Il costo della rivolta contro i test INVALSI. A settembre sapremo quali le conseguenze della ''rivolta'', quanti esami consegnati in bianco, quanti st
Data: Domenica, 22 maggio 2011 ore 10:30:00 CEST Argomento: Rassegna stampa
Solo a settembre
sapremo quali sono le conseguenze della "rivolta" contro i test Invalsi
nelle scuole superiori, quanti esami sono stati consegnati in bianco,
quanti studenti hanno disertato le prove.
Sapremo anche quanti docenti hanno permesso che i loro studenti
copiassero gli uni dagli altri, rendendo il test di apprendimento del
tutto inutile. Ma è tempo già ora di organizzare la rivolta di coloro
che pagheranno il costo di queste "agitazioni": i docenti, a partire da
chi si è visto invalidare il test sulla propria materia da un collega
che magari non li ha neanche informati della sua intenzione di
boicottare l´esame, gli studenti e le loro
famiglie.
La rivolta contro l´invalidazione degli Invalsi dovrebbe andare
ben al di là della difesa di queste prove. Come tutti i test, anche gli
Invalsi sono perfettibili, a partire dalle modalità con cui vengono
svolte e valutate le prove. Ci devono essere ispettori che controllino
che agli studenti non venga permesso di copiare e i risultati devono
essere valutati da docenti diversi da quelli degli allievi che hanno
sostenuto la prova, che hanno tutti gli incentivi a far fare bella
figura ai propri studenti. Bisognerebbe, al contempo, raccogliere
informazioni sugli studenti assenti alle prove in modo tale da
dissuadere gli istituti dall´incoraggiare assenze selettive degli
studenti con le performance peggiori. A questo punto i risultati dei
test potrebbero essere resi pubblici, scuola per scuola senza timore di
fornire segnali fuorvianti alle famiglie. Che devono comunque chiedere
alle scuole informazioni aggiuntive rispetto ai test. Ad esempio,
nell´era di Internet ogni docente dovrebbe affiggere sulla pagina web
della scuola una nota in cui descrive a grandi linee come intende
organizzare il programma di insegnamento e illustrare i propri metodi
didattici e criteri di valutazione.
Il nostro sistema scolastico permette alle famiglie, soprattutto nelle
grandi città, di scegliere la scuola a cui iscrivere i propri figli. Ci
sono vincoli in questa scelta, ma molto meno che in altri paesi, dove
l´iscrizione è dettata unicamente dalla residenza. Questa maggiore
possibilità di scelta dovrebbe fondarsi su informazioni adeguate sul
valore aggiunto offerto dai diversi istituti alla formazione di chi si
prepara per il mondo del lavoro. Invece paradossalmente in Italia ci
sono meno informazioni che altrove sui contenuti formativi dei
programmi didattici, sugli sbocchi professionali e sull´accesso
all´università dei diplomati nei diversi istituti.
A cosa si deve questo paradosso? Ci sono sicuramente barriere di natura
ideologica ad ogni tipo di valutazione svolta dall´esterno. C´è poco da
argomentare contro i pregiudizi. Bene ricordare un vecchio adagio
popolare: "se non ti poni il problema di misurare una cosa, significa
che quella cosa per te non ha alcun valore". Chi non vuole misurare la
qualità dell´istruzione, non assegna alcuna importanza alla scuola.
C´è poi il rifiuto dei test standardizzati. Molti docenti ritengono che
solo loro siano in grado di definire parametri di valutazione adeguati,
che tengano conto della specificità del loro programma di insegnamento.
La ragione ultima, talvolta inconsapevole, di queste obiezioni è che
chi viene valutato vorrebbe sempre costruirsi il proprio test. Quelli
standardizzati servono proprio ad evitare che i docenti scelgano di
adottare criteri di valutazione favorevoli ai propri studenti, dunque a
se stessi. E permettono di svolgere comparazioni del livello di
apprendimento prima e dopo l´operato di un docente, oltre che fra
classi e scuole diverse.
Ci sono poi i timori di alcuni docenti che la valutazione possa
ritorcersi contro di loro. Nel caso dei bravi docenti sono paure del
tutto infondate: i miglioramenti compiuti dagli studenti nelle loro
materie vengono ben monitorati da questi test che, non a caso, sono in
genere molto coerenti fra di loro. Non è neanche vero che le prove
distolgano le scuole dal perseguimento dei programmi didattici
inducendole a preparare gli studenti per i test, anziché perseguire i
programmi didattici. Le conoscenze che i test intendono valutare sono
parte integrante degli standard minimi educativi. E non è affatto detto
che il cosiddetto "teaching to the test", insegnamento finalizzato a
una migliore performance nel test, sia efficace.
Ma forse gli ostacoli più forti al miglioramento delle informazioni
sulla qualità del nostro sistema scolastico vengono dalla politica.
Senza questi dati non è possibile valutare le tante piccole modifiche,
più di facciata che di sostanza, apportate da ministri che vogliono
solo apporre una bandierina, mostrare di avere fatto una "riforma" che
immancabilmente porta il loro nome. La mancanza di valutazione rafforza
la discrezionalità della politica. Può fare tutti i cambiamenti che
vuole, magari definendoli sperimentali. Tanto poi non ci sarà nessuno
in grado di valutarne gli effetti. I test standardizzati permettono di
valutare queste pseudo-riforme. Ad esempio, uno studio condotto da
Erich Battistin, Ilaria Covizzi e Antonio Schizzerotto dell´Irvapp di
Trento e basato proprio sui test Invalsi ha dimostrato che il
ripristino dei cosiddetti esami a settembre (al posto del recupero dei
debiti formativi in corso d´anno) ha accentuato le differenze quanto a
conoscenze linguistiche tra studenti liceali e studenti di scuole
tecnico-professionali, peggiorando la qualità dell´istruzione
soprattutto per chi viene da famiglie con redditi più bassi. Chi oggi
rifiuta le valutazioni in nome dell´egualitarismo dovrebbe riflettere
su questo risultato. Senza le informazioni offerte dai test
standardizzati la battaglia contro la scuola di classe rischia di avere
le armi spuntate. (la Repubblica Tito Boeri)
redazione@aetnanet.org
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