Giovani e precari, la sfida da vincere
Data: Giovedì, 21 aprile 2011 ore 21:00:00 CEST Argomento: Rassegna stampa
"I giovani italiani
sono precari nella crescita e disoccupati nella crisi", sintetizza
Marco Revelli nel suo recente "Poveri, Noi". Dagli anni novanta in poi,
quella del cosiddetto conflitto generazionale è stata una delle
retoriche predilette da una nuova leva di economisti e tecnocrati
decisi a farla finita con tutte le certezze sociali del Novecento. Per
salvarsi e per strappare una vita almeno dignitosa – questa la ricetta
che suggerivano – i "giovani" avrebbero dovuto presentare il conto ai
loro genitori impiegati, operai e pensionati: nel discorso comune i
diritti sono diventati così privilegi, le garanzie dei penultimi
ostacoli al successo degli ultimi e le "riforme" interventi che solo
raramente aprivano occasioni per veri progressi sociali.
Capolavoro estremo di questa retorica, l’aver convinto parte
dell’opinione pubblica che il lavoro operaio rappresentasse una
condizione di privilegio (convinzione che crolla miseramente quando in
tv arriva qualcuno che è in grado di raccontare l’impensabile crudezza
del lavoro operaio). Ma l’esito della duratura egemonia di quell’idea
di conflitto generazionale è stato nemmeno a somma zero, ma addirittura
negativo: in altre parole non è andata bene né per quelli considerati
come i garantiti – che la retorica voleva asserragliati nelle tante
fortezze " sociali" da espugnare – né per quelli che erano considerati
gli esclusi, ovvero i giovani ascari che dovevano partire all’assalto
di quelle stesse fortezze. In un economia declinante, una flessibilità
distorta e miserabile si è risolta in precarietà strutturale dei
segmenti più deboli del mercato del lavoro, mentre i diritti – ma
soprattutto il reddito e la posizione sociale – di quelli considerati
come forti sono stati ulteriormente corrosi.
Il Re è Nudo: la Grande Recessione cambia tutto
Altro effetto collaterale dell’egemonia di questa retorica è stata
l’incapacità di elaborare un discorso autenticamente progressista sulla
questione generazionale. Per lungo tempo, il fatto che fossero i
corifei della vulgata conservatrice ad utilizzare strumentalmente la
condizione di debolezza sociale delle giovani generazioni ha reso
l’argomento politicamente sospetto agli occhi di chi intendeva
difendere i diritti sociali fondamentali. Intanto però la questione
generazionale si stava allargando ed approfondendo, come dimostrato
dalla sua definitiva esplosione con l’irrompere della Grande
Recessione. Le giovani generazioni, sovrarappresentate nel lavoro
atipico ed escluse dalle tutele tradizionali, hanno sostenuto gran
parte dei costi della crisi. Come estesamente documetato qui su
Molecole, il risultato è il riaffacciarsi della disoccupazione
giovanile di massa, la precarizzazione ulteriore di chi un rapporto con
il mercato del lavoro riesce a conservarlo, l’impoverimento e la
disperazione sociale di masse "giovanili" sempre più ampie. In queste
condizioni, la soluzione della questione generazionale non può che
trovarsi in cima all’agenda di chiunque si batta per una fuoriuscita
progressista dalla Grande Recessione.
Riformulare la questione generazionale
Ma ancor prima, è urgente la sua riformulazione: al di là dell’immagine
ingannevole offerta dalla vulgata tardo novecentesca, la "questione
generazionale" è infatti la manifestazione più dolorosa di un paese nel
quale i livelli di diseguaglianza sociale hanno ormai raggiunto vette
intollerabili. E dove un colossale spostamento di risorse dagli
investimenti produttivi alle rendite ha generato una società inospitale
per chiunque vi si affacci con la sola ricchezza del proprio potenziale
produttivo. Che sia poi la generazione più qualificata della storia
nazionale – ed in particolare chi ha poco da guadagnare dai circuiti
ereditari dell’opprimente familismo italico - ad essere sacrificato
sull’altare di un modello sociale platealmente fallimentare aggiunge,
se possibile, amarezza ad amarezza a quei milioni di giovani (adulti)
italiani che si sentono "indesiderati" nel proprio paese. Come
indesiderata è la loro potenziale apertura al cambiamento in quello che
produciamo e nel modo in cui lo facciamo, nel rapporto con il lavoro e
con la sua intelligenza, nella visione che si ha del funzionamento
delle istituzioni, nel modo di pensare le relazioni fra i generi. Dal
2008 il Re è nudo: un paese conservatore e retrivo ha mostrato il suo
vero volto, prima abilmente dissimulato, ai suoi cittadini più
"giovani". Al cuore della crisi la questione generazionale è divenuta
quindi la via maestra per porre le questioni non più rinviabili di una
maggiore eguaglianza sociale e di un nuovo modello di sviluppo.
Fare società per costruire il cambiamento
Ed una riformulazione profonda della questione generazionale è in parte
il senso dell’impegno di molte delle reti e dei social media
generazionali che sono emersi e si stanno consolidando negli ultimi
tempi. La rappresentazione di nuove generazioni disimpegnate è quanto
mai inaccurata: il dinamismo molecolare delle loro forme di
aggregazione – politica, sociale, professionale – ha preso velocità. La
giornata di mobilitazione de "Il Nostro Tempo è Adesso" dello scorso 9
Aprile – promossa da reti ma partecipata da singoli: una novità
rilevante in materia di manifestazioni a tema sociale – ha posto il
problema di una nuova questione generazionale che non assomiglia più a
quella annunciata dalla vulgata tardo novecentesca (i giovani – gli
ultimi – sono esclusi per via dei lavoratori dipendenti adulti – i
penultimi – e dei loro diritti che in realtà sono privilegi) ne
tantomeno a quella propagandata dagli imprenditori del mero ricambio
anagrafico (date a noi giovani il potere, a prescindere da quello che
vogliamo fare: anzi, in realtà, non vogliamo fare un bel niente).
Ad essere sceso in piazza è il rifiuto di una parte consistente delle
nuove generazioni nei confronti di un’Italia miserabile – fatta di
diseguaglianze sociali intollerabili, di un’economia arretrata e
corrotta e di un conservatorismo anacronistico e pervasivo – e la
speranza costruttiva di un’Italia più giusta e umana. Ora sta a noi
approfondire la comprensione della nuova questione generazionale,
rendendola comprensibile e mobilitante alla testa ed al cuore di chi
dal messaggio del 9 Aprile è stato solo sfiorato. (di Alessandro
Coppola da molecoleonline.it e http://www.rassegna.it/)
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