Gli ATA hanno diritto alla carriera. La Corte dei diritti dell'uomo condanna l'Italia per lo stop inferto con la Finanziaria 2006
Data: Martedì, 14 giugno 2011 ore 10:30:00 CEST Argomento: Giurisprudenza
Precludere agli
Ata ex enti locali il diritto alla ricostruzione di carriera viola la
Convenzione europea per i diritti dell'uomo e il Protocollo n. 1. Cosi
ha deciso la Corte europea dei diritti dell'uomo che ha condannato
l'Italia con una sentenza depositata il 7 giugno scorso (reperibile in
lingua originale sul sito:
http://cmiskp.echr.coe.int/tkp197/view.asp?item=27&portal=hbkm&action=html&highlight=&sessionid=72004827&skin=hudoc-en).
(da ItaliaOggi di Carlo Forte)
La Corte di Strasburgo ha censurato una norma contenuta nella
Finanziaria del 2006, con la quale il governo aveva sbarrato il passo
ai giudici. Che all'epoca dei fatti condannavano sistematicamente
l'amministrazione a pagare le ricostruzioni di carriera degli Ata
passati dagli enti locali allo stato. La sentenza potrebbe riaprire il
contenzioso in Italia.
Il fatto
Il caso riguardava un gruppo di lavoratori appartenenti al personale
Ata (amministrativi, tecnici e ausiliari) transitati dagli enti locali
allo stato, per effetto di un'apposita previsione contenuta nella legge
124/99. A seguito dell'inquadramento nell'amministrazione statali,
però, a questi lavoratori era stato negato il riconoscimento
dell'anzianità di servizio ai fini retribuitivi. L'inquadramento,
infatti era avvenuto con il cosiddetto meccanismo della
temporizzazione. In buona sostanza, dunque, ai lavoratori era stata
riconosciuta la classe stipendiale coincidente con l'importo della
retribuzione in godimento all'atto del transito dagli enti locali e non
la ricostruzione di carriera. E siccome il trattamento contrattuale
presso gli enti locali faceva riferimento ad importi inferiori, i
ricorrenti, pur avendo svolto le stesse mansioni dei loro colleghi
inquadrati come dipendenti dello stato fin dall'atto dell'assunzione,
si erano trovati nella condizione di essere pagati di meno. Tale
trattamento deteriore aveva indotto i dipendenti a rivolgersi al
giudice ottenendo in I e II grado il riconoscimento pieno del diritto a
far valere l'anzianità di servizio al pari degli altri colleghi già
dipendenti dello stato. Il ministero, però, aveva impugnato anche la
sentenza d'appello e la Cassazione dopo circa 3 anni, aveva capovolto
la situazione, disponendo anche la restituzione degli emolumenti
retributivi già versati ai lavoratori per effetto delle sentenze di
merito. La sentenza della cassazione, peraltro, era intervenuta dopo
che il legislatore, con una norma di interpretazione autentica (art. 1,
c. 218 legge 266/2005) aveva disposto che agli Ata provenienti dagli
enti locali non dovesse essere riconosciuto il periodo di servizio
pregresso, ma solo la retribuzione in godimento all'atto del passaggio.
In altre parole, la norma di interpretazione autentica aveva disposto
la preclusione del diritto alla ricostruzione di carriera, in favore
del mero riconoscimento della retribuzione in godimento secondo il
meccanismo della cosiddetta temporizzazione. Di qui il ricorso alla
Corte europea dei diritti dell'uomo e la pronuncia favorevole ai
ricorrenti.
Violata il Protocollo
La Corte sovranazionale ha accertato in particolare due violazioni. La
prima riguarda l'art. 6 della Convenzione, perché il governo, con
l'art. 1, comma 218, della legge 266/2005, secondo i giudici, ha
violato il principio del giusto processo. Ciò in quanto, attraverso un
intervento legislativo ad hoc, ha capovolto le sorti di un contenzioso
sfavorevole allo stato, pur in presenza di un orientamento ormai
consolidato. E soprattutto in assenza di motivi di interesse generale.
Presupposto, questo, che costituisce l'unica eccezione ammissibile alla
regola del divieto di interferenza con l'amministrazione della
giustizia. E in più secondo i giudici europei, il governo ha anche
violato il Protocollo n. 1 , perché ha privato alcuni cittadini di loro
diritti patrimoniali già acquisiti. Insomma, secondo il supremo
collegio europeo, il governo ha sbagliato.
Il no della Consulta
E quindi, di rimbalzo, avrebbe sbagliato anche la Corte costituzionale,
che nel 2009, con la sentenza 311, aveva conferito alla norma censurata
da Strasburgo il crisma di costituzionalità. Il tutto nonostante la
Corte di cassazione, facendo riferimento all'art. 117 della
Costituzione, avesse avanzato dubbi proprio in riferimento alla
compatibilità con gli obblighi internazionali riguardanti il rispetto
dei diritti umani previsti dalla Convenzione.
Gli effetti
Resta il fatto, però , che siccome l'art.46 della Convenzione dispone
appunto che le sentenze della Corte di Strasburgo assumano carattere
obbligatorio per gli stati, il mutato quadro giurisprudenziale potrebbe
ingenerare una riapertura del contenzioso in questa materia.
redazione@aetnanet.org
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