UniTag: salvare la scuola in 2 mosse
Data: Martedì, 07 giugno 2011 ore 07:19:27 CEST Argomento: Rassegna stampa
Lasciate ogni computer
voi che entrate. Certo, Dante la metteva diversamente ma per un ragazzo
cresciuto a internet e twitter, facebook e videogiochi l'inferno, oggi,
è un ambiente senza tecnologie digitali. Come la scuola. A dirlo è Marc
Prensky, autore di una serie di videogiochi educativi e guru di quel
campo, affascinante quanto impronunciabile, chiamato edutainment, dove
educazione e divertimento diventano la stessa
cosa.
«Le scuole di oggi stanno fornendo un pessimo servizio ai nostri
ragazzi: che senso ha fornire l’educazione di ieri ai cittadini di
domani? È una scuola che viene dal passato e che non è in grado di
preparare il futuro. La pedagogia del “prima spiego, poi verifico” non
funziona più: molti dei ragazzi di oggi non ascoltano a sufficienza e i
risultati sono scadenti. Come non bastasse, i ragazzi a scuola non sono
trattati come individui, le loro conoscenze (sono bravissimi come le
nuove tecnologie o i giochi elettronici) non vengono rispettate. Ed è
un errore perché potrebbero diventare il modo per imparare a creare e a
risolvere problemi anche complessi. Le passioni individuali sono la
chiave della nuova educazione, invece oggi non contano praticamente
nulla. Fino a che non cambieremo tutto questo, fino a che non rivedremo
la nostra pedagogia di base, gli strumenti digitali e l'innovazione
tecnologica non saranno di grande aiuto all’educazione, tanto meno a
scuola».
Il suo ultimo libro, «Teaching to digital natives», è dedicato agli
insegnanti che si trovano davanti ragazzi nati e cresciuti in un mondo
dominato dalla cultura e dalle tecnologie digitali. Come si insegna ai
nativi digitali?
«Gli insegnanti devono rivolgersi agli studenti in modo nuovo. Il
vecchio approccio tipo “io parlo, tu ascolti” deve essere sostituito da
una pedagogia dove gli studenti possano fare quello che riesce loro
meglio: trovare contenuti, usare nuove tecnologie, esprimere la loro
creatività. Anche gli insegnanti devono fare le cose per cui sono più
portati: fare le domande giuste, porre i problemi appropriati,
assicurare il rigore e la qualità e mettere ogni cosa, ogni argomento,
ogni espressione all'interno del giusto contesto. Dobbiamo mettere le
passioni individuali degli studenti davanti a tutto e capire come
sfruttare quelle passioni ai fini dell’insegnamento. Mettiamola così:
grazie ai nuovi strumenti e alle loro passioni, gli studenti possono
insegnare a loro stessi».
Scusi, ma gli insegnanti?
«Diventano i loro allenatori, le loro guide, i loro partner. Si mettono
al loro fianco ad aiutarli anziché in alto a comandarli».
Abbiamo bisogno di “insegnanti digitali”?
«Sarebbe di grande aiuto se gli insegnanti, quelli in carne ed ossa
intendo, capissero e rispettassero quello che gli strumenti digitali
possono portare all'educazione. Per farlo, gli insegnanti non devono
necessariamente imparare a usare loro stessi quegli strumenti (a meno
che non lo vogliano): ci sono già gli studenti che possono farlo, anzi
lo vogliono fare. Gli insegnanti possono, quando è il caso, utilizzare
gli strumenti digitali per spiegare qualcosa agli studenti ma non
devono - mai, in nessun caso - usare gli strumenti elettronici (lavagne
elettroniche, computer o qualunque altra cosa) al posto degli studenti:
sono gli studenti che li devono usare con gli insegnanti che li aiutano
e che controllano la qualità del lavoro e dei risultati.
C’è poi un’altra categoria di insegnanti digitali, poco umana ma molto
efficace: si tratta di software, video, giochi elettronici che agiscono
come aiuto nel processo di insegnamento/apprendimento. Questo,
ovviamente, sta già accadendo (guardate il sito www.khanacademy.org per
avere un'idea) e diventerà assai sofisticato nei prossimi decenni. Uno
dei principali benefici è che lo studente può ripercorrere
l'insegnamento secondo i propri tempi e con il proprio passo, tante
volte quante gli pare, e possono imparare nel modo che è loro più
conveniente. Questo potrebbe avere una ricaduta molto positiva per le
scuole, poiché consente all'insegnante di interpretare al meglio il
nuovo, importantissimo ruolo di allenatore, guida, partner, lasciando
agli “insegnanti elettronici” la parte dell'insegnamento più
tradizionale».
Quali sono i vantaggi di una scuola completamente digitale? E le
controindicazioni, come direbbero i medici?
«La tecnologia digitale comporta enormi vantaggi per l'educazione,
compreso il fatto di connettersi col resto del mondo, condividere i
problemi e le soluzioni, ricevere risposte... Ma la tecnologia digitale
non è, di per sé, la soluzione ai problemi dell'educazione. Per
capirci, aggiungere le nuove tecnologie alla vecchia pedagogia dello
“spiego e verifico” potrebbe addirittura danneggiare il processo
educativo, aumentando la distrazione e riducendo l'ascolto, senza
portare alcun vantaggio da quei nuovi, potentissimi strumenti. La
condizione indispensabile, irrinunciabile per introdurre le nuove
tecnologie è cambiare la pedagogia classica dell'insegnamento verticale
in una forma di affiancamento orizzontale. Come detto, l'insegnante
deve diventare un partner dello studente: non ti insegno ma ti aiuto.
Fino a mezzo secolo fa quello che si imparava a scuola durava una vita,
oggi le conoscenze hanno vita breve, rimpiazzati da nuove idee, nuove
concetti, nuovi saperi. Che senso ha parlare di un periodo scolastico
se l'educazione tenderà a essere permanente?
«L’esplosione di informazioni e il loro rapido cambiare è la conferma
che imparare “cose” o “informazioni” è molto meno importante
dell'apprendere alcune capacità. Per questo è importante proteggere e
stimolare le passioni individuali dei ragazzi, perché sono quelle che
ti permettono di sviluppare al meglio quelle capacità. La passione,
quella individuale, qualunque essa sia, è il motore che spinge
all'apprendimento e al successo».
Come possono aiutarci in tutto questo le nuove tecnologie?
«Le nuove tecnologie sono cruciali ma sono gli strumenti, non la
soluzione. A questo proposito, uso la metafora dei verbi e dei nomi. I
verbi sono le “capacità” che vogliamo che i nostri studenti apprendano
e conoscano, come il pensiero critico, l'analisi, il problem solving.
Queste capacità non cambiano col passare del tempo, sono le costanti
dell'educazione. I nomi sono invece gli “strumenti” che sono sempre più
tecnologici e che cambiano sempre più rapidamente. Il trucco per gli
educatori è di usare i nomi più aggiornati per ciascun verbo. Ad
esempio, per il verbo “comunicare” il nome preferito era un tempo
“scritto a mano”, poi si è trasformato in “email” fino a diventare oggi
“twittare”. E non c'è dubbio che i nomi (strumenti) cambieranno ancora,
mentre il verbo “comunicare” durerà nel tempo».
Le scuole non dovrebbero insegnare agli studenti come usare le nuove
tecnologie per raccogliere informazioni sempre aggiornate?
«Utilizzando la stessa metafora, il verbo in questo caso sarebbe
“raccogliere e aggiornare le informazioni”. Come nome gli antichi
studenti egizi usavano i rotoli di papiro. Le generazioni del secolo
scorso usavano i libri e le bibloteche. I bambini di oggi e di domani
usano i computer. Sono gli strumenti del loro tempo».
Vede un mondo in cui insegnare sarà fatto tutto al computer?
«Anche se già oggi il web contiene tutte le informazioni di cui uno
abbia bisogno, usare solo Internet non è un modo particolarmente
attraente o invitante di imparare. Questo sicuramente cambierà – in
realtà sta già cambiando – anche se non sappiamo come. Sappiamo che
sarà diverso, questo sì. Lo scrittore di fantascienza Vernor Vinge
immagina nel suo romanzo Rainbows End che tutta l'informazione
necessaria per qualunque nuovo lavoro possa essere caricata
direttamente nel cervello. Il guaio è che dopo alcuni di questi pesanti
trasferimenti di dati, la mente si rompe. Credo che “l'interazione di
persone con altre persone” rimarrà, in un modo o l'altro, un modo
attraente per imparare, ma questo apprendimento uomo-uomo sarà sempre
più mediato dalla tecnologia e sempre meno dal contatto fisico faccia a
faccia».
Cinquant’anni fa la conoscenza era un processo lineare (vai a scuola,
apri un libro, ascolti una conferenza) oggi è frammentata: pezzi di
informazione qui e là. Chi ti insegna a ricomporre questi frammenti?
«La conoscenza è sempre frammentata, fino a che le persone non mettono
assieme i vari pezzi. Una differenza col passato è che prima ci
volevano degli “esperti” per fare questa ricomposizione, ora con i
moderni strumenti è più semplice per i singoli individui fare questo in
modo nuovo. Wikipedia è un grande esempio.
Dal punto di vista teorico, i nuovi strumenti possono essere appresi in
contesti formali, come le scuole. Ma data la velocità del cambiamento è
più facile che accada, io credo, attraverso media come YouTube...».
Qual è la scuola ideale (o la più efficiente) che ha in mente?
«La scuola dovrebbe essere un posto dove la gente riesce a dar seguito
e a far crescere le proprie passioni – qualunque queste siano – e
trovano la possibilità, facendo questo, di imparare quanto più
possibile. Oggi Internet è il deposito della maggior parte
dell'informazione e della conoscenza del mondo. Ma, di nuovo, Internet
è solo uno strumento, un nome. Verrà sicuramente rimpiazzato, prima o
poi, da un nome migliore».
Non rischia di essere pericoloso un mondo dove la conoscenza è web
based quando non tutti possono ancora accedere a internet?
«È pericoloso avere educazione o elettricità o assistenza sanitaria
quando non tutti possono accedervi in modo eguale? No, naturalmente.
Dobbiamo semplicemente lavorare più duramente per dare un accesso a
tutti. Credo che tutti, e gli educatori in particolare, debbano fare il
possibile per diventare “moltiplicatori digitali”, ad esempio
dovrebbero fare la loro parte per portare i benefici della tecnologia
digitale, compreso l'accesso, a gruppi sempre più ampi, fino a
incrociare tutti. E dovrebbero fare lo stesso per la salute, il cibo,
l'educazione e altre tecnologie».
A cosa sta lavorando adesso?
«Di recente ho sviluppato dei videogiochi per apprendere le regole di
base della finanza: sono rivolti agli studenti che hanno finito il
liceo e stanno per entrare nell'università. Ne ho finito un altro che
aiuta i ragazzi tra i 13 e 15 anni a prevenire e superare la
depressione e che è stato giudicato utilissimo dai ricercatori che
trattano di questo argomento. Al momento sto lavorando su un gioco che
insegna grammatica: i giocatori devono aggiungere la punteggiatura ai
discorsi di famosi personaggi mentre il testo scorre sul gobbo, ma ne
ho altri tre per imparare l'algebra, la storia e la scienza. Se
svilupati bene, con sufficiente respiro e completezza, i giochi
elettronici possano diventare strumenti utili, dei nomi appunto, per
insegnare ai nativi digitali». (di Luca Landò da L'Unità )
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