Ultimo giorno di scuola
Data: Venerdì, 17 giugno 2011 ore 20:10:03 CEST
Argomento: Redazione


Tra le altre cose, la mia scuola produce vino. Sulla prima collina, appena fuori città. Un posto incantevole. Ma per gli studenti resta sempre una scuola e come tale è inevitabile che se ne attenda la fine. Uno dei vini migliori che la scuola produce è dolce e rotondo, intenso e vivace al tempo stesso. E il suo nome traduce tutta l'atmosfera che gli studenti vivono a conclusione di un anno: "Ultimo giorno di scuola". Il grande Lucio fotografa quell'attimo in un verso di una sua canzone: "All'uscita di scuola i ragazzi vendevano i libri". Da qualche anno ho preso l'abitudine di "rubare" un'ora al programma e di concedermi di salutare per bene i miei ragazzi che finiscono la classe quinta. Ci siamo incontrati per 5 anni, alcuni anche 6 o 7, per più di 150 ore siamo stati insieme a ci siamo contagiati inevitabilmente l'uno con l'altro. Ci siamo confrontati, ascoltati, a volte accapigliati, ogni tanto sopportati. Ci siamo anche odiati certo, ma credo davvero che molte più volte ci siamo amati, accettandoci così come siamo. E questo ci ha fatto cambiare. Ci ha fatto crescere. Loro sicuramente, ma anche io. E ora che le nostre strade si dividono, come ogni vero addio, sentiamo nostalgia e ci auguriamo di poterci ritrovare più avanti, per ridirci che quello che è successo in questi 5 anni ha lasciato un segno, ha portato frutto. Già l'anno scorso, ma soprattutto quest'anno, ho sentito che qualcosa però sta cambiando nella emozione che essi vivono quando ci si saluta. L'intensità, la dolcezza e la vivacità di quel vino si mischia a qualcos'altro, che non è facile definire. "Dopo 13 anni mi alzerò e non avrò cose organizzate da fare. Non so prof., ma un po' mi spaventa finire la scuola". "Se si potesse farei anche la sesta, perché davvero non so cosa fare adesso". "Bèh io un'idea ce l'ho, ma non credo proprio che ce la farò, sarà dura e non so se ho voglia di fare tutta sta fatica, magari è meglio prendere quello che arriva senza farsi troppe menate in testa". Qualche anno fa, all'«iper» in un giorno sudaticcio di luglio. Una marea umana al rito religioso settimanale, come ogni sabato pomeriggio. Non ero sicuro di averlo intravisto bene e di scatto sono tornato con lo sguardo a cercarlo. Incredibilmente lui! Un mio studente diplomato tre mesi prima nella mia scuola con un buon voto, come tecnico grafico pubblicitario. Se ne stava lì nell'angolo dell'ingresso seduto per terra con tutto l'armamentario tipico del "punkkabbestia", cane compreso. Il suo socio allungava la mano per chiedere qualche spicciolo. E lui scherzava con l'ammasso di pulci. "Sto qui per qualche mese a godermi lo spettacolo, prof!". Se ne era uscito con una frase che era un programma. "Poi comunque penso che lavorerò da un mio amico che fa tatù, ma per ora mi rilasso!"Cosa sta succedendo a questa generazione? Cercano strade praticabili che gli consentano di salvarsi, di non consumarsi troppo? Scovano strategie di sopravvivenza, per noi impensabili, per salvare la loro voglia di vivere in un mondo che vorrebbe impacchettarla e servirla già precotta? O semplicemente ci vengono a ricordare che qualcosa non va nel modo di vivere che gli stiamo offrendo? Loro sanno perfettamente che la vita li spinge a cercare un senso a ciò che sono e vogliono essere. Lo sentono nella pelle. Quel vino ha davvero corpo, energia, fantasia. Ma se immaginano di "stappare" la bottiglia è come se sapessero già tutto in anticipo prima di poterlo sperimentare. E allora la loro freschezza, la loro novità, la loro fantasia vengono messe in freezer, per non sciuparle. Di sicuro quello che sentono è qualcosa che sta a mezzo tra lo spaesamento, la rinuncia preventiva e la paura del tempo vuoto. Certo non sono tutti così. Ma anche quelli che hanno una prospettiva definita, la vivono con una sorta di "scelta dovuta". "Penso che farò l'università, trovare da lavorare non è mica facile oggi". "Beh io andrò a lavorare nella ditta di mio padre perché l'alternativa che mi danno i miei sarebbe solo quella di continuare a studiare e non ne ho proprio voglia". Nella speranza che tra qualche anno qualcosa sia accaduto e abbia aperto un senso più personale. Come dire: io ho voglia di vivere e di diventare grande, ma non so davvero che forma dare a questa voglia e così, per ora, mi adatto a ciò che di meno peggio trovo in giro. Per loro, già a 19 anni, la realtà e i desideri viaggiano su due binari paralleli che non si incontrano. Poi certo, lo so, in qualche modo una strada la infileranno, ma mostrano di sapere già che sarà un surrogato, o presa a prestito, o uguale a quella di altri milioni come loro.Però verso la fine dell'ora Antonio oggi mi ha detto: "Non so davvero cosa farò, però so che io non ho voglia di vivere semplicemente quello che i miei hanno già vissuto. Credo che Dio sarebbe contento se io cercassi di fare qualcosa di nuovo, anche solo in una piccolissima cosa, ma qualcosa di nuovo".
di Gilberto Borghi |VinoNuovo






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