche l’aggrapparsi italico al valore legale del titolo di studio non ferma la disoccupazione o sottoccupazione intellettuale e visto anche che non c’è la corsa ad
assumere stabilmente nel nostro “Sistema Italia” neppure i laureati migliori (le Università continuano a preferire ai “geni” i “parenti”). La crisi della scuola come soggetto di cultura e professionalizzazione che oggi produce valori d’uso e di scambio deboli (insieme ad esperienze umane e di crescita molto forti, pervasive ed insostituibili) dovrebbe far riflettere coloro che sono fautori di un “conservatorismo progressista” secondo cui per progredire meglio non bisogna cambiare (quasi) nulla.
 
La politica scolastica della destra. Uno degli errori più comuni che vedo fare è quello che assegna alla destra governativa (Tremonti-Gelmini) intenti di “taglio” e non di “progetto”. “Dio acceca chi vuole perdere”, dice la Bibbia e la sinistra cieca ha sempre perso. La destra governativa persegue un obiettivo molto chiaro: diminuire la spesa per una scuola statale considerata da tutto il mondo catastrofica e aumentare le possibilità per una scuola pubblica gestita dai privati. Dov’è lo scandalo, visto che questo modello prospera in buona parte del Mondo? Perché la destra non ha diritto di cambiare un modello che nessuno ci invidia? Lecito e doveroso per la sinistra
contrastare questo modello, ma non snobbarlo, deriderlo, consideralo insistente.
Credo sia ora che anche in Italia si perda il vizio di scambiare il concetto di “pubblico” per quello di “statale” e cominciare a ragionare su un sistema di istruzione pubblica, che contempli l’opzione statale (oggi l’unica in alcuni settori – scuole dell’infanzia, molte scuole primarie, alcuni licei - di qualità) accanto a quella privata (oggi molto modesta praticamente dappertutto).
 
Pier Paolo Pasolini. Il 18 ottobre 1975 sul Corriere della sera propose di abolire la televisione pubblica e l’obbligatorietà della scuola (Aboliamo la tv e la scuola dell’obbligo). L’idea che descolarizzare avrebbe aiutato non è di oggi.
Diciamo che se oggi la Rai fosse in mano a un soggetto privato e la scuola non rilasciasse titoli di studio con valore legale (con susseguente abolizione degli Ordini) forse la nostra società sarebbe un po’ più avanti.
 
Tagli orizzontali e valutazione del sistema. Penso che poche persone di buon senso non abbiano capito che senza i tagli (alla scuola) di Tremonti oggi staremo tra Grecia e Portogallo e non dove stiamo. Il disastro di quei tagli non è stata la loro entità, ma la loro linearità ingiusta, punitiva e arbitraria. Se però ci domandiamo se oggi è possibile in Italia un taglio mirato, dobbiamo rispondere no. Questo perché ci sono resistente al controllo reale del sistema da parte dei sindacati e del ministero e alla valutazione del personale. Se il Miur non riesce a valutare noi 8.000 dirigenti scolastici in servizio come si può pensare di valutare oltre un milione di dipendenti e
diecimila scuole (44.000 plessi con complessità mai mappate)?
 
La politica scolastica dei tempi migliori. Mentre mi è chiara la politica scolastica del (centro) destra, mi è molto più oscura quella del (centro) sinistra che voto. Una volta “sbalzato” il centro destra dal governo del Paese i primi soldi sulla scuola verranno messi dal centro sinistra messi per ripristinare l’organico precedente ai tagli di Tremonti o per dare alle scuole più infrastrutture e più fondi per autonomia, ricerca e sviluppo? Temo che da (centro) sinistra venga la solita risposta: tutte e due le cose. Che vuol dire una sola cosa: posizionarci tra Grecia e Portogallo. Forse le
garanzie sindacali, in contratto nazionale di 400 pagine, “articolesse” ministeriali trasformate in circolari, un centralismo tenace e altro ancora a tutti noto non sono gli elementi più utili per competere ed evitare il declino.

Nota a margine di Pasquale Almirante
Non vogliamo entrare in conflitto polemico col prof. Stefanel, più semplicemente rilevare qualche dimenticanza e qualche contraddizione ma solo perché dice di votare il centro sinistra di cui però non capisce le scelte mentre afferra il senso strategico della politica scolastica della neo destra, perché la vetero  destra era convintamente  e strenuamente statalista in assoluta simbiosi col residuato fascista. Ma andiamo oltre. Se la nostra scuola è la più scalcinata in termini di preparazione rispetto all’Europa come mai sforniamo tanti geni che poi fuggono dal nostro paese? E chi ha stabilito che siamo carenti? I testi Ocse-Pisa? Non vorremmo peccare di saccenteria, ma nel resto del  mondo la valutazione è stata fatta sempre, e dicasi sempre, sui quiz, cosa che, quando frequentavamo scuole estere fin dagli anni 70, ci faceva sorridere pensando ai nostri temi di letteratura  o ai problemi della vasca che perdeva ma che un rubinetto riempiva di tot litri al minuto ecc., o alle disquisizioni dei motivi della discesa di Carlo VII in Italia. Una tradizione, quella dei quiz, che non abbiamo ma che ci è stata imposta e che sta determinando uno strumentale putiferio per giustificare certe scelte. Ma dice pure che se non avessero tagliato saremmo come la Grecia, affermazione che stupisce dal momento che hanno aumentato di alcuni milioni di euro le spese parlamentari coi cosiddetti “responsabili” ed è falso (si veda un editoriale di Stella) che gli stipendi dei nostri parlamentari sono nella media europea. E quanti altri sprechi non sono stati tagliati? Si è salvata l’Italia segando sulla scuola? Un po’ difficile da sostenere. Ma non finisce qui! Perché, suggerisce ancora  il prof. Stefanel, non accettare le scuole private? A nostro parere è per lo stesso identico motivo per cui egli dice che lo Stato non riesce a controllare e valutare  “gli 8.000 dirigenti scolastici in servizio, gli oltre un milione di dipendenti e le diecimila scuole (44.000 plessi con complessità mai mappate).“ Ebbene, meglio mancare di controllare il pubblico che il privato, anche perché la docenza nel pubblico, nel bene e nel male, è garantita da titoli e graduatorie, mentre nel privato dalle amicizie, a parte il fatto che si è sottoposti all’indirizzo ideologico di ciascuna scuola privata e chi sgarra è, legittimamente in questa logica, licenziato. L’Italia è la nazione dei campanili, dei guelfi e dei ghibellini, delle città marinare in lotta fra loro, dei fascisti e dei partigiani, dei comunisti e dei democristiani ed è mancato un Lutero che invogliasse a non delegare le interpretazioni dei dogmi. E alla fine non poteva mancare la solita botta contro il sindacato che potrà pure avere colpe, ma è stato pure grazie a esso che siamo usciti dal medioevo, conquistando diritti straordinari, e che non si può oggi restituire come conservatore, anzi. L’ultima questione è quella di togliere valore legale al titolo di studio. Siamo d’accordo, ma certifichiamo le competenze raggiunte, togliendo pure l’esame di stato così come è oggi concepito; e non solo, non si capisce ancora il motivo per cui il preside debba essere un dirigente-manager e non più semplicemente, come in Germania, un direttore del traffico, col semiesonero, e soprattutto eletto dai colleghi per 4/5 anni come il rettore delle università. Più risparmi, più efficienza e sicuramente più democrazia.







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