Lautari, vera musica siciliana
Data: Mercoledì, 25 maggio 2011 ore 15:00:00 CEST
Argomento: Redazione


All’ormai, annoso dibattito, “Dialetto si, dialetto no!”, scaturito in seguito all’approvazione della legge sull’introduzione del siciliano come materia d’insegnamento nelle scuole dell’isola, rispondo con un aneddoto personale e con un’intervista del mio amico poeta, Angelo Signorello. Qualche anno fa, per il compleanno di una mia amica e compaesana, festeggiato nel ridente paesino di Feltre, in provincia di Belluno, dopo il taglio della torta, ricordo il piacere enorme per aver declamato una poesia in vernacolo siciliano, “Milli liuni e milli malantrini…” e lo sguardo, perplesso e meravigliato, dei tanti commensali veneti che non capivano una “beata…”. Che gioia parlare siciliano in terra straniera! Ti sembra di sentire il profumo della zagara, della ginestra e del mare. E credi di essere a casa, insieme ai tuoi.
Il poeta Angelo Signorello, invece, vuole farci compagnia parlando un po' di musica…“nostrana”, tenendo sempre ben alta la bandiera della Cultura, nella speranza di suscitare qualche curiosità in chi legge.
"Ho voluto fare un regalo speciale a voi, nonché a me stesso. Considerando la corposità del giornale e il suo viaggiare in rete, m'è sembrata una succulenta occasione rivolgere qualche domanda a Roberto Fuzio, il leader de 'I Lautari', gruppo musicale catanese, ormai, storico, che sa usare la lingua siciliana senza alcuna remora come dovrebbero fare gli stessi siciliani con un po' d'orgoglio.
Roberto, mi piacerebbe partire dalle radici; ci potresti illuminare sul significato etimologico della parola “Lautari”?
Il nome “Lautari” l'abbiamo preso da un film del 1979. La storia di un gruppo di musicisti girovaghi. Il termine è moldavo e vuol dire, semplicemente, musicisti.
In tanti anni di lavoro, di soddisfazioni ed immagino anche di sacrifici insieme al gruppo, qual è la forza che vi porta a fare musica ed a farla in siciliano?
La forza che ci porta, dopo tanti anni, a far musica insieme, nasce dalla passione per la cultura popolare e dalla volontà di far conoscere tradizioni che, purtroppo, vanno sempre più scomparendo.
L'abbiamo accennato all'inizio, il nostro vernacolo nell'epoca attuale è assai poco frequentato, anche se in voi artisti vi è il tentativo di rivalutarlo. Qual è la tua opinione in merito, anche alla luce del fatto che Dante, Boccaccio, Petrarca, ci hanno sottratto la possibilità di farlo diventare lingua nazionale?
Sul discorso lingua nazionale o lingua locale, non vorrei entrare troppo addentro a discussioni che spesso risultano sterili. In fondo l'italiano come lingua nazionale è da considerare, per certi aspetti, una convenzione.
Tu oltre ad essere musicista, sei anche un eccellente paroliere. Come nasce una canzone? Quali sono i tempi di preparazione di un album?
Una canzone può nascere nei modi più disparati, a volte si adatta un testo ad una musica che si è già composta e a volte succede il contrario. Non c'è una ricetta. A volte ci vogliono giorni e qualche volta pochi minuti. Un album ha bisogno di mesi di preparazione, quando tutto è pronto si passa alla fase finale cioè la registrazione che richiede più o meno un mese di lavoro. Poi ci sono i missaggi e la masterizzazione che è il tocco finale. A quel punto il disco prende davvero forma e si può considerare terminato. Possono volerci anche sei mesi.
Negli album ''Anima antica'' e ''Arrè'', prodotti dalla casa discografica
“Narciso – Records Due Parole”, fondata dalla nostra Carmen Consoli, date spazio ad altri artisti siciliani, peraltro molto virtuosi, come Alfio Antico e Rita Botto. Ci potresti raccontare cosa significa realizzare un lavoro con nomi altrettanto importanti?
Lavorare con nomi importanti vuol dire, fondamentalmente, avere un confronto, ma c'è anche lo stimolo a far bene e l'aiuto concreto da parte di colleghi che sono anche amici.
Secondo te la canzone siciliana caratterizzata da un lessico così sanguigno e fortemente espressivo, deve essere cantata solo dagli isolani o può sconfinare in artisti non siciliani?
Personalmente penso che chiunque possa cantare in siciliano. D'altra parte lo faccio io che non lo sono affatto. Per la cronaca, io sono di famiglia pugliese e il dialetto di casa mia è il barese.
Dal 2010 è stata applicata una modifica al regolamento sanremese; la nuova norma prevede la possibilità di inserire le canzoni dialettali in quella che, malgrado tutto, è considerata la più importante competizione canora italiana. Hai mai valutato l’ipotesi di partecipare al Festival di Sanremo?
Non escludiamo affatto la possibilità di andare a Sanremo. E' pur sempre, come si dice, una grande vetrina.
Torniamo all'album ''Arrè”, c'è una bellissima lirica del grande Ignazio Buttitta da voi arrangiata, ''Ju nun sugnu 'n pueta' (Io non sono un poeta). Quant'è accostabile la poesia d' autore all'arte della musica?
Direi che la poesia d'autore e la musica si sposano alla perfezione. Un buon testo di una canzone può essere senza dubbio considerato poesia.
In ''Arrè'' c'è poi un pezzo scritto con molta probabilità da certo Abate messinese Carmelo Allegra - secondo quanto affermato da Lionardo Vigo e successivamente riportato dallo studioso Giuseppe Bonomo - che si intitola 'Mala razza', scoperta e arrangiata a suo tempo da Modugno, nel quale si parla di un Cristo in croce 'rivoluzionario' che invita un servo a ribellarsi dalla tirannia del suo padrone. La musica o qualsiasi altra forma artistica d'impegno, potrebbe aiutare a svegliare le coscienze assopite?
La musica e l'arte in generale possono aiutare a riflettere, anche se questo non basta. Io cito spesso una bella frase di Havel, intellettuale ex presidente della Cecoslovacchia. "La musica non può cambiare il mondo, gli uomini possono cambiare il mondo, ma la musica può cambiare gli uomini."
Proprio con questo brano siete stati assieme a Carmen Consoli al concerto del 1° Maggio in Piazza S. Giovanni a Roma. Ci faresti partecipi di cosa ha voluto significare portare un po' di “Trinacria” in un posto ormai sacro per la musica?
Quando abbiamo suonato “Malarazza” sul palco del primo maggio eravamo ovviamente molto emozionati. Non capita tutti i giorni di avere davanti un milione di persone (senza considerare il pubblico televisivo). A parte i tanti siciliani presenti, con l'immancabile bandiera della “Trinacria”, direi che la percezione è stata di un gran coinvolgimento da parte di tutti, soprattutto, per quello che voleva significare quell'intervento, al di là di qualche possibile incomprensione della lingua.
''La casa di Icaro'' è il disco dei vostri albori e, tra l'altro, è l'album al quale io e te ci sentiamo più legati; mi permetto di dirlo perché ce lo siamo confidato mesi fa. In cosa si assomigliano i Lautari di una volta con gli odierni, alla luce di un'obiettiva lungimiranza?
Sono passati molti anni da "La casa di Icaro". Inevitabilmente alcune cose sono cambiate. La sezione ritmica è stata arricchita dalla presenza della batteria. Ma, in generale, direi che il "suono" dei Lautari è sempre stato riconoscibile e originale.
Chi viene a sentirvi dal vivo rimane estasiato, oltre che dalla vostra indiscutibile bravura, anche per alcuni strumenti musicali inusuali che adoperate. Qual è la loro origine e la loro peculiarità?
Continuiamo ad usare gli strumenti siciliani insieme ad altri provenienti da tutte le parti del mondo. Perché ci piace così e perché crediamo molto nell' "internazionalismo" della musica popolare.
''Una notte in Italia'' è il titolo di un eccezionale concerto che da recente tu ed Alfredo Longo, altro bravo personaggio talentuoso, avete tenuto in un pub catanese, dove avete messo sul piatto il meglio della musica d'autore italiana. Potresti stilare il tuo podio?
Il mio mito totale è sicuramente De Andrè, che non è stato solo il papà dei cantautori, è stato sicuramente uno dei più grandi Poeti del novecento. Subito dopo ci metterei Fossati.
Vorrei congedarmi da te e dai nostri lettori facendoti un sincero “in bocca al lupo” perché so che i Lautari a breve usciranno con un nuovo lavoro.
I lautari stanno registrando un nuovo disco ma non vi dico quando esce. Lo teniamo prigioniero ancora per un po'".
Forse, si capisce da che parte pende il mio giudizio. Fosse solo perché due lingue sono meglio di una (come recitava, qualche tempo fa, la pubblicità di un gustoso gelato). Fosse solo per questo!
Carusi ‘mparàmini ‘u sicilianu!

Arcangelo Gabriele Signorello





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