Chi dovrebbe insegnare la lingua e la civiltà siciliana? Al di là della réclame sarebbe meglio incentivare l'italiano
Data: Venerdì, 15 aprile 2011 ore 15:28:58 CEST Argomento: Redazione
Consensi unanimi pare
abbia suscitato l'approvazione del disegno di legge della
commissione Cultura dell'Assemblea regionale siciliana, che prevede
l'insegnamento della lingua e cultura siciliana nelle scuole di ogni
ordine e grado. Le "norme”
stabilirebbero fra l'altro un modulo di due ore settimanali che
"dovranno tener conto della storia della Sicilia dalle sue origini sino
ai tempi odierni, con approfondimenti critici e confronti fra le varie
epoche e dominazioni, sull'avanzamento sociale, economico e culturale
del popolo siciliano.” Nicola D’Agostino (vice capogruppo MPA all’Ars)
che ha presentato la legge, ha pure commentato: “Un ringraziamento alla
commissione che ha approvato all’unanimità il provvedimento e a tutti i
partiti che hanno accolto senza partigianeria per quella che è: una legge a costo zero per la Regione
che intende consentire alle future generazioni di avere una migliore
conoscenza della nostra storia e consapevolezza del perché dei nostri
ritardi e del potenziale economico e sociale.
Una opportunità che dobbiamo saper cogliere al meglio attraverso una
offerta formativa obbligatoria stabile che veda la collaborazione con
l’ufficio regionale scolastico e tutti i docenti chiamati ad insegnare
la storia siciliana.”
Al di là del dato politico, l’insegnamento delle lingue regionali
(dialetti, parlate locali ecc.) pur avendo in sé una sua nobile
finalità, che è appunto il recupero di una romantica identità
culturale, ha pure bisogno di docenti
in grado di farlo e in possesso di titoli documentabili per affrontare
un tema tanto impegnativo e nello stesso delicato.
Allora la questione è se posizionare lo studio del dialetto e della
cultura siciliana come corso curricolare, sfruttando il 20%
dell’orario settimanale, o se inserirlo come attività aggiuntiva
pomeridiana, coinvolgendo solo i ragazzi che ne farebbero richiesta o
se aggiungere due ore nel piano complessivo delle lezioni. In tutti i tre casi il nodo centrale è
trovare insegnanti preparati, che abbiano cioè i titoli necessari, e
soprattutto documentabili, per attuare una docenza quantomeno dignitosa.
Dove trovarli? E’ vero che tutti (o forse no?) conoscono la parlata
locale e la storia regionale, ma è anche vero che, relativamente alla
lingua, migliaia di termini caratteristici siciliani col tempo sono
andati perduti, sia perché l’economia è cambiata, da agricola a
industriale e quindi col conseguenziale disuso di parole tipiche dei
nostri contadini, e sia perché la lingua in sé è fatto dinamico e
quindi soggetta a mutazioni e cambiamenti, come è possibile vedere fra
un autore italiano anche di metà novecento e uno dei nostri giorni,
Camilleri compreso. E allora quale
lingua dialettale insegnare? E non solo, ma quale area
linguistica, tra le tante esaminate dal compianto prof. Piccitto
dell'Università di Catania, portare alla conoscenza dei ragazzi?
E non si dovrebbero conoscere,
da parte dei prof incaricati per tale docenza, le specificità
provinciali per cui nell'area del nisseno la “barca” si pronuncia
sempre “barca” ma nel catanese si trasforma in “vacca”, come “vavveri”
il “barbiere” e similari?
Tranne che si prevedano corsi universitari specialistici e il ministero
assegni classi di concorso e abilitazioni relative, perché altrimenti
l’insegnamento del dialetto diventa non più istruzione seria ma altro,
un modo per sprecare i fondi e per consentire a qualche docente
raffazzone di integrare il magro stipendio. E non solo, ma se viene
scelto di usare il 20% (per esempio: su 4 ore di italiano un’ora di
dialetto) dell’orario curricolare, quanti docenti abilitati, o comunque
con titoli certificabili, occorrono? Se poi lo si vuole insegnare in
orario extrascolastico quanti ragazzi e per quante ore a settimana vi
parteciperebbero? Diciamo la metà su una media di 600? E gli altri? E
inoltre: chi ne verifica, certificandoli, i risultati degli alunni?E se
si aggiungono due ore alle ore curricolari, sarà questa materia oggetto
di esami di stato e di valutazione?
Ma non si capisce neanche cosa si
intenda dire che lo studio della storia e della cultura siciliana potrà
essere effettuato a costo zero. In altri termini si prenderanno
docenti e si metteranno in cattedra, senza neanche spendere una lira
per aggiornali: e quali? Quelli di lettere? Ma costoro, nel piano di
studi universitari e nella conseguente abilitazione, hanno mai
approfondito la lingua e la cultura siciliana, così come è richiesto
dal disegno di legge? Il punto è allora se implementare uno studio
serio a scuola della lingua e civiltà siciliana o se andare alla
garibaldina, nel senso di iniziare la traversata e sui luoghi dello
sbarco in base a come finisce l'approdo sarà in seguito raccontato?
Pasquale Almirante
p.almirante@aetnanet.org
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