Il cavallo di Troia e i dogmi dell'on. Aprea: tirocinio e chiamata diretta dalle scuole.
Data: Sabato, 11 giugno 2011 ore 15:41:40 CEST Argomento: Redazione
Ci sono due
dogmi che i rappresentati più autorevoli in materia di scuola di questo
Governo cercano di far passare ad ogni costo e in qualunque occasione: il tirocinio formativo attivo, come
elemento principe per sapere insegnare, e l'arbitrarietà alle scuole di
scegliersi il docente, capovolgendo l'attuale procedura. Sul
primo dogma nessuno finora ha dimostrato la sua validità scientifica,
anzi, a parere di esperti pedagogisti, è una emerita sciocchezza
tant'è che la nostra scuola, quando era (ma forse lo è ancora) la prima
al mondo non ha mai adottato simili strategie tirocinanti.
A selezionare in modo severo erano le Università e i concorsi e
con ogni probabilità bisognerebbe ripercorrere quelle strade per
risollevare la nostra istruzione, anche perchè il tirocinio non potrà
mai formare, né aiutare, né invogliare a formare un docente bravo,
competente e serio. Il professore è bravo quando sa la sua materia e se
la conosce bene altrettanto bene riesce a insegnarla, non per niente
Cicerone diceva che sapendo l'argomento le parole vengono di
conseguenza. Il docente sacerdote e
guerriero si forma in trincea e il tirocinio anche di 300 ore con un
tutor non aggiunge nulla ma neanche toglie, pareggia semplicemente.
L'altro dogma, esplicitato da un intervento della onorevole
Valentina Aprea su Il Sussidiario, si inerpica sul concetto che non essendo tutti i
docenti “adatti allo specifico progetto della scuola, né sono
intercambiabili le storie professionali e i percorsi che portano alle
competenze personali o, più precisamente, alle persone competenti”,
sarebbe opportuno che sia la scuola a scegliersi il professore,
attingendo da un albo professionale, e non il professore la scuola come
è avvenuto finora. E detta così potrebbe pure apparire una
proposta interessante, un bel dogma su cui, in modo fideistico, puntare
per rivoluzionare la scuola e migliorare le performance dei nostri
alunni. Ma solo in modo fideistico
perchè nello stesso momento in cui è la scuola a scegliersi il
professore, cadrebbe immancabilmente il pilone principale della
istruzione pubblica italiana, che è appunto la libertà di insegnamento.
Ma cadrebbe pure l'indipendenza del
docente nei confronti del dirigente e della istituzione scuola, la
libertà di opinione coi colleghi e pure la possibilità di critica e di
opposizione. E di più. Ogni scuola pubblica, implementando un
proprio progetto culturale, così come afferma l'Aprea, al quale il
nominato professore deve adattarsi, adeguando la sua formazione e la
sua visione del mondo, all'atto della nomina e negli anni a venire, si
trasformerebbe in una sorta di scuola privata, ma come una
sua brutta copia perchè sarebbe ipocrita in quanto negherebbe ciò
che il privato apertamente afferma e cioè la sua particolare matrice
informativa e formativa. In altre parole una presidenza con un suo
progetto educativo basato sul materialismo storico, e quindi sulla
interpretazione marxista della realtà, mai chiamerebbe a insegnare un
professore dichiaratamente idealista o di formazione cattolica. La
pluralità culturale e ideologica (ideale) che ha fatto grande la nostra
scuola pubblica, perirebbe sotto i colpi di una dirigenza, anche una
sola, ottusa e miserabile, ma col crisma e l'imprimatur del
pubblico e dello Stato laico. E non solo. Il dirigente diverrebbe una sorta di
imprenditore, un datore di lavoro o un padrone al quale bisogna
presentarsi col cappello in mano per lavorare, visto che nulla toglie
che le sue nomine potrebbero essere dettate, non già dalla competenza
ma dalla convenienza, esattamente come avviene nel privato. Per
essere ancora più concreti: il dogma
espresso dalla onorevole Aprea ha tutta le sembianze del cavallo di
Troia, allettante ma costruito per evitare di espugnare la
cittadella della scuola pubblica con le armi del dibattito leale:
il problema sta ora nel decidere se accogliere il suo ingresso con
giubilo, come un dogma di fede, o se è il caso di abbattere del tutto
le ormai fragili mura della nostra istruzione pubblica o se cercare di
resistere esaminando bene dove sta il trucco.
Pasquale
Almirante
p.almirante@aetnanet.org
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