“Poco studiosi e disillusi” L’Italia perde i giovani
Data: Mercoledì, 18 maggio 2011 ore 08:39:38 CEST Argomento: Rassegna stampa
I giovani in
Italia sono sempre di meno, e questo all’incirca si sapeva. Ma sono
anche il segmento sociale più fragile, emarginato, povero e disilluso
della popolazione. Non è finita: l’11% degli oltre 6 milioni di under
24 (pari a circa 700 mila ragazzi) è «perduto». Sì, proprio così: non
studia, non lavora, non cerca un lavoro perché si è stancato di
cercarlo, e vive alla giornata.
Il quadro della condizione giovanile - secondo la relazione che ha
tenuto alla Camera il direttore del Censis Giuseppe Roma - è
attualmente pessimo e, se non verranno presi provvedimenti (che il
Censis segnala e propone) potrà solo
peggiorare.
Intanto i giovani stanno
scomparendo come generazione - avverte il professor Roma -. In
dieci anni ne abbiamo persi due milioni. Erano il 28% degli italiani
solo 10 anni fa e sono diventati il 23%. Tra 15 anni saranno il 21%.
Per contro gli over 65 sono il 20% oggi e saranno il 26% nel 2030.
Ma ciò che rende grigia la situazione dell’Italia, è che questa è anche
una generazione profondamente infelice perché vive un’esclusione
crescente dal mondo produttivo: insomma, non lavora. Un male comune
agli altri stati comunitari, dove la disoccupazione giovanile ha
raggiunto la media del 20%, ma più grave da noi, che abbiamo toccato
quota 28%.
Se poi andiamo a distinguere tra fasce giovanili, «la partecipazione al
lavoro è bassa nell’età dell’apprendistato e del diploma (18-24 anni),
ma nei successivi dieci anni la quota di chi non ha avuto accesso alla
vita attiva, alla piena autonomia e responsabilità raggiunge il 35%,
una quota preoccupantemente alta, che sale al 45% per le donne e al 53%
nel Mezzogiorno».
Un dramma. Tant’è che l’11,2% dei 6 milioni e 730 mila giovani italiani
non regge e, appunto, si perde. Un fenomeno di sfiducia diffuso anche
in Europa, ma lì la media è del 3,4%, un quarto rispetto all’Italia.
Colpa della precarietà, ma anche della scuola e soprattutto della bassa
crescita del Pil, che non genera occupazione. La flessibilità in
ingresso nel mercato del lavoro - dice il Censis - che pure
«rappresenta uno strumento importante di attivazione della
partecipazione giovanile», non ha prodotto occupazione di per sé, così
come non l’ha prodotta neppure in altri Paesi europei che vi hanno
fatto ricorso. Ha invece determinato, almeno in Italia, una precarietà
strisciante e spesso sconfortante, se si considera che a tutt’oggi
risultano «atipici» (cioè precari) l’85,3% dei contratti di lavoro che
riguardano i giovani.
Quanto all’istruzione, potremmo sintetizzare dicendo che è troppo lunga
(in Europa ci si diploma un anno prima), troppo scadente, e per di più
inutile rispetto alle esigenze del mercato del lavoro. Abbiamo pochi
laureati rispetto alla Ue (20,7% contro la media del 33%) ma anche il
più basso tasso di occupazione tra i laureati (67% contro 84%), come
dire che ne abbiamo pochi ma sono perfino troppi per le nostre esigenze.
E questo perché «la formazione universitaria si mostra poco rispondente
alle esigenze del mercato». In sostanza, troppe lauree chiacchierose e
farlocche producono dottori inutili e disoccupati.
Che fare di fronte a questo scenario? Il Censis suggerisce al
parlamento cinque interventi: valorizzare i diplomi in senso
professionalizzante, fare della laurea breve un percorso che insegni
effettivamente a fare qualcosa e subito, pensare alla laurea
specialistica come ad un percorso di praticantato per le professioni,
sostenere l’imprenditoria giovanile detassandola per un triennio,
infine, due giovani assunti per ogni cassintegrato che venga rimesso in
formazione (a spese dello Stato). (da La Stampa di Raffaello
Masci)
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