Passato e futuro: la cultura come atto unitario e strumento per capire il mondo
Data: Domenica, 19 giugno 2011 ore 07:04:45 CEST
Argomento: Rassegna stampa


Si sente dire spesso “abbiamo rubato il futuro ai giovani”. Probabilmente è vero, ma non si tratta di occupazione e pensione! Mi chiedo se noi adulti, abbarbicati alla nostra voglia di adolescenza, non depriviamo i giovani delle memorie trasmesse nell’affetto e nella quotidianità, che costituiscono la base indispensabile per la progettazione del futuro; uno scippo, questo, estremamente più grave!
Gli adulti hanno abdicato al loro ruolo: il mito della perenne giovinezza, il rifiuto del decadimento fisico, l’insoddisfazione per ciò che si è conquistato, l’ossessione dell’avere e così via, hanno spezzato il rapporto tra le generazioni.
In questa ottica l’inserimento ope legis della cultura siciliana nell’azione formativa mi preoccupa. Si tratta dell’inserimento di un ennesima “educazione”, in aggiunta a quelle proposte negli ultimi vent’anni? Ma l’educazione non può che essere atto unitario, non è frammentabile in mille rivoli, pena il suo fallimento, di cui abbiamo infinite prove.
Certo oggi la scuola, dinanzi a troppi e troppo veloci cambiamenti, che agiscono in modo determinante sui rapporti umani e sociali, deve uscire dagli schemi consolidati di una cultura condivisa, quella del passato, per individuare nuovi percorsi, che garantiscano ai giovani l’acquisizione di strumenti utili per la decodificazione del mondo, insieme sempre più piccolo e sempre più vasto.
La scuola, per definizione, è il luogo in cui gli adulti fanno crescere i giovani, non per un rapporto emotivo - affettivo, ma per un fatto istituzionale. Ma quale rapporto può stabilire con persone che non sono attrezzate a parlare col diverso da sé, che sono ghettizzate in un mondo di pari? Quale percorso attraverso la storia (anche su questo è incentrata la scuola) possono seguire i ragazzi che non hanno più un rapporto con ciò che era, ma vedono solo ciò che è? Dove sono i nonni che raccontano se stessi e il loro mondo? A teatro, in crociera o… all’ospizio. I genitori, occupati e preoccupati del loro presente, impegnati, nella migliore delle ipotesi, ad accompagnare dappertutto i loro figli (inglese, attività ginnica, discoteca e pizzeria), quale tempo dedicano a costruire una struttura normativa chiara e coerente?
Quali gli spazi di riflessione, che consentano di trasformare la tempesta di informazioni in acquisizioni reali? Tutto viene consumato nello spazio di un mattino.
E allora?
La scuola dovrebbe fare azione di supplenza: i docenti dovrebbero diventare adulti riconosciuti e aiutare i giovani a vivere positivamente il rapporto con il diverso da sé, a fermarsi a pensare, a riorganizzare il proprio sapere. E invece, nel migliore dei casi, il docente cerca di usare i loro strumenti, di uniformarsi. Internet è strumento prezioso, ma, mentre dieci anni fa aveva senso utilizzarlo a scuola, oggi forse sarebbe opportuno spegnerlo per potenziare i momenti di riflessione e di riorganizzazione nei nativi tecnologici.
E qui si inserisce anche la conoscenza della cultura siciliana, che entra, con naturalezza e non per legge, nella ricostruzione del passato di ciascuno di noi, per diventare strumento per la conoscenza del diverso, del lontano nel tempo e nello spazio.
Quanti di noi, andando in un paese lontano, non ne hanno scoperto la cultura più a tavola che in un museo? Ovvero, vivendo altrove, hanno “letto” le proprie abitudini e i propri gesti con maggiore consapevolezza? E allora chi fa scuola deve inventare, in senso etimologico, tutte le opportunità, e sono tante, che consentano ai giovani di comprendersi e comprendere; la cultura non si costruisce per sommatoria!
Temo, invece, che, dopo aver prodotto la legge (forse la regione siciliana ha già risolto tutti gli altri problemi!), qualcuno si spingerà a individuare l’ambito in cui inserire lo studio della cultura siciliana ovvero, dio ci scampi, a chiedere al collegio dei docenti di nominare un referente! Ancora una volta, se questo accadrà, la scuola affogherà nel localismo provinciale, mancherà l’obbiettivo e si rifugerà nello “scolastichese” più bieco e nei rituali burocratici.

Bianca Boemi
biboemi@tin.it






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