Dubbi sul dialetto a scuola
Data: Domenica, 22 maggio 2011 ore 21:54:46 CEST
Argomento: Rassegna stampa


Pasquale AlmiranteMa non è una cosa seria. L’insegnamento delle lingue regionali pur avendo la nobile finalità del recupero di una romantica identità culturale, ha pure bisogno di docenti in grado di farlo e con titoli documentabili. E non solo, ma quando insegnarlo? Come corso curricolare, sfruttando il 20% dell’orario settimanale, o inserirlo come attività aggiuntiva con i soli ragazzi che ne farebbero richiesta? Impossibile è aggiungere due ore nel piano complessivo delle lezioni per via della rigidità della cosiddetta riforma  Gelmini. Ma in ogni caso, dove trovare professori seriamente preparati? E’ vero che tutti (o forse no?) conoscono la parlata locale e la storia regionale (o forse no?), ma è anche vero che, relativamente alla lingua, migliaia di termini col tempo sono andati perduti, sia perché l’economia è cambiata, da agricola a industriale, e sia perché la lingua in sé è fatto dinamico e quindi soggetta a mutazioni e cambiamenti. E allora quale lingua dialettale insegnare?  Tranne che si prevedano corsi universitari specialistici e il ministero assegni classi di concorso e abilitazioni relative, perché altrimenti l’insegnamento del dialetto diventa non più istruzione seria ma altro, un modo per sprecare i fondi e per consentire a qualche docente raffazzone di integrare il magro stipendio. Fra l'altro se viene scelto di usare il 20% (per esempio: su 4 ore di italiano un’ora di dialetto) dell’orario curricolare, quanti docenti abilitati, o comunque con titoli certificabili, occorrono? Se poi lo si vuole insegnare in orario extrascolastico quanti ragazzi e per quante ore a settimana vi parteciperebbero? Diciamo la metà su una media di 600? E gli altri? E inoltre: chi ne verifica, certificandoli, i risultati degli alunni?E se si aggiungono due ore alle ore curricolari, magari sforzando la legge di riforma, sarà questa materia oggetto di esami di stato e di valutazione?  Ma non si capisce neanche cosa si intenda dire che lo studio della lingua  e della cultura siciliana potrà essere effettuato a costo zero. In altri termini si prenderanno docenti e si metteranno in cattedra, senza neanche spendere una lira per aggiornali: e quali? Quelli di lettere? Ma costoro, nel piano di studi universitari e nella conseguente abilitazione, hanno mai approfondito la lingua e la cultura siciliana, così come è richiesto dal disegno di legge? Il punto è allora se implementare uno studio serio o se andare alla garibaldina, nel senso di iniziare la traversata e in base a come finisce l'approdo sarà in seguito raccontato?

Pasquale Almirante - La Sicilia del 22 maggio 2011





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