Jamila: «A scuola con un sogno, diventare italiana e stilista»
Data: Mercoledì, 20 aprile 2011 ore 18:00:00 CEST
Argomento: Rassegna stampa


Infine a scuola c'è tornata, ieri mattina. Ingresso secondario, auto consolare, dieci minuti di anticipo sulla campanella della prima ora. Un lampo bianco da cui sbucava il brillantino sul naso.
Lo stesso che sberluccica adesso, mentre sta seduta su uno dei tre divani del soggiorno di casa, con la mamma stretta accanto, il nipotino che gattona, e il piccolo esercito - si fa per dire, per carità! - che la circonda davanti ai giornalisti: con noi ci sono un fratello, il console pachistano a Milano Sayed Muhammad Farooq e tre assistenti, più i dirigenti locali della Cgil Silvia Spera e Damiano Galletti.
E c'è lei, Jamila, la diciannovenne che da due settimane non frequentava più l'istituto professionale di Brescia perché «troppo bella» e perché «promessa in sposa a un parente in Pakistan», secondo la lettera-denuncia di un docente.                   
 «Sto benissimo, a scuola sono stati tutti contenti di rivedermi, si sono anche commossi», racconta con la cadenza del posto, infilando anche l'intercalare «pota». «È vero, dovevo ritornare in Pakistan... Per certi motivi così... Non si può dire tutto... Ma poi si è risolto», concede sulla sua vicenda che ha fatto scaldare il sottosegretario Daniela Santanché e l'onorevole Souad Sbai. Fa una buffa tenerezza nelle sue contraddizioni: la passione per i Teletubbies, pizza, pasta e torta di mele (che cucina personalmente) e l'ubbidienza mite alle tradizioni di famiglia («è vero, non posso mai uscire di casa da sola, a scuola mi accompagna sempre mia mamma e mi viene a riprendere, se non c'è lei c'è mio fratello; ma è giusto così, siamo pachistani e dobbiamo vivere da pachistani»).
Desidera più di ogni altra cosa la cittadinanza italiana («per me e i miei familiari, ormai viviamo qui dal '97, prima stavamo a Monticelli Brusati») e da grande vorrebbe fare la stilista. Però a una festa di compleanno non ci può andare («ma non mi interessa, per me andare o no è uguale») e prende le distanze dalle compagne di scuola della sua etnia, che sono «pettegole, hanno la doppia faccia e mettono in giro voci che non sono vere». Chissà. Forse quelle di una sua presunta simpatia per un ragazzo, o di attenzioni particolari ricevute che, secondo il prof, avrebbero scatenato la gelosia dei fratelli. Anche se ora uno di loro chiude la faccenda: «Il docente si è inventato tutto, ovvio. Invece è vero che nostra sorella doveva tornare in Pakistan con mamma, non da sola, perché il nonno sta molto male, ma dopo sarebbe rientrata in Italia». E perché non farla più andare a scuola? «In attesa di comprare i biglietti avevamo pensato di tenerla a casa. Da noi funziona così: se c'è un problema ci riuniamo e decidiamo insieme».

Non fa sorridere neanche un po', invece, sentir dire a Jamila che il suo caso non ha niente a che fare con quello di Hina Saleem, la conterranea sgozzata dai parenti, proprio qui nel Bresciano, cinque anni fa. «Non c'entra niente con me. Hina era diventata troppo occidentale». Troppo? Dunque è giusto che sia morta? «No, non voglio dire così... Perché poi non è nemmeno giusto che il padre ora sia in carcere...».
Il punto è mantenere il decoro. Niente mare, sì al lago. «Con la mia famiglia andiamo qui vicino, al lago d'Iseo. Ma il bagno non lo facciamo, mica possiamo stare mezze nude a prendere il sole, è la nostra tradizione».

Col suo piccolo delfino al collo, tre braccialetti al polso sinistro, l'hijab turchese in testa sopra i pantaloni di cotone a righe e le infradito nere, sta in silenzio quando parlano gli altri e poi si scalda e minaccia: «Se non la smettete di venirmi dietro con telecamere e macchine fotografiche davvero a scuola non ci vado più e vi denuncio tutti!». Ma ha un tono grave se dice che il giorno più brutto della sua vita è stato quando è morto il padre, stroncato da un infarto in fonderia a Monticelli (e l'assicurazione non ha riconosciuto il danno): «Da quel giorno tutto va male, abbiamo solo problemi...».
Il clima, tutto sommato, è disteso. Alla domanda sull'amore Jamila risponde che lo sceglierà lei e poi lui parlerà con i genitori per chiederne il consenso. Sarà un pachistano, figuriamoci se no.
Interviene il console, al momento dei saluti: «Non so che idea vi siate fatti. Per me è importante che i diritti umani vengano rispettati. E voi cercate di capire i problemi impliciti nelle altre culture». Sulle scale, la sindacalista Spera ammette: «Ora questa ragazza sta facendo due passi indietro. Spero che domani ne faccia quattro avanti».    (di Elvira Serra da http://www.corriere.it/)

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