Abolire il valore legale della laurea? Mondo economico vs mondo accademico
Data: Venerdì, 08 luglio 2011 ore 12:46:36 CEST Argomento: Rassegna stampa
E se la laurea anche in
Italia perdesse il proprio "valore legale", come negli Stati Uniti? Se,
cioè, smettesse di avere lo stesso valore se conseguita a Catania o a
Milano, assumendo invece un valore diverso in base all'ateneo che la
rilascia? Cosa accadrebbe nel nostro Paese? Dell'abolizione del valore
legale del diploma di laurea si parla in questi giorni in Parlamento,
nell'ambito dell'indagine conoscitiva avviata dal Senato sul tema
"Effetti connessi all'eventuale abolizione del valore legale del
diploma di
laurea".
Il mondo economico considera il valore legale del titolo di studio
ormai superato e spinge perché l'inutile orpello venga abolito quanto
prima. Il mondo accademico, e non solo, è invece contrario e mette in
guardia dalle ripercussioni di una simile scelta. Intanto, in
Parlamento sono diverse le proposte di legge sull'argomento, tutte del
centrodestra. Ma cosa vuol dire abolire il valore legale di un titolo
di studio, laurea o diploma che sia? Perché un titolo di studio deve
avere un valore legale?
A spiegarlo in modo chiaro è lo stesso direttore Education di
Confindustria, Claudio Gentili, ascoltato dalla commissione Cultura del
Senato lo scorso 25 maggio. "Nelle intenzioni del legislatore, il
valore legale del titolo di studio doveva essere un 'marchio di
qualità' concesso dallo Stato alle università", che avrebbero dovuto
"garantire ai cittadini la qualità della formazione universitaria". "I
cittadini - continua Gentili - che si servono di professionisti, le
imprese e il settore pubblico che assumono laureati sarebbero stati
così garantiti sulla qualità delle competenze di quelle persone in base
a curricula certificati".
Ma, sempre secondo Confindustria, "il vero limite del valore legale sta
nel suo uso formalistico che spesso ha ottenuto risultati opposti a
quelli desiderati". "Abrogare il valore legale potrebbe significare -
spiega il presidente della Crui, la conferenza dei rettori italiani -
liberalizzare la formazione universitaria, lasciando che chiunque possa
istituire una 'università' e che il mercato faccia da regolatore del
valore, sostanziale e non formale, dei titoli rilasciati".
Ma non solo. Per accedere alla Pubblica amministrazione o alle
professioni, oggi, è richiesto un determinato titolo accademico o di
istruzione superiore avente valore legale. "Abrogare tale
riconoscimento vorrebbe dire consentire l'accesso ai concorsi pubblici
a chiunque, indipendentemente dagli studi compiuti, o che chiunque
potrebbe sostenere l'esame di abilitazione alle professioni di
avvocato, ingegnere o medico senza essere laureato in giurisprudenza,
ingegneria o medicina".
Ma il neoeletto presidente dei giovani industriali, Jacopo Morelli,
rilancia dalle pagine di un quotidiano: "La prima cosa che chiederemo è
l'abolizione del valore legale del titolo di studio". Raccogliendo il
consenso del sindaco di Firenze, Matteo Renzi, secondo il quale
"bisogna togliere pezzi di casta e pezzi di carta". Ma come si fa a
capire quanto vale in effetti una laurea sprovvista di valore legale?
Occorre "un sistema di accreditamento - spiega Gentili - dei
corsi di studio, svolto da agenzie indipendenti, che assicuri la
verifica del 'valore reale' dei corsi di studio universitari". Una
specie di rating degli atenei.
I sindacati e diverse associazioni di docenti, studenti e ricercatori
universitari - Adu, Andu, Cisal-docenti universitari, Cisl-Università,
Cnru, Cnu, CoNPAss, Flc-Cgil, Link, Rete29Aprile, Snals-Università,
Udu, Ugl-Università, Uilpa-Ur, Usb-Pubblico impiego - considerano "il
mantenimento del valore legale del titolo di studio un dato centrale
del sistema universitario italiano" e temono "che la sua abolizione
possa incrementare le disuguaglianze sociali ed economiche".
Anche gli ordini professionali manifestano forti perplessità. Dopo una
lunghissima disamina della questione, il Consiglio nazionale forense
conclude che in Italia "mancano le fondamentali precondizioni
necessarie a che l'abolizione del valore del titolo di studio
universitario ai fini di abilitazioni e concorsi pubblici possa dare
dei concreti e dimostrabili benefici". E per non rimanere sul vago, il
Consiglio nazionale degli ingegneri ritiene che "stante l'attuale
quadro normativo, l'abolizione del valore legale del titolo di studio,
comporterebbe un indebolimento della già ridotta capacità dell'Ordine
degli ingegneri di garantire la qualità delle prestazioni dei propri
iscritti".
Sulla questione si sono pronunciati di recente anche medici e
odontoiatri. La Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi
e degli odontoiatri "esprime forti dubbi sul venir meno della certezza
dal punto di vista giuridico del titolo conseguito che è la
certificazione comprovante la conclusione di un percorso formativo
compiuto secondo la normativa vigente". Secondo i camici bianchi, il
valore legale della laurea "si rende necessario dall'esigenza
giustificata di tutelare il pubblico interesse".
(da la Repubblica di Salvo Intravaia)
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