Spunti di dibattito sull'insegnamento della letteratura: ai colleghi “monaci e guerrieri”
Data: Martedì, 26 aprile 2011 ore 15:04:54 CEST
Argomento: Redazione


Cari colleghi,
rimuginavo da tempo alcune idee sull’insegnamento delle nostre discipline e le ho tenute dentro per un’inspiegabile ritrosia e perché ritenevo egoisticamente che all’interno delle mie classi avrei più o meno soddisfatto ogni mia esigenza didattica. Sbagliavo; il confronto, infatti, dovrebbe essere sempre alla base di ogni sviluppo formativo, da cui abbiamo il dovere di non sottrarci mai. La spinta decisiva ad uscire dal guscio mi è stata offerta dalla recente pubblicazione di un volumetto di Davide Rondoni, poeta e saggista emiliano, che ho conosciuto a Roma in occasione di un convegno e con il quale scambio a volte qualche battuta tramite posta elettronica. Il libro, edito da il Saggiatore, Milano 2010, si intitola: Contro la letteratura. Poeti e scrittori. Una strage quotidiana a scuola. Niente paura. Il titolo è antifrastico, la letteratura è salva. Il sottotitolo, invece, è duro, esplicito, inequivocabile. Confesso che prima di acquistare il testo ho pensato soprattutto a quei docenti di lungo corso, che hanno presentato per anni ai loro studenti la storia della letteratura con  cultura, serietà e passione, sostenuti oltre che da una solida e scrupolosa formazione da un’indiscutibile fides verso la scuola e il suo ruolo educativo. Poveri docenti, ho pensato, accusati di perpetrare –involontariamente, almeno nella maggior parte dei casi - una “strage quotidiana” di poeti e scrittori.
Entriamo nel merito della questione. Ecco la tesi provocatoria di Rondoni con proposta annessa: l’insegnamento della letteratura nella scuola superiore dovrebbe essere facoltativo, in quanto gli studenti non si appassionano a causa di professori che la “uccidono” costantemente non favorendo l’incontro dei ragazzi con essa. C’è un solo modo per salvarla: restituirle la libertà! Si, perché la letteratura  ha a che fare con la libertà, è un atto libero e intanto le si tarpano le ali. Perché succede tutto questo? Perché i professori che siedono dietro “cattedre marroni” e con lo “sguardo opaco” parlano di autori già ben confezionati dalle loro conoscenze consolidate e per questo immobili, parlano di contesti noiosi e discutibili, vivisezionano i testi in mille sequenze, ne soffocano l’energia vitale dietro mappe o focalizzazioni-zero interne ed esterne, pretendono lo sviluppo di un’enigmistica pseudo-letteraria sotto forma di esercizi o analisi di brani antologici parziali e inattendibili, spengono l’emozione immediata degli allievi-destinatari a vantaggio di una più facile percezione acconciata e stereotipata. Fin qui Rondoni, il quale si affretta, comunque, subito a chiarire che i docenti “killer” sono in assoluta buona fede; il loro difetto è quello di voler ”fare dei ragazzi degli esperti. Invece che degli amanti, dei minicritici letterari invece che dei lettori”.
          Abbiamo tutti bisogno, dopo queste “tenere” affermazioni, di riflettere e individuare alcuni nostri “errori” di fondo. Azzardo qualche ipotesi. Forse un primo “errore” è quello di mischiare facilmente la letteratura con la storia della letteratura. Ma vale ancora l’idea della letteratura come elemento di identità nazionale? Rondoni –ancora lui- si chiede se è possibile leggere Manzoni senza Parigi e Pascal o Montale senza Eliot e Baudelaire oppure Ungaretti maturato a Parigi “bazzicando Apollinaire”. E ritengo che abbia ragione. Si rischia, infatti, così facendo, di elaborare solo una non-storia piena di lacune e generalizzazioni. Eppure, guai a privare i ragazzi del “contesto” o ridimensionare l’impostazione storicistica! Il contesto, se proprio è indispensabile, ricaviamolo dal testo, dalla curiosità che esso suscita. Gli amici che ho me li ritrovo perché, quando li ho conosciuti, mi hanno incuriosito e li ho sentiti vicini al mio modo di essere, poi l’approfondirsi del rapporto mi ha spinto a conoscere il contesto in cui essi si muovevano. Non il contrario. E come se in quanto professore io venga apprezzato o meno non per quello che sono ma perché docente del Galilei! Un artista, per quanto possa assorbire dal suo tempo e dal suo ambiente, è libero da ogni tipo di classificazione. Quanta povertà di giudizio avverto se a tutti i costi voglio definire Foscolo neoclassico, preromantico, romantico o, per la buona pace di tutti, classico-romantico; e, inoltre, come collocare Leopardi e Manzoni? e come interpretare l’impersonalità verghiana: una tecnica del naturalismo francese riadattata al nostro regionalismo? oppure un procedimento di cui Verga spesso si dimentica regalandoci pagine di sorprendente partecipazione, nelle quali mostra di non stare affatto dietro le quinte ma di emergere quasi alla maniera manzoniana? E ancora, il contesto del decadentismo come ha potuto determinare due tipi tanto diversi come Pascoli e D’annunzio? L’ambivalenza dei personaggi dannunziani appartiene storicisticamente del tutto al decadentismo o alla condizione umana? La verità, colleghi, è che le correnti e simili convenzioni sono fatte per disorientare gli studenti e se ne accorgono gli stessi specialisti quando affermano che la cultura romantica è ancora presente in quella verista o questa stessa in quella decadente e, così continuando all’infinito, un movimento anticipa quello che segue e questo ne contiene i residui. Non discuto che in tutto ciò ci sia un fondamento ma quanta fatica a “contestualizzare” questo o quello scrittore all’interno di un rigido contenitore, da cui egli esce per mille sue caratteristiche personali. E soprattutto cosa può interessare ad un alunno? Un lavoro del genere suscita solo una noia infinita! All’università, ricordo, preparavamo da studenti la letteratura italiana dal Petronio e in quel manuale, che egli chiamò L’attività letteraria in Italia - forse presagendo di non avere scritto una storia - prima di arrivare ai poeti e scrittori del Duecento e a Dante, il nostro critico ci propinava una nutrita sequela di pagine sui risvolti storici, sociali, politici ed economici, che avrebbero preparato le prime testimonianze letterarie e soprattutto il futuro sommo poeta! Che fatica! Ma oggi poco è cambiato, anzi le sue idee si sono sviluppate a macchia d’olio; basta sfogliare gli attuali manuali! Sentivo recentemente una collega scandalizzarsi del fatto che una sua alunna non sapeva fare una mappa concettuale, in cui avrebbe dovuto contestualizzare chissà quante verità. Dentro di me pensavo: meno male, questa ragazza è sulla buona strada!
          Colleghi, a cosa ci porterà questa “scienza della lettura”? Non è forse giunto il momento di ridimensionare esercizi, specchietti e analisi a vantaggio del prodigio, dello stupore e del rischio? Dice lo scrittore argentino Borges: Immagino che in un tempo a venire –e spero che questo tempo sia dietro l’angolo- per gli uomini sarà essenziale la bellezza, non le circostanze della bellezza. Occorre mettersi in discussione, evitare l’assuefazione, smetterla di fare gli impiegati, gli inutili ripetitori, di aver paura dei programmi e colpevolizzare in astratto la società, la politica e la televisione: nelle ore previste per la letteratura (e non solo) usciamo allo scoperto, comunichiamo emozioni, restituiamo l’incanto a chi lo ha perso, ascoltandoci. Possiamo tutti imparare i contenuti di un’opera letteraria, la biografia di un autore, le nozioni filologiche ma la relazione con un’opera d’arte non coincide con il possesso di tali nozioni. La letteratura non è una materia, è un’attitudine per conoscere se stessi e il mondo e non è per anime belle e fatte ma per chi ha i lavori in corso. E poiché oggi viene mutilata dalle discipline tecnico-scientifiche, le uniche in grado ad assicurare la liberazione dell’uomo (sic!), ecco cosa facciamo noi: la travestiamo da scienza, la analizziamo tecnicamente tassello per tassello, dimenticando che essa è un fenomeno umano e contiene una domanda esistenziale, una vertigine, un abisso; senza tutto questo diventa mestiere, obbligo, dazio da pagare all’istruzione.
          Sempre Rondoni, in questo magnifico libretto, esprime un’idea suggestiva: gli uomini hanno sempre mostrato la necessità di “soprannominare” il mondo per poterlo conoscere, per mettersi in relazione con il mistero. Ha proprio ragione. Non possiamo togliere alla letteratura la dimensione del misterioso e della libertà di soprannominare l’esistenza, cioè di interpretarla, senza definirla, a meno di accontentarci di abitudini e parole spente. Di fronte a Dante o a Leopardi mettiamoci in gioco noi per primi come siamo, senza maschere, per permettere ai ragazzi di rintracciare nelle opere dei grandi classici la loro stessa vita, i loro dubbi, lasciando che anche da studenti possano rinominare le loro questioni aperte per sperimentarle e non per limitarle. Se gli alunni sono lettori assenti, ahimé, noi professori abbiamo fallito il nostro obiettivo; se la scuola cerca gli “standard” o, come si dice oggi, le “competenze”, sceglie il convenzionale e si accontenta che i ragazzi risolvano i rebus testuali nel frustrante tentativo di scoprire nel cassetto la marmellata-verità. Avremo monitorato (il pallino odierno!) le abilità di tanti piccoli critici ma non sapremo mai quanti tra loro hanno afferrato il senso della letteratura. E questa sarà sempre una grave perdita. Non disperiamo, comunque, essi tale senso lo afferreranno fuori dalla scuola, o dopo, attraverso incontri non più convenzionali: con un libro, con altri maestri, con il consiglio di un amico. Si accorgeranno di essere stati indotti tra i banchi di scuola a violare la bellezza! Quella bellezza che ha bisogno di educatori seducenti, quasi attori, che sappiano leggere bene, che sappiano suscitare emozioni e trasmettere il fascino del bello e non il disagio della banalità.
          Quanti di noi hanno proposto progetti di educazione alla lettura ed interpretazione dei testi? Quanti docenti hanno raccontato in classe la loro esperienza  estetica del profondo? Quanti hanno saputo suscitare –per dirla con Pasolini- “lacrime intellettuali”? Pochi, pur essendo colti e rispettati. È vero, siamo maltrattati e sottopagati, ma non è questione di soldi. L’unica dignità professionale che ci rimane è data dall’aver fatto tremare o sgranare gli occhi a qualcuno leggendo la pagina di un capolavoro come se si stesse scrivendo ora lì con gli studenti…Il disegno storico della letteratura a che serve ad un ragazzo se non si impara il gusto e lo scandalo della letteratura? Con queste parole Rondoni si avvia alla conclusione del suo libro. Egli ci vuole “monaci” e “guerrieri”, custodi della bellezza e, sul fronte di una guerra, in piedi contro il nulla che da ovunque occhieggia.

Francesco Diego Tosto
francesco.tosto2@tin.it







Questo Articolo proviene da AetnaNet
http://www.aetnanet.org

L'URL per questa storia è:
http://www.aetnanet.org/scuola-news-241402.html