Il dialetto a scuola? No, grazie!
Data: Domenica, 22 maggio 2011 ore 17:00:00 CEST
Argomento: Redazione


L'Assemblea regionale ha approvato la legge che istituisce il "siciliano" tra le materie da studiare. Il testo è stato presentato dal deputato del Movimento per l'autonomia Nicola D'Agostino.
Sorge spontanea la domanda: ma c’era bisogno a scuola  dello studio di  un altro “volgar’eloquio”? Non ne bastava uno?
I nostri ragazzi fanno già fatica a leggere e capire un testo semplice scritto in madre lingua (quella del “ sì “di Dante) ; parlano e scrivono un italiano sciatto povero e stentato e, talora, al limite della comprensibilità, e vogliamo caricarli per questo, in aggiunta di tutte le altre materie, dello studio obbligatorio di due ore la settimana  di un idioletto (dialetto) che, fra l’altro, non parlano più nemmeno i loro padri?
E  a che scopo, poi? Giova, forse, oggi, a qualcuno in società comunicare e scrivere in dialetto siciliano (quale?) per farsi comprendere, per perorare una causa, per fare una domanda di lavoro, per comprare un biglietto alla stazione,  per chiedere informazioni negli uffici, o per quant’altro? Abbiamo fatto tanta fatica per arrivare alla lingua unitaria, siamo stati tanto solerti a sradicare nei nostri figli la cultura dialettale, considerandola una subcultura di cui vergognarsi, -quand’essa, invece, aveva ancora un senso per poterla amare difendere e custodire, ( sia pure nel segreto del nostro cuore, nel silenzio  rispettoso della nostra archeologia, e della nostra memoria, pudicamente, senza far rumore), - e ora , in una società tecnologica avanzatissima e globalizzata,, ci volgiamo indietro,-falsi nostalgici- vogliosi di  recuperare, per forza di legge,  una realtà antropologica che sappiamo –di fatto-  non esistere  più? Fieri di recuperare quale identità? E con quale dialetto?
Come ” le lucciole” di pasoliniana memoria, anche i dialetti sono scomparsi da tempo dai marciapiedi, dai mercati, dai vicoli e dai sobborghi delle nostre città, impietosamente travolti e cacciati via dai luoghi naturali della loro origine, per l’avanzare delle “magnifiche sorti e progressive”; inghiottiti, come le periferie dal centro, si sono imborghesiti anch’essi, al punto da ridursi  a  intercalari oramai esibiti come per  moda  negli ambienti chic e progressisti! Siamo convinti veramente che i ragazzi abbiano tanta voglia di comunicare tra loro in dialetto?  E se fosse, chi potrebbe loro vietarlo?  Che lo parlino, se ne hanno voglia! Chissà, che non si trovi ancora qualche vegliardo in qualche vicolo della “città vecchia”, disposto ad insegnare il suo gergo privato, il suo idioletto a chi è ancora disposto ad ascoltarlo. Ma che di ciò non si faccia carico la scuola:  ahimé, essa ha, oggi, ben altri problemi, seri, cui pensare!

Nuccio Palumbo
antoninopal@katamail.com






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