Ai colleghi "monaci e guerrieri". La letteratura non è in buona fede e l'artista è fazioso per costruire il suo universo.
Data: Domenica, 08 maggio 2011 ore 11:00:00 CEST
Argomento: Redazione


Cari colleghi,
è iconografia stucchevole, - e mitologia nutrita di cattiva coscienza -, la rappresentazione dello scrittore imparziale, anima bella e candida che vive fra le nuvole, nel mondo dell’iperuranio, fuori dalla storia, -e dalle sue disarmonie-, nei “templa serena”, nel regno immutabile “delle essenze, emblemi di bellezze imperituri”. Lo scrittore, proprio in quanto scrittore, anche suo mal grado, è sempre una persona engagè; consapevole del potere persuasivo e dell’efficacia delle sue idee sull’animo del lettore.
Lo scrittore s’incardina nella storia insieme con la sua opera, consapevole del suo essere “in situazione”, e sa che fare letteratura significa “ svelare”, cambiare le cose e le coscienze; e che non si può svelare se non progettando di cambiare.
Lo scrittore impegnato ha abbandonato il sogno impossibile di dare un quadro imparziale della Società e della condizione umana; la sua parola è azione. Egli è sempre monaco e guerriero, partigiano della sua verità, della verità del suo progetto, amante del pericolo e delle sfide; è uomo fazioso - talora anche sleale - che si mette in gioco per vincere, che si sporca le mani, che non rinuncia ai sortilegi della parola per catturare il suo lettore, per persuaderlo, per fare trionfare le proprie idee, il proprio punto di vista, la propria visione del mondo, la propria poetica. Per fare tutto questo, egli deve sentirsi libero di praticare la concezione di letteratura che più gli aggrada e che più corrisponde ai suoi scopi: materialista o idealista, nichilistica o moralistica, empirica o speculativa, sovversiva o reazionaria; la letteratura essendo lo spazio della sua libertà incondizionata d’ infinite  combinazioni, il campo di gioco  delle parole, dove verità e menzogna non hanno facile discrimine! E’di codesta libertà che si alimenta la presunzione del suo impegno di voler cambiare il mondo, ma anche il suo orgoglio e la sua fede ( o malafede), il respiro stesso della sua passione e la forza (o debolezza) della sua Musa ispiratrice! La libertà dello scrittore risponde e obbedisce -soprattutto - a questo imperativo etico-estetico-politico-ideologico : cambiare il mondo! E chi, del resto, potrebbe impedirglielo? La libertà, infatti, – scrive Sartre - non è godimento del libero funzionamento soggettivo, ma un atto creatore richiesto da un imperativo. Questo fine assoluto, questo imperativo trascendente e tuttavia consentito, rifatto proprio dalla libertà stessa, è ciò che si chiama un valore. L’opera d’arte è valore perché è appello.
Ma a questo punto la domanda è: chi ci assicura che la letteratura operi in buona fede e che il messaggio-appello dello scrittore sia un valore assoluto condivisibile, vero e giusto, e da gustare semplicemente per sola magia di sillabe e di suoni? Chi ci assicura che non sia un imbroglio il suo; chi ci garantisce dalle eventuali mistificazioni? Non deve forse il lettore, prima di dare il suo assenso a un appello-messaggio, essere guardingo, vedere altrove, cercare conferme e prendere tutte le informazioni possibili sul testo e sul suo autore prima di abbandonarsi alla pura e semplice emotività suscitata ” dal dolce suono e dal movimento della sua lingua”? Come? Accantonando, per intanto, la lettura emotiva, sgranando gli occhi, e cercando, in primis, di leggere il testo e di decodificarlo solo e rigorosamente dentro un puntuale quadro di riferimenti “allotri”, storico-culturali, quanto più ampio possibile: dal testo al contesto, dal contesto al testo! Questo- a mio modesto avviso- il percorso dialettico obbligato di ricognizioni  che i docenti dovrebbero far fare con paziente umiltà, e onestà di intenti, ai propri studenti, per aiutarli, anche, a sapersi muovere nel dramma della storia e delle sue forme,e nei cunicoli delle sue ipocrisie, a saper operare confronti interdisciplinari, a non considerare la letteratura come un fiore coltivato in serra, a distinguere il materiale dall’immaginario, il vero impegno dalla falsa coscienza, la realtà vera dalla sua mistificazione ideologica ecc.ecc.  Solo dopo questa  ampia “dispersione”,  potrà  avvenire la concentrazione della lettura diretta del testo in maniera più consapevole e più critica. E allora, ma non prima, potrà il docente, volendo, abbandonarsi in classe a gesti di teatrali e prosopopeiche letture di pagine di capolavori, giusto per  suscitare emozioni,  e far sgranare gli occhi degli ignari e sprovveduti alunni,  e riceverne i primi consapevoli, seppure ancora  acerbi, applausi!

Nuccio Palumbo
antoninopal@katamail.com





Questo Articolo proviene da AetnaNet
http://www.aetnanet.org

L'URL per questa storia è:
http://www.aetnanet.org/scuola-news-241677.html