Come l'istruzione pubblica uccide la creatività. Perché il pensiero divergente può salvare il mondo
Data: Giovedì, 07 luglio 2011 ore 12:31:03 CEST
Argomento: Opinioni


Questo editoriale parte con una considerazione che per la maggioranza dei lettori risulterà probabilmente molto banale: il mondo contemporaneo è infinitamente complesso; quello del prossimo futuro lo sarà ancora di più. Quanti di noi dicono di rendersi conto di questo aspetto ma poi, allo stesso modo, si rifugiano in semplificazioni addirittura grottesche per analizzare la realtà e confermare le proprie convinzioni? Anche in questo caso, stiamo parlando della maggior parte delle persone.
 Dire che la società contemporanea è complessa e va analizzata con lucidità e grande apertura mentale è un po' come sostenere che "studiare è importante": tutti sottoscrivono automaticamente (e più o meno ipocritamente) l'osservazione ma in pochissimi si rendono conto fino in fondo della reale portata del concetto.
Ebbene: in un mondo in cui l'imprevedibilità ed il cambiamento si fondono spesso con precarietà cronica e forti squilibri socio-economici, diventa ancora più importante essere educati alla creatività ed al pensiero divergente. A tal proposito, prima di proseguire nella lettura del testo, vi invito a guardare con molta attenzione il video allegato. In meno di 10 minuti vi renderete infatti conto di come, il noto docente universitario Ken Robinson, riesca ad illustrare con impressionante efficacia tutte le falle più o meno clamorose dell'istruzione pubblica globalmente intesa.
Finito di vedere il video, potrete iniziare a porvi altri quesiti reputati "banali" ed "inflazionati". Quesiti del tipo: come mai il titolo accademico vale sempre meno ed è sempre più diffuso? Come mai, in zone geografiche come il Mezzogiorno d'Italia, il numero di laureati è considerevole quanto e più di quello dei disoccupati? Come mai, un numero crescente di titolati con triennale + specialistica, si ritrova ad affrontare la frustrazione di un posto di lavoro malpagato, incerto e poco gratificante non solo per il portafogli ma anche per mente e cuore? Insomma: per quale motivo l'equazione un tempo praticamente certa "laurea=buon impiego" non funziona più così bene? Una prima risposta, comunque da integrare e sulla quale dibattere a lungo, può essere la seguente: il sistema didattico standardizzato, salvo alcune eccezioni, non è tendenzialmente in grado di educare gli studenti a leggere, interpretare e vivere con maggiore consapevolezza ed approccio critico una realtà sempre più eterogenea e quindi difficile da sintetizzare. Sempre citando Robinson, il punto non è quindi trovare una riforma adatta al sistema d'istruzione pubblico (nato secoli fa ed ora inadeguato) ma avere capacità e coraggio di lanciare una vera e propria rivoluzione nel modo di concepire l'educazione di massa.
Purtroppo, in questo paese e non solo, la massima "rivoluzione" che politicanti ed accademici inetti e miopi sono riusciti a proporre, è stata quella della mercificazione della cultura universitaria con conseguente aziendalizzazione degli atenei. Questo approccio finto riformista e realmente scellerato ha prodotto e continua a produrre danni enormi; sfornando neolaureati per lo più impreparati quanto erroneamente convinti di aver raggiunto una sorta di empireo intellettuale, capace di garantire gratificazioni professionali e benessere esistenziale. Ma come può un sistema di valutazione che premia le Università (e i docenti) che promuovono il maggior numero di iscritti (a tutti i costi e con ogni agevolazione possibile) e toglie fondi a chi "osa" bocciare e pretendere reale preparazione fornire nuove risorse umane adatte al mondo globalizzato ed iper-competitivo? La società nella quale viviamo si evolve in maniera esponenziale e molto più imprevedibile rispetto a solo 15 o 20 anni fa e noi cosa facciamo? Ci ostiniamo a voler educare le persone al ragionamento per tesi, antitesi e sintesi; non considerando la miriade di contraddizioni fisiologiche che si riscontrano in ogni aspetto dell'umano vivere. Si continua a guardare al bianco o in alternativa al nero, a considerare le consuete due risposte in contrapposizione (spesso farlocca) e ad utilizzare il pregiudizio come forma principale di approccio e di valutazione. Se le giovani generazioni non riusciranno a conservare quell'innata dote che si chiama creatività e a rendersi conto che, nel ventunesimo secolo, vince chi si distingue senza farsi fuorviare dalla superficiale ed apatica alternatività di massa, allora il numero di boriosi insoddisfatti ed inconsapevoli crescerà in maniera inversamente proporzionale rispetto a quello  quello delle persone sul serio libere (ed intelligenti).
 (di Germano Milite http://www.julienews.it/)

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