La scuola all'esame dei risultati
Data: Domenica, 26 giugno 2011 ore 08:14:26 CEST Argomento: Rassegna stampa
Quando un genitore
vede un figlio che sembra ammalato prende il termometro per misurare la
febbre. La temperatura non rende un'immagine fedele e completa dello
stato di salute del bambino, che è il risultato di un'infinità di
elementi complessi, non solo quantitativi ma anche qualitativi. Eppure,
la osserviamo in continuazione per monitorare un paziente nel tempo e
per comparare la situazione di pazienti diversi.
Cose che non sempre potremmo fare sulla base di indicazioni puramente
soggettive e qualitative. Lo stesso vale per i test Invalsi: danno una
misura imperfetta degli apprendimenti, ma confrontabile nel tempo e
nello spazio.
Nessuno pretende che questa misura sia la soluzione di tutti i
problemi. Ma farne a meno sarebbe miope tanto quanto fare a meno del
termometro durante una malattia.
Lunedì scorso i quattordicenni italiani hanno sostenuto le prove
Invalsi di italiano e matematica valide per l'esame di terza media che
consente l'accesso alle superiori. Puntualmente si sono sollevate le
obiezioni di tutti coloro che sono pronti a criticare, ma mai fanno lo
sforzo di offrire soluzioni al problema: come confrontare tra loro
studenti di scuole diverse se vengono valutati con prove non
comparabili e da valutatori che non usano lo stesso "metro" per
giudicare. Se i critici conoscono un metodo migliore e non più costoso
ce la facciano sapere.
Quest'anno il test Invalsi è stato giudicato troppo difficile e troppo
aperto a diverse interpretazioni possibili (per esempio nella parte
riguardante la comprensione di un testo di Vittorini). Può darsi. Da
che ho memoria, tutti gli anni si discute animatamente delle tracce per
i temi di maturità. Nessun testo d'esame è perfetto. Il test Invalsi,
però, ha un grosso pregio rispetto alle prove della maturità: è
corretto in modo uguale per tutti. Strano che di questo importantissimo
vantaggio i critici non si rendano conto. C'è anche l'idea che un esame
debba essere alla portata di tutti. Il test Invalsi sarebbe ingiusto
perché un immigrato non può conoscere parole desuete come "canuto" e
"repentino" o perché non tutti i quattordicenni sono tenuti a sapere
che un numerino piccolo in alto alla fine di una parola indica una nota
a piè di pagina dove si può trovare l'informazione che Diana è la dea
della caccia. È vero: non tutti devono saper rispondere a ogni domanda,
ma se tanti non sanno rispondere (soprattutto a domande ben più
semplici) bisogna intervenire come quando la febbre sale. Nessuno dei
critici sembra capire che un esame per tutti superabile è un esame che
non serve. Non allo studente, che in questo modo non può capire il gap
che lo separa dai migliori. Non alla scuola, che non può capire quali
studenti abbiano maggiore bisogno di aiuto. Non al ministero, per
capire quali siano le scuole in cui intervenire e quali comportamenti
virtuosi siano da incentivare. L'esame ideale è quello che nessun
studente riesce a completare interamente e che per questo riesce a dare
un quadro della dispersione nella classe: il migliore è chi risponde
meglio anche se rispondere meglio non vuol dire rispondere a tutto.
Numerose indagini suggeriscono che molti italiani adulti non sanno
leggere e interpretare testi e non conoscono le operazioni matematiche
elementari. Le prove Invalsi misurano quanto ciò sia vero: non
perfettamente, ma meglio delle altre misure disponibili. Ci possono
aiutare a capire in che modo una scuola è riuscita a migliorare nel
tempo le conoscenze dei suoi alunni indipendentemente dal loro punto di
partenza e dal contesto sociale e familiare. Potrebbero perfino servire
ai detrattori dell'attuale ministro per misurare gli effetti dei suoi
tagli, dato che, secondo alcuni docenti, proprio per colpa di questi
tagli non è stato possibile coprire il programma oggetto di alcune
domande del test Invalsi.
Una ricerca che sto attualmente conducendo con dati relativi al
2009-2010 mostra che gli studenti italiani di quinta elementare
rispondono correttamente al 71% delle domande di italiano e al 65% di
quelle di matematica (per gli immigrati, le risposte corrette sono
rispettivamente il 61% e il 58%). Se nel test Invalsi di terza media,
che la stessa coorte di studenti sosterrà fra due anni, troveremo che
questi gap si saranno ridotti, potremo concludere, come tutti
auspichiamo, che la scuola italiana sia in grado di favorire
l'integrazione degli stranieri. Se i gap saranno aumentati, il
termometro ci dirà che qualcosa non va e che è necessario intervenire.
Certamente i test Invalsi non possono misurare le infinite dimensioni e
sfumature di quello che un insegnante può offrire ai suoi alunni, ma,
come il termometro, possono segnalare dove e quando le cose forse non
vanno come dovrebbero e quali ulteriori indagini diagnostiche ed
eventuali interventi terapeutici potrebbero essere necessari.(di Andrea
Ichino da IlSole24Ore)
redazione@aetnanet.org
|
|