Vertecchi: il tempo dell'istruzione
Data: Sabato, 30 aprile 2011 ore 18:00:00 CEST Argomento: Rassegna stampa
Intervista a
Benedetto Vertecchi, professore di Pedagogia sperimentale
all'Università Roma Tre. "Si pensa che l'educazione debba essere utile
a breve. Ma così il sapere invecchia presto. Bisogna sostituire l’idea
del merito con quella dell’equità".
E’anche una questione di tempi. Tempi biologici e tempi storici: il
ritmo delle evoluzioni e dei mutamenti sempre più sincopati della
nostra specie e della nostra epoca. La speranza di vita delle persone
si è allungata di quasi trent’anni in un secolo, mentre quella delle
tecnologie e delle conoscenze si è ridotta spesso a un soffio. Eppure
in Italia – ma non solo – si continua a pensare alla scuola,
all’istruzione, come a un investimento che deve rendere a brevissimo
tempo, un po’ come il valore delle azioni delle imprese globalizzate
che arricchiscono i portafogli di manager già superpagati. E invece non
dovrebbe essere così. È deciso, su questo, Benedetto Vertecchi,
professore di Pedagogia sperimentale all’Università Roma Tre e
direttore del dipartimento di Progettazione educativa e didattica: “In
Italia si è fatta troppo rapidamente strada l’idea che l’educazione
debba essere utile in tempo breve. Ma con questo approccio non si va
lontano”.
Rassegna Perché?
Vertecchi Nello sviluppo di una persona i primi due decenni sono
destinati all’adattamento, alla preparazione alla vita. Ebbene, a
differenza di un secolo fa dopo questi primi venti anni ne restano da
vivere, statisticamente, altri sessanta. Dunque: un’educazione che
fornisca un repertorio di capacità che sia immediatamente utile rischia
di fallire il suo obiettivo, perché non tiene conto dei tempi più
distesi lungo i quali la persona dovrà condurre la propria esistenza.
Rassegna Tempi nei quali saperi, tecnologie e bisogni cambiano.
Vertecchi Esattamente. Fino a un po’ di tempo fa ciò che veniva appreso
nella prima parte della vita poteva proficuamente essere utilizzato nel
seguito. Ora questo non accade più: molto di ciò che si impara in
questa fase iniziale verosimilmente dovrà rapidamente essere sostituito
da altro.
Rassegna Quindi l’istruzione arranca, non ce la fa. Come se ne esce?
Vertecchi Non tutto deperisce: la capacità verbale e quella matematica,
la conoscenza della natura, le lingue straniere. Tutto questo ha una
persistenza ben maggiore. E, allora, di cosa si dovrà occupare
l’istruzione in questo ventennio di adattamento? Di ciò che resta o di
ciò che esaurisce rapidamente per essere sostituito da altro? Direi che
non ci sono dubbi al proposito.
Rassegna Per lei non ci sono dubbi, ma la politica scolastica italiana
da tempo sembra far altro…
Vertecchi La politica scolastica italiana ha avuto una fase virtuosa
nel ventennio che va dall’istituzione della scuola unica fino agli anni
ottanta, quando nell’atmosfera di un certo modernismo craxiano ha
cominciato a farsi largo l’idea sbagliata di cui si parlava prima. E
non a caso al termine “istruzione” si è andato progressivamente
sostituendo quello di formazione: un processo che modifica i profili
degli individui per curvarli verso un aspetto desiderato. La riduzione
dell’educazione a un prontuario che, ammesso che sia aggiornato al
momento, durerà poco e avrà un valore del tutto contingente.
Rassegna Insomma, il trionfo delle tre “I” berlusconiane: Internet,
Inglese e Impresa…
Vertecchi Sì, questo è l’esempio più “luminoso” di una simile torsione:
chi è oggi in grado di sapere cosa saranno “internet” e “impresa” tra
pochi anni?
Rassegna Cosa deve dunque insegnare un’istruzione degna di questo nome
nei primi venti anni di vita di una persona?
Vertecchi Lo dirò con un paradosso: per i giovani, per il loro futuro,
in questa fase è utile ciò che è inutile, ciò che dà respiro al proprio
profilo culturale. Ad amare musica, arte, poesia e scienza s’impara in
questa fase: dopo è difficile. Per imparare a usare un computer invece
ci vuole poco tempo e la cosa non richiede un grande sforzo.
Rassegna Oltre alla retorica della tre “I” ce n’è un’altra che comincia
a farsi largo. Quella della riduzione del tempo scuola, vista non
soltanto in ottica di risparmio, ma anche come “liberazione” dal tempo
scuola verso non si sa cosa…
Vertecchi E invece le grandi scuole, quelle celebrate in tutto il
mondo, Eton, i college americani, sono luoghi in cui si sta tutto il
tempo, si dorme e si fanno tante cose. Raffaello Lambruschini, prete
giansenista toscano, pedagogista e tra i protagonisti del nostro
Risorgimento, diceva che i genitori dovevano lasciargli i figli a tre
anni e riprenderseli a diciotto: in quel lungo lasso di tempo meno li
vedevano e meglio era; li avrebbero corrotti. Ora al di là dei diversi
contesti sociali e politici la sostanza è valida tutt’ora: in una
situazione concorrenziale per l’educazione, quando competono diversi
soggetti, l’educazione formale – cioè quella scolastica – rischia di
essere subalterna ad altre fonti, per così dire più disinvolte. Questo
principio è stato ben colto dai paesi democratici dell’Occidente che in
effetti negli anni hanno allungato i tempi dell’educazione scolastica,
fino ad affiancare alle lezioni vere e proprie tutta un’altra serie di
attività che hanno la finalità di far interiorizzare le conoscenze
acquisite e di favorire il loro esercizio in contesti di
socializzazione. Da noi purtroppo rimane l’idea che il tempo
dell’educazione a scuola coincida con il tempo delle lezioni, ma questo
è molto riduttivo. Ripeto: le conoscenze hanno valore quando si impara
a utilizzarle in relazione agli altri.
Rassegna L’ultimo tentativo serio di una riforma scolastica è stato
quello targato Berlinguer. Lei crede si debba ripartire da lì, dalla
riorganizzazione dei cicli scolastici?
Vertecchi Berlinguer aveva ragione a considerare l’organizzazione dei
cicli come fondamentale per una riforma della scuola; forse però è
stato troppo timido nella proposta, che secondo me doveva essere molto
più radicale. La mia opinione è che la scuola debba occuparsi dei primi
diciotto anni di vita delle persone. Questo arco, che arriva fino alla
fine dell’età protetta, e cioè all’entrata nella maggiore età, lo
dividerei in tre periodi: la fase della socializzazione fondamentale
dagli 0 ai 6 anni, quella della socializzazione culturale dai 7 ai 12 e
infine quella dell’acquisizione e interiorizzazione delle conoscenze
complesse. Solo in questo modo possiamo offrire ai ragazzi che escono
dal sistema dell’istruzione quella prospettiva di lungo periodo dalla
quale siamo partiti nella nostra conversazione. Attenzione, poi: in
questo percorso assume un rilievo fondamentale la capacità del “fare”,
che in Italia è tradizionalmente trascurata. La scissione sempre più
pronunciata tra “braccia” e “testa” è uno dei fattori che produce
impoverimento culturale e favorisce una divisione di classe. La
divisione tra testa e braccia produce anche una deriva consumistica: il
cittadino ridotto a consumatore e che interagisce con le cose solo
passivamente.
Rassegna Anche sui laboratori si sta esercitando la scure dei tagli di
questo governo…
Vertecchi Una scelta miope. Si mandano in malora i laboratori di fisica
e biologia per acquistare, quando va bene, qualche ammennicolo
tecnologico-informatico spesso destinato a rapida obsolescenza. I
laboratori di fisica e biologia quasi non ci sono più: e invece sono un
tramite fondamentale tra il pensiero e l’esperienza. Perché per esempio
ai bambini non si insegna più a coltivare un orto, a curare dei fiori?
La perfetta educazione del gentiluomo, secondo Locke, non poteva
prescindere dal giardinaggio e checché se ne dica la grande pedagogia
umanistica era caratterizzata da pochissimo insegnamento formalizzato e
da moltissima esperienza diretta.
Rassegna Un altro concetto, magari nobile, sul quale però oggi si fa
molta retorica è quello di “merito”. Cosa ne pensa?
Vertecchi Il fatto è che gli elementi su cui si fondano l’analisi e il
dibattito sui risultati dell’educazione sono sempre considerati nello
stesso arco di tempo che di solito è brevissimo. Quando un ragazzo è
vivace, interessato e si esprime bene diciamo che è bravo e che merita.
Di un altro, magari più problematico, siamo portati a pensare che ci fa
perdere tempo e risorse. Ma se passiamo da una logica di tipo
sincronico – cioè da una fotografia di come è lo studente in quel
momento – a un’altra di tipo diacronico, che considera il suo percorso
in un arco di tempo più lungo, vediamo che il primo ragazzo
generalmente conferma caratteristiche ed elementi che erano già in lui
e che gli venivano dal contesto di partenza, mentre il secondo no:
quello che è riuscito a fare lo ha fatto modificando, anche con molta
fatica, molti elementi che gli venivano dalla sua situazione iniziale.
Chi merita di più, dunque?
Rassegna Beh, il secondo senza dubbio.
Vertecchi E invece la nostra scuola lascia che il merito dipenda dal
condizionamento positivo o negativo esercitato dai fattori di contesto.
Per questo io sostituirei il vecchio “merito” con l’idea di “equità”.
In fondo è il pensiero di don Milani: mai fare parti uguali fra
disuguali.
Rassegna In conclusione facciamo una rapida incursione nell’università.
In questo caso una riforma il centrosinistra l’ha fatta, il 3+2, ma le
critiche su questo modello piovono ormai costantemente…
Vertecchi Per certi aspetti il discorso sull’università ha tratti
simili rispetto a quelli fatti per la scuola. I docenti hanno finito
con l’accettare una deriva “universalistica” della riforma che ha
inficiato il “3+2”.
Rassegna In che senso?
Vertecchi Il “3+2” presupponeva un’autonomia reale nella progettazione
dei percorsi, mentre se andiamo a vedere quale insensata serie di corsi
si sono avviati, ci accorgiamo che questi rispondono a esigenze che,
bene che vada e tralasciando il malcostume, rispondono a utilità
marginali. Faccio un esempio: che senso ha mettere in piedi un corso di
viticoltura? È la riduzione a un professionalismo molto spicciolo, che
ha tutti i limiti di essere pensato nel breve termine. Oggi i settori
più dinamici sono quelli che si “incrociano” con gli altri, mentre il
sistema attuale fa sì che le risorse vengano accaparrate dai settori
già forti e tradizionalmente presenti nelle università, mentre quelli
innovativi finiscono quasi sempre su posizioni marginali e in questo
modo non si radicano accademicamente.
Rassegna E poi, a parte le architetture accademiche, ci sono i tagli.
Vertecchi Senza dubbio. Le leggi sciagurate degli ultimi anni
rappresentano un vero e proprio requiem per l’organizzazione della
ricerca in Italia. Potrei fare tanti esempi, ma ne scelgo solo uno per
tutti: la norma che stabilisce che i dipartimenti universitari debbano
essere composti di almeno quaranta persone. Ma come si fa a discutere
di un progetto di ricerca in quaranta? Negli Stati Uniti – visto che si
parla sempre di America, ma spesso un po’ a vanvera – i dipartimenti
non sono composti da più di dieci docenti.
Rassegna Forse l’unica novità positiva che si riscontra nell’università
in questi ultimi tempi è la mobilitazione degli studenti contro i
tagli.
Vertecchi È sorprendente constatare come i giovani continuino ad avere
una freschezza di pensiero che la generazione immediatamente precedente
non riesce più a dimostrare; è una mobilitazione profondamente giusta,
ma ora la sfida sarà quella di dargli un corpo e una struttura che la
rendano più salda. Niente a che vedere con l’ipocrisia di tanti rettori
che, durante le proteste, facevano a gara a mettersi d’accordo con il
ministro Gelmini. (di Stefano
Iucci da Rassegna.it)
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