Laureati finiti all´estero: +40% in 7 anni. Allarme Ance: in dieci mesi si sono trasferiti oltre confine 65 mila giovani
Data: Sabato, 21 maggio 2011 ore 17:30:00 CEST Argomento: Rassegna stampa
Via
dall´Italia in cerca di successo, di reddito, di lavoro. Via da un
paese di vecchi: con un progetto in testa e la certezza che per
realizzarlo bisogna andarsene, nei primi dieci mesi dello scorso anno
si sono trasferiti all´estero 65 mila giovani italiani. Tutti sotto i
trenta anni, tutti convinti che è tempo di migrare. E´ come se una
cittadina di medie dimensioni si svuotasse completamente: Savona o
Viterbo deserte in meno di un anno. Un fenomeno in crescita visto che
fra il 2000 e il 2007 gli italiani laureati che lavorano in paesi Ocse
sono aumentati del 40 per cento.
Il fatto in sé potrebbe essere positivo se non fosse che si sposa con
un tasso interno di disoccupazione giovanile del 27,8 per
cento.
Non si va quindi, per fare esperienza e poi tornare: sempre più spesso
si va per restare. Intelligenza ed energia sottratta al futuro del
paese.
Lo hanno fatto notare i giovani dell´Ance (l´associazione dei
costruttori) che al tema hanno dedicato un convegno: «Vado o resto?».
«Siamo davanti ad un esodo biblico - commenta Alfredo Letizia, il loro
presidente - se si pensa alle polemiche sui 25 mila tunisini sbarcati
in Italia nei mesi scorsi, il dato dovrebbe allarmare e invece lascia
incredibilmente indifferenti governo e parlamento. Senza giovani non
può esserci alcun futuro». Per gli under-30 dell´edilizia a spingere
verso la fuga è soprattutto l´esistenza di «un ambiente ostile al
merito, impermeabile alla proposta, indifferente ai problemi del
cittadino».
Meno ragazzi, dunque, e con un titolo di studio meno elevato: il
rapporto dei giovani Ance fa notare che in Italia la quota dei laureati
in età compresa fra i 30 e i 34 anni è pari al 19 per cento (dati
2009), l´obiettivo fissato dalla Comunità europea per il 2020 è del 40
per cento: abbiamo una decina di anni di tempo per raddoppiare. Non
sarà facile visto che l´Italia destina all´istruzione solo il 4,3 per
cento del Pil, contro il 5,6 della Francia e il 5,4 del Regno Unito. E
sarà ancora meno facile se - come ricorda l´Istat - si considera che il
18,7 della popolazione giovanile (quella compresa fra i 15 e i 29 anni)
appartiene alla generazione Neet (not education, employment or
training). «Chi rimane - conclude il rapporto dei giovani Ance - non è
iscritto a scuola o all´università, non lavora né segue corsi di
formazione».
Altro guaio è che - come ci si potrebbe aspettare da un´economia
globale - non arrivano cervelli stranieri a sostituire quelli italiani.
L´Italia infatti non attrae talenti: gli immigrati con elevato livello
d´istruzione, secondo dati Ocse, rappresentano solo il 2,3 per cento
della popolazione laureata, contro l´11,5 della Germania e il 17,3
della Gran Bretagna. Chi pensa di farcela non viene qui.
Da dove si riparte? «Da un impegno collettivo del paese - risponde
Letizia - servono regole chiare che alimentino la concorrenza, bisogna
dare spazio al merito e superare il conflitto fra generazioni». «Qui si
è creato un conflitto esasperato - dicono anche i giovani costruttori -
all´estero lavorare è una condizione normale, in Italia è un problema
da risolvere ogni volta». (da Flc-Cgil)
La fuga in Egitto
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