Giganti del male, ma giganti
Data: Giovedì, 28 aprile 2011 ore 11:00:00 CEST
Argomento: Rassegna stampa


Ma com’è che Berlusconi ce l’ha così tanto con la scuola pubblica? In un certo senso è confortante:  deve avere una certa importanza quello che accade nelle classi se viene attaccato tutti i giorni con questa violenza. Come il 68 per la Gelmini. Giganti del male, ma giganti. E il loro male sono i fiori di noi umani.Spesso gli insegnanti si lamentano, che ci stiamo a fare nella scuola ormai, per i ragazzi siamo arredamento, per la società zero assoluto. E invece siamo quasi in cima ai pensieri del premier, uno dei suoi incubi – dopo la magistratura ovviamente. Che sia perché in classe abbiamo un sacco di ragazze? Un’istituzione concorrente, che rischia di allontanare le fanciulle in fiore dall’ombra delle ginocchia giuste… Non credo. Le ragazze che abitano le nostre classi sono tutt’altro che manipolabili a piacere. Sono loro anzi che danno un bel po’ di vita alla scuola: anche se mandano spesso avanti le loro controfigure scolastiche, poi ci portano anche domande, dubbi, desideri. Forse è proprio questo lo scandalo. La vita fuori dal controllo degli adulti e del denaro. Non in vendita. Come la democrazia che può sfuggire al potere patrimoniale.                      
  In parlamento trecento e passa adulti votano che il presidente del consiglio ha dato un mare di soldi a una ragazzetta per evitare che si prostituisse e poi che ha telefonato in questura perché la credeva nipote di Mubarak. Ci credono, dicono. Quella mattina nella mia scuola la palestra era piena di un migliaio di ragazze e ragazzi che hanno ascoltato Piero Grasso parlare di mafia. Non hanno fiatato per due ore. Un silenzio che era un abbraccio dell’anima. Hanno chiesto di stato e corruzione, di Berlusconi e Saviano, di come ci si sente con la famiglia in pericolo per le proprie scelte. Lui ha raccontato della sua vita, il rapporto con il figlio, quello con la scorta, il ricordo di Falcone e Borsellino. Di una voce al citofono di casa mentre il ragazzo è in palestra: i figli si sa quando escono ma non quando tornano. Alla fine tutti in piedi ad applaudire. Altro che generazione nichilista. I nani e le ballerine sono tutti alla corte del signore. In parlamento. Distruzione di democrazia a mezzo di democrazia.
Io penso che alla fine sia un problema di spazio. Il berlusconismo non sopporta gli spazi pubblici, i luoghi della democrazia, del confronto, della libertà. Nella pluralità si perde, ha bisogno dell’Uno, al massimo prevede uno specchio e il pubblico televisivo. In una azienda il proprietario mica discute con i dipendenti: per le feste gli consegna un bel dono, personalizzato come il porta-champagne nelle casette de L’Aquila. Qualcosa che lo faccia amare. Perché l’amore è importante, dei subordinati. Tutto il resto è comunismo.
Secondo me gli insegnanti della scuola pubblica lo sanno di essere in gioco in quanto tali. Non per quello che insegnano di conflittuale con i valori della famiglia. Figuriamoci. Valori proposti luminosamente dai padri che mandano le figlie ad Arcore – speriamo che sia lei la fidanzata, che le compri un negozio, fatti dare il più possibile cara. O da quell’altro che per aiutarle le fa ballare vestite da infermiere, nelle serate eleganti.
La verità è che, in un modo o in un altro, la scuola è ancora uno spazio pubblico, un campo di relazioni vive. Aperto. Un luogo in cui si cessa di essere proprietà di qualcuno, oggetto passivo di scelte altrui. Questo in fondo dice Berlusconi alle famiglie: lì ve li tolgono i figli, escono dalla vostra proprietà, non potete scegliere i loro amici, controllare i loro pensieri, decidere la loro vita. Potete continuare a possederli solo nelle private, libere dalla società. La scuola deve essere il giardinetto di casa, la città del Truman show, mica un bosco o un paesaggio da esplorare.
Il modello di democrazia di Berlusconi è un modello proprietario. Tutto si può e si deve possedere. Corpi, ville, deputati, voti.
Allora è vero che molti colleghi sono depressi. Ti dicono, che possiamo fare, a che serve scioperare, in piazza ci siamo già stati. Per molti la regola è ubbidire lamentandosi. Comoda, tutto sommato: ti salvi l’anima, non ti assumi responsabilità.
Ma invece no. Possiamo fare. Intanto continuare ad essere scuola, in quel modo che tanto inquieta il porno-familismo al potere. Continuare a coltivare la sabbia che c’è sotto il selciato, che può disturbare gli ingranaggi. Una scuola che non trasmette nulla nelle teste passive di nessuno, ma rappresenta una possibilità della vita fuori dalle chiese private e dai supermercati di massa. Poi sarebbe bene diventare consapevoli, anche orgogliosi, di questa qualità politica della scuola e del sapere. Sono radici del resistere, l’esistere e il creare.
Il 6 maggio è un giorno importante per gli insegnanti. In piazza ci sarà la cultura, la democrazia, la Costituzione, la laicità. Cioè la scuola. Che pure così sgangherata fa paura, perché niente deve sfuggire ai consigli per gli acquisti e alle strategie di vendita di sé. Sarebbe uno scandalo. Primo compito nostro è continuare ad essere quel pubblico scandalo. Fare vivere quello spazio come sottrazione al potere, come esperienza di ricerca e libertà collettiva. Tutto il resto è berlusconismo   (di Andrea Bagni da Flc-Cgil)

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