La Germania, l'Europa e l'addio all'atomo
Data: Domenica, 05 giugno 2011 ore 11:30:00 CEST Argomento: Rassegna stampa
“Atomausstieg”,
abbandono del nucleare: una parola, un sogno, uno slogan politico che
oggi, dopo 42 anni dall’apertura del primo reattore atomico per uso
commerciale sul territorio tedesco, pone una data definitiva, il 2022,
per la chiusura del programma nucleare in Germania. A dare l’annuncio,
lunedì scorso, dopo una notturna riunione tra i partiti di maggioranza,
il ministro dell’ambiente Norbert
Röttgen.
Il futuro dei 17 reattori attivi sul territorio è, come ha scandito il
segretario dell’Unione Cristiano Sociale (CSU) Horst Seehofer,
“ir-re-ver-si-bi-le”: chiusura immediata degli otto impianti più
vecchi, scadenza al 31 dicembre 2021 per altri sei reattori e data
finale di uscita dal programma nucleare fissata al 31 dicembre 2022 con
la chiusura delle tre centrali Isar 2, Emsland e Neckarswestheim 2.
Una decisione, in realtà, che ripristina i limiti imposti dalla legge
sul nucleare del 2002, approvata dall’allora governo SPD-Verdi e
soppiantata non più di otto mesi fa da un decreto dell’attuale governo
Merkel che prolungava l’attività nucleare per altri 14 anni. Poi
Fukushima e le successive sconfitte elettorali in Baden-Württemberg e
Brema hanno imposto un drammatico dietrofront alla maggioranza. Oggi la
Germania è la prima potenza industriale non solo che rinuncia in
maniera definitiva all’uso del nucleare, ma che cancella l’aggettivo
dal programma di tutti i partiti presenti nel Bundestag, di qualsiasi
colore e posizione politica essi siano.
Ma, nonostante ciò, le polemiche non mancano.
Il mercato nucleare tedesco è attualmente dominato principalmente da
tre colossi: E.ON, che detiene 6 dei 17 impianti attivi – più
partecipazioni azionarie in altri quattro -, RWE, che possiede 6
reattori, ed EnBW, l’azienda pubblica del Baden Württemberg che
gestisce i 4 impianti localizzati sul proprio territorio. L’impianto di
Brunsbüttel, invece, è di proprietà per il 67 % della società svedese
Vattenfall e per il 33% di E.On
Secondo Wolfgang Pfaffenberger della Jacobs University di Brema, gli
otto reattori nucleari in chiusura forniscono attualmente guadagni per
oltre 1,5 miliardi di euro e vendite per circa tre miliardi di euro
l’anno. La totalità dei 17 impianti in funzione creerebbe circa quattro
milardi di euro di profitto annuo, per un giro d’affari di 7,5
miliardi. Il solo gruppo E.ON, secondo una valutazione interna, avrà,
come conseguenza della chiusura immediata di tre degli impianti attivi,
una perdita sull’utile di circa il 30%.
Ad aggravare la situazione, l’imposta fiscale che dal gennaio 2011
impone il pagamento di 2,3 miliardi annui sul combustibile nucleare per
la produzione commerciale di energia.
Gli analisti della Landesbank Baden-Württemberg valutano, nel
complesso, una perdita di valore per E.On e RWE di circa il 6% e l’11%,
con conseguente esposizione dei due giganti energetici alle mire
espansionistiche dei rivali stranieri EFD e Gazprom.
Se le prospettive future per le due aziende appaiono tutt’altro che
rosee, meglio non va per le municipalità dove hanno sede gli impianti.
“Ci aspettiamo un deficit annuo di circa tre milioni di euro” ha
spiegato il tesoriere di Neckarwestheim, nel Baden-Wuerttemberg. “EnBW
– la compagnia che controlla l’impianto locale - è il più grande
contribuente della zona.”
A Phillipsburg il sindaco Martus (CDU) è rimasto anch’egli perplesso:
“Grazie alle tasse pagate dal gestore dell'impianto EnBW la nostra
piccola cittadina di 12.600 abitanti si è potuta permettere un
ginnasio, una scuola secondaria e una scuola speciale.” Secondo il
sindaco, Phillipsburg dovrebbe comunque rimanere in futuro un centro
d’infrastrutture energetiche, in virtù dell’impianto solare costruito a
ridosso della cittadina e inaugurato quest’anno – con 87.500 metri
quadrati di pannelli, il più grande impianto solare sul territorio
tedesco -.
Hildegard Cornelius-Gaus è il sindaco di Biblis in Assia, dove sono
localizzati due reattori RWE. Mercoledì scorso, in una conferenza
stampa, ha ricordato lo scompenso fiscale dovuto alla chiusura degli
impianti: “L’impianto nucleare comporta più del 50 per cento delle
nostre entrate fiscali.” La centrale locale, di proprietà RWE, dà
lavoro a più di 1.000 persone e, secondo RWE, garantisce inoltre
annualmente all’intera regione metropolitana del Rhein-Neckar-Kreis,
tra attività correlate, strutture commerciali e alberghiere, circa 70
milioni di euro.
Le polemiche non si sono esaurite all’interno del confine nazionale.
Sebbene, infatti, la decisione di Berlino abbia riacceso i focolari
della speranza di un futuro antinucleare negli ambienti ecologisti di
tutta Europa, i governi in carica con programmi già attivi sul proprio
territorio, dalla Spagna fino alla Finlandia, passando per Francia,
Gran Bretagna, Belgio, Paesi Bassi, Svezia e Polonia, si sono
affrettati a precisare, intimoriti dall’eventuale boomerang mediatico,
che la scelta della Germania non avrebbe avuto alcun effetto sulla loro
politica energetica.
Il Commissario Europeo per l’energia, Guenther Oettinger, ex Presidente
dei Ministri dello Stato del Baden-Württenberg, ha dichiarato in una
conferenza a Vienna lunedì scorso che “la politica tedesca funzionerà
solo se ci saranno dei miglioramenti strutturali, maggiori capacità di
stoccaggio e più consistenti investimenti nelle nuove energie.” Ha poi
aggiunto che “il nucleare continuerà a giocare un ruolo importante in
Europa, dato che Paesi come la Francia sono estremamente dipendenti da
esso, ma dopo la decisione di Berlino il gas - con tutto ciò che
comporta in quanto a dipendenza energetica dall’estero - diventerà il
vero fattore guida nella crescita.” (di Riccardo Valsecchi
da Leggo.it)
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